lunedì 26 maggio 2014

C'è trucco e c'è inganno: Civil Servant sulla rivalutazione del PIL



 Pubblichiamo articolo uscito su Micromega on line con titolone di testa (almeno sino a quando non verrà sostituito dai commenti elettorali) per il quale abbiamo fatto da tramite fra autore, ben informato, e redazione. Aggiungiamo solo che anche l'aggiunta delle spese per ReS agli investimenti lordi (sinora queste spese erano classificate fra i consumi) è sciocchezza in quanto gli investimenti creano o preservano capacità produttiva, le spese per ReS di per sé no. E' un altro modo per inquinare i dati, in questo caso accrescendo artificialmente il tasso di accumulazione del capitale fisico. Saranno felici i neo-Schumpeteriani e bla bla di varia risma.

Più Pil per tutti
di Civil Servant

L’Eurostat ha rivisto i criteri per il calcolo del Pil. Da quest’anno saranno inclusi nel reddito nazionale anche le spese private per la ricerca e lo sviluppo ed i proventi di molte attività criminali. Secondo le stime più prudenti, il Pil dovrebbe aumentare statisticamente dell’1-2%, ma altre valutazioni fanno pensare ad un incremento dell’ordine del 10%. Al di là dei problemi etici, questa innovazione metodologica avrà conseguenze rilevanti. Per prima cosa, la rivalutazione farà diminuire artificialmente il rapporto debito-Pil, ad ulteriore riprova della insensatezza di questo ed altri parametri europei. Ma la cosa più inquietante è che da oggi tutti i governi avranno un motivo in più per non perseguire il lavoro nero e l’economia criminale, perché producono reddito e occupazione come qualsiasi altra attività. Anzi, un po’ di delinquenti in più faranno diminuire il tasso di disoccupazione e faciliteranno il rispetto dei famigerati criteri di Maastricht.

Alla fine l’Eurostat, l’ufficio statistico della Commissione Europea, ha dovuto dare ragione a Cetto La Qualunque, il geniale personaggio del politico cialtrone interpretato da Antonio Albanese, secondo il quale la prosperità economica si basa sulle attività irregolari o palesemente criminali.

sabato 17 maggio 2014

Una critica a La Voce (versione corretta)


Come si usa dire, riceviamo e volentieri pubblichiamo un intervento di un nostro dottorando di Siena (un prima versione da me postata mancava delle ultime righe, mi scuso con Daniele)

La monetizzazione del debito e lo spettro dell’inflazione
di Daniele Girardi


Su Lavoce, due economisti italiani affermano1 che “il problema dell’Italia è l’elevato livello di debito pubblico” e sostengono che se anche la BCE accettasse di effettuare operazioni straordinarie per ridurre l’onere del debito, queste misure avrebbero impatti pesanti per l’economia reale. In particolare produrrebbero un elevato tasso di inflazione, devastante per il potere d’acquisto dei lavoratori. Per cui non c’è nulla da fare: dobbiamo “stringere la cinghia”. L’articolo si iscrive quindi nel ricco filone “l’austerità sarà anche brutta, ma non ci sono alternative”, il più frequentato dai sostenitori dei tagli al bilancio pubblico da quando il filone “l’austerità favorisce la crescita” è stato abbandonato per perdita di credibilità.

Le operazioni straordinarie di cui stiamo parlando consisterebbero, in sintesi, nello stampare2 moneta e utilizzarla per acquistare titoli di Stato, in modo da ridurre gli interessi sul debito. Un operazione anche nota come “quantitative easing”3. In pratica, ci spiegano Lippi e Schivardi, questo significherebbe immettere nel sistema economico una quantità di nuova moneta pari all’ammontare dei titoli acquistati. “Ci sono pochi dubbi - continuano i nostri - che l’enorme aumento della massa monetaria condurrebbe a un proporzionale aumento dei prezzi”. “Monetizzare” una quantità significativa del nostro debito pubblico provocherebbe “tassi di inflazione a due cifre per un decennio”, con gravi conseguenze per “tutti i percettori di redditi fissi”, cioè per tutti i lavoratori dipendenti e i pensionati. Insomma una catastrofe.

Mi scusino i due professori ma io qualche dubbio ce l’ho. Temo infatti che nel loro ragionamento ci sia un errore basilare, evidente persino ad uno studentello imberbe come me. Se un economia è lontana dalla piena occupazione non c’è alcun motivo per cui uno stimolo monetario (cioè un aumento della quantità di moneta a disposizione di cittadini, banche e imprese) dovrebbe generare “un proporzionale aumento dei prezzi”. In effetti, la Banca Centrale degli Stati Uniti sta “monetizzando” il debito da quattro anni e a grandi ritmi ma l’inflazione USA è rimasta molto bassa.

Immaginiamo un’economia in cui tutti i fattori di produzione sono pienamente utilizzati: non è possibile aumentare la produzione. Se aumenta la quantità di moneta detenuta dai cittadini, aumenterà la loro domanda di beni e servizi. Non potendo aumentare la produzione, l’aumento di domanda genererà automaticamente un proporzionale aumento dei prezzi. Ecco l’alta inflazione contro cui ci mettono in guardia Lippi e Schivardi. Ma in un economia in cui ci sono lavoratori disoccupati e impianti che non lavorano a pieno regime, un aumento della domanda genera un aumento della produzione, più che dei prezzi. Ora, è chiaro a tutti che l’Italia è un economia lontanissima dalla piena occupazione.

Nelle attuali condizioni, in Italia la “monetizzazione” del debito genererebbe tutt’al più un moderato aumento dell’inflazione. E dato che siamo in deflazione, questa sarebbe una buona notizia, non certo la catastrofe paventata da Lippi e Schivardi. Lo stimolo monetario potrebbe semmai contribuire a ridurre la disoccupazione. Inoltre il quantitative easing indebolirebbe il tasso di cambio dell’Euro, attualmente troppo alto secondo molti osservatori, dando una boccata d’aria alle nostre imprese esportatrici.

Forse alcuni economisti sono così abituati a lavorare sui modelli cosiddetti “neoclassici”, in cui solitamente si assume che l’economia sia perennemente in piena occupazione, da dimenticare che nel nostro paese i fattori produttivi sono sottoccupati. Fatto sta che “monetizzare” il debito dei paesi periferici avrebbe semmai ricadute positive sull’economia europea (la cui portata non va però sopravvalutata, sopratutto in assenza di una politica fiscale espansiva). Agitare lo spettro di un’inflazione a due cifre, nell’attuale fase di deflazione cronica, suona francamente grottesco. Il vero problema è che nell’Eurozona non sussistono le condizioni politiche per effettuare la monetizzazione del debito. E questo è uno dei motivi per cui la permanenza nell’Eurozona si sta rivelando insostenibile per i paesi del Sud Europa. 

1 L’articolo è questo: http://www.lavoce.info/conseguenze-ripudio-debito/
2 Ovviamente nel 2014 la creazione di moneta non richiede la stampa di nuove banconote, ma semplicemente di accreditare le somme sui conti in banca dei beneficiari.
3 Per saperne di più sulle varie tipologie di quantitative easing che la BCE potrebbe mettere in campo e i loro probabli effetti, si veda esempio l’articolo di Bergamini e Cesaratto su Economia e Politica: http://www.economiaepolitica.it/index.php/europa-e-mondo/cose-il-quantitative-easing-e-che-effetti-puo-avere/#.U3ZMFfmSxyw

mercoledì 7 maggio 2014

Un obiettivo ragionevole



 Articolo su l'Unità con Turci che riprende quello di qualche giorno fa su E&P.

Riprendere la crescita stabilizzando il debito
Sergio Cesaratto e Lanfranco Turci
Nel recente DEF si ammette che la crescita italiana sarà assai debole nel 2014, peccando probabilmente di qualche ottimismo. Le previsioni per gli anni successivi sono più rassicuranti (dall’1,3% del 2015 all’1,9% del 2018), ma la giustificazione economica dell’ottimismo è ridotta a una paginetta in cui non si dimostra da dove tale ripresa dovrebbe provenire – a parte il generico richiamo a una generale ripresa dell’economia globale. Né grandi rassicurazioni provengono dagli effetti delle “riforme strutturali” illustrati nell’allegato Piano Nazionale di Riforme che ipotizza effetti cumulativi sul Pil in aggiunta allo “scenario base” che vanno dal +0,8% nel 2015 sino al +2,4% nel 2018.

giovedì 1 maggio 2014

Il mantra del riformismo competitivo - per un vero riformismo



 Pubblichiamo mio pezzo su il manifesto. Per la rifondazione di un vero riformismo. Una versione più ampia e aggiornata del saggio di Zenezini è disponibile qui.

Le riforme a senso unico dal lavoratore al consumatore


Sergio Cesaratto
Un mantra con cui politici ed economisti si sciacquano continuamente la bocca è quello delle riforme, quelle che “famiglie e imprese ci chiedono” e che “ci faranno crescere”, come veniamo ammoniti ogni sera da esponenti di destra come di sinistra, ora capeggiati da Renzi. A tal proposito Maurizio Zenezini dell’Università di Trieste - un valoroso economista vicino alla tradizione della gloriosa Facoltà di Economia di Modena nata sull’intreccio di Sraffa-Keynes e lotte operaie - ha curato un prezioso numero di Economia e società regionale (13/2 2013), una rivista legata all’IRES-CGIL veneta, dedicato a “Le riforme e l’illusione della crescita”.