Pubblichiamo un mio articolo sulla questione bancaria europea pubblicato in prima su il manifesto, che ringrazio di cuore.
La disunione bancaria
europea
Sergio Cesaratto
Se qualche inveterato
europeista avesse mai riposto qualche speranza in un progresso europeo nella
direzione di istituzioni comuni adeguate alla ripresa della crescita
dell’intera Eurozona, le vicende che riguardano la cosiddetta unione bancaria
lo dovrebbero convincere definitivamente del contrario. La storia dell’unione
bancaria non è di quelle che eccita passioni, eppure è centrale alle vicende
della crisi.
Che le banche siano state
protagoniste della crisi è cosa nota. In particolare, negli anni precedenti la
crisi le banche spagnole e irlandesi hanno sostenuto un boom del settore
immobiliare nei rispettivi paesi indebitandosi con le banche francesi e
tedesche. Il crollo del settore immobiliare e la crisi che ne è seguita ha
portato molti istituti di credito all'insolvenza. L’intervento dei rispettivi
Stati ha trasferito il problema dalle banche al debito pubblico. La crisi
economica ha successivamente colpito duro anche sistemi bancari considerati più
solidi come quello italiano. Lo stesso governo tedesco è dovuto intervenire con
un formidabile impegno finanziario a salvare le proprie banche che avevano
allegramente investito anche nei titoli tossici americani. Ma il governo
tedesco se l’è potuto permettere, mentre in Spagna e Irlanda il salvataggio ha
messo in difficoltà le finanze pubbliche. Le preoccupazioni circa la
sostenibilità dei debiti sovrani dei paesi europei periferici ha
successivamente – nel 2010 e 2011 - portato gli investitori dei paesi europei
più forti a ritirare i loro capitali investiti in questi debiti. Per evitarne i
tracollo, attraverso una formidabile offerta di liquidità a buon mercato, la
BCE ha invitato le banche ad acquistare titoli pubblici dei rispettivi paesi.
La situazione che si è venuta a creare è dunque quella di un abbraccio mortale
fra Stati che sostengono banche decotte, e queste ultime che sostengono Stati
barcollanti, come due in procinto di affogare che cerchino di aiutarsi a
vicenda.
Gli Stati Uniti hanno vissuto
nei medesimi anni una crisi simile, col crollo di boom edilizi concentrati in
determinati Stati e con relativa crisi delle banche creditrici. Quel paese è
però dotato di una unione bancaria, vale a dire di istituzioni federali che
trasferiscono il problema a livello federale, incluso il sostegno finanziario
alle banche insolventi. In tal modo gli Stati locali, finanziariamente fragili
perché privi di una banca centrale, non sono coinvolti dalla crisi. In uno
storico vertice nel giugno 2012 l’Europa dichiarò solennemente la propria
volontà di spezzare l’abbraccio mortale fra banche e Stati e di costituire una
unione bancaria.
Una unione bancaria è
costituita da tre istituti: un meccanismo di vigilanza; un meccanismo (regole)
di risoluzione delle crisi; un fondo finanziario che consenta di sostenere gli
istituti in crisi e di salvaguardare i piccoli depositanti. La vigilanza sulle
130 più grandi banche europee è stata affidata alla BCE che l’assumerà nel
novembre 2014 dopo aver condotto un esercizio di valutazione della solidità dei
loro bilanci. Sul resto siamo nel buio. Il fatto che la BCE possa rilevare
situazioni bancarie critiche senza che meccanismi europei di risoluzione (e
relativi fondi) siano già disponibili
preoccupa assai Draghi, come i media ci hanno informato nei giorni
scorsi.
La questione è che la Germania
pretende che l’Europa adotti meccanismi di risoluzione fondamentalmente basati
sul far ricadere le perdite delle banche insolventi su azionisti e creditori
degli istituti, e la ricapitalizzazione delle medesime sui fondi nazionali,
pubblici per ora, costituiti dalle medesime banche nazionali nel lungo periodo.
L’intervento europeo, attraverso lo European
Stability Mechanism, un fondo di salvataggio per gli Stati già esistente,
riguarderebbe casi estremi di banche il cui fallimento possa costituire rischio
sistemico per l’Eurozona e nel caso in cui lo Stato coinvolto non fosse in
grado di sostenerne il salvataggio. La risoluzione delle crisi bancarie
rimarrebbe fondamentalmente locale. D’altro canto il governo tedesco vorrebbe,
idealmente, mantenere mano libera nel continuare a sostenere massicciamente con
denari pubblici le proprie banche - dato che se lo può permettere - senza
penalizzazioni sui (propri) capitalisti finanziari, ostacolando magari più modeste
azioni di salvataggio da parte di altri governi sui propri istituti di credito,
il pensiero va al MPS. La proposta della Commissione Europea dello scorso
luglio è un po’ più avanzata, con un accentramento del meccanismo di
risoluzione a Bruxelles e con una messa in comune dei fondi di salvataggio. Il nein tedesco a questa proposta è rigido,
come al solito.
La vicenda dell’unione bancaria è
parte di una involuzione del dibattito sul futuro dell’Eurozona. Al nein tedesco sull’unione bancaria si
unisce quello su un minimo di bilancio federale volto a sostenere i paesi
sottoposti a uno sforzo di “aggiustamento”, come eufemisticamente i miei
colleghi economisti chiamano una dura austerity. La proposta che era stata
sollecitata alla Commissione l’autunno scorso, assolutamente ridicola peraltro,
è già nel cassetto. “Lasciate ogni speranza, o voi ch’entrate”. Troveremo noi
un Virgilio che ci conduca fuori dalle pene dell’euro a riveder le stelle?
Nessun commento:
Posta un commento