Pubblichiamo articolo uscito su Il Foglio. Qualche affermazione farà discutere: "i servi fanno gli interessi dei propri padroni" andava forse articolata in "i servi possono finire per essere conniventi agli interessi dei loro padroni", ma lo spazio è tiranno. Ci torneremo. Un articolo analogo inviato a il manifesto dopo una settimana non è stato pubblicato. Oggi ne hanno uno di tal Tonino Perna che scagiona Merkel ed Europa. Buon per loro.
Populista sarà lei.
La ragionevolezza dei movimenti anti-europeisti
Sergio Cesaratto
Uno spettro si aggira per l’Europa,
quello dei movimenti anti-europeisti. Enrico Letta ed Eugenio Scalfari (La
Repubblica 3 novembre) li hanno tacciati di populismo,
mentre l’ex vice-direttrice de il
manifesto, Roberta Carlini, li ha bollati come irrimediabilmente di destra
(Micromega on line). Silvano Andriani
(l’Unità 4 novembre) si è accodato alla
denuncia del pericolo, non mancando, naturalmente, di criticare la deriva
neoliberista di governi europei e della sinistra e suggerendo che una
correzione di rotta ideologica può riportare l’Europa su un binario di crescita
solidale. Purtroppo le questioni europee sono più complicate di un mero scontro
ideologico fra, diciamo, liberisti e sociademocratici. E’ uno scontro fra
interessi nazionali diversi. Magari non dei popoli, ma certo delle élite.
E da
quando mondo è mondo, i servi fanno gli interessi dei propri padroni, non per
fedeltà, ma perché di loro si fidano di più. La solidarietà internazionale di
classe la lasciamo agli hegelo-marxisti, noi preferiamo il realismo politico.
Condividiamo, ovviamente, il
pericolo di una deriva a destra della situazione, per esempio in Grecia dove
l’omicidio dei due militanti fascisti evoca una strategia della tensione. Ma
non necessariamente di destra è l’impronta dei movimenti anti-europeisti (ma
non anti-europei), in particolare nel nostro paese. Questi movimenti hanno
proposte ragionevoli che vengono frettolosamente liquidate. In primo luogo essi
condividono le riserve circa l’esistenza stessa
dell’euro espresse dalla parte forse maggioritaria dell’intelligencija
economica internazionale che lo ritiene incompatibile con la libertà dei paesi
di perseguire politiche di piena occupazione, con la stabilità finanziaria
(come s’è visto) e con la democrazia sociale e politica. In secondo luogo, di
questa intelligencija
condividono le proposte intese ad assicurare la sopravvivenza di una creatura
così mal nata: impiego espansivo della politica fiscale e monetaria, una seria
unione bancaria, politiche industriali di sviluppo sostenibile. Persino Padoan
e Buti, due eminenti economisti italiani in posizioni di rilievo presso Ocse e
Commissione europea, dopo una difesa d’ufficio delle politiche di austerità
(chissà se gli veniva da ridere mentre la stendevano), ammettono che per uscire
dalla crisi la Germania
dovrebbe accettare un po’ più di inflazione (Vox 8 ottobre). Come chiedere al Papa di partecipare al bunga
bunga. E’ chiaro che la
Germania vede in ogni politica di rilancio della propria
domanda interna, senza la quale non si esce dalla crisi, un pericolo per il
proprio modello neo-mercantilista che si basa precisamente sulla compressione
dei consumi interni e una inflazione deliberatamente inferiore a quella dei
paesi concorrenti.
I
movimenti anti-europeisti (ma non anti-europei) hanno allora un ulteriore set
di proposte ragionevoli volte alla dissoluzione consensuale dell’unione
monetaria che salvaguardi, tuttavia, l’Unione Europea sotto l’aspetto politico
e commerciale. Lo scioglimento potrebbe avvenire con l’uscita della Germania, o
con la creazione di un euro-sud (con la Francia) e di un euro-nord, o col ritorno a
valute nazionali. Un processo consensuale tranquillizzerebbe anche i mercati
dopo una loro temporanea chiusura. Ad una rivalutazione del nuovo marco tedesco
o dell’ euro-nord dovrebbe seguire un nuovo accordo di cambio che assicuri
stabilità, ma senza ripetere gli errori del vecchio sistema monetaria europeo
in cui l’egemonia tedesca creò solo problemi (de te fabula narratur). Ragionevole,
no?
La
questione vera è che mai un movimento popolare con questi obiettivi riuscisse a
porli seriamente nell’agenda del dibattito politico, in Italia e altrove,
automaticamente i mercati finanziari entrerebbero in fibrillazione provocando
una rinnovata fuga di capitali dai paesi periferici con spread alle stelle ecc. Questo a conferma dell’anti-democraticità
dell’euro: manco se ne può discutere! Non si deve però per questo cadere nel
ricatto del “taci ché il nemico ti ascolta”. I movimenti anti-europeisti (ma
non anti-europei) vanno sostenuti perché da ultimo non possono che essere
salutari, come ha scritto Angelo Panebianco (Corriere della sera 3
novembre), il quale però disperato per la prepotenza tedesca ricorre a un
immaginifico soccorso americano. Le prossime elezioni europee costituiscono per
questi movimenti una ghiotta occasione per sviluppare una consapevolezza pubblica
della matrice europea delle politiche di austerità e delle bugie che ci vengono
propinate dai nostri conniventi governi. Se ciò genererà fibrillazione dei mercati,
sarà a quel punto dovere di governi non vigliacchi di agire a Bruxelles (o a
Berlino) perché l’Europa vada incontro alle istanze democraticamente espresse
dai propri cittadini. Se il governo non avrà, come temiamo, cultura e
intelligenza per farlo e Bruxelles e Berlino faranno orecchie da mercante, beh sapremo
di chi sono le responsabilità. E, con i mercati in fibrillazione, da queste non
si potrà comunque sfuggire per cui una scelta dell’Europa fra cambio di
registro di politica economica, separazione consensuale o repressione della
protesta dovrà infine essere compiuta. Per queste ragioni lo sviluppo di
movimenti anti-europeisti (ma non anti-europei) non è che un bene, anche per
impedire una deriva reazionaria della protesta.
Il Foglio 8 novembre 2013
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