Come si usa dire, riceviamo e volentieri pubblichiamo un intervento di un nostro dottorando di Siena (un prima versione da me postata mancava delle ultime righe, mi scuso con Daniele)
La monetizzazione del
debito e lo spettro dell’inflazione
di Daniele Girardi
Su
Lavoce, due economisti italiani affermano
che “il problema dell’Italia è l’elevato livello di debito
pubblico” e sostengono che se anche la BCE accettasse di effettuare
operazioni straordinarie per ridurre l’onere del debito, queste
misure avrebbero impatti pesanti per l’economia reale. In
particolare produrrebbero un elevato tasso di inflazione, devastante
per il potere d’acquisto dei lavoratori. Per cui non c’è nulla
da fare: dobbiamo “stringere la cinghia”. L’articolo si iscrive
quindi nel ricco filone “l’austerità sarà anche brutta, ma non
ci sono alternative”, il più frequentato dai sostenitori dei tagli
al bilancio pubblico da quando il filone “l’austerità favorisce
la crescita” è stato abbandonato per perdita di credibilità.
Le
operazioni straordinarie di cui stiamo parlando consisterebbero, in
sintesi, nello stampare
moneta e utilizzarla per acquistare titoli di Stato, in modo da
ridurre gli interessi sul debito. Un operazione anche nota come
“quantitative easing”.
In pratica, ci spiegano Lippi e Schivardi, questo significherebbe
immettere nel sistema economico una quantità di nuova moneta pari
all’ammontare dei titoli acquistati. “Ci sono pochi dubbi -
continuano i nostri - che l’enorme
aumento della massa monetaria condurrebbe a un proporzionale aumento
dei prezzi”. “Monetizzare” una quantità significativa
del nostro debito pubblico provocherebbe “tassi di inflazione a due
cifre per un decennio”, con gravi conseguenze per “tutti i
percettori di redditi fissi”, cioè per tutti i lavoratori
dipendenti e i pensionati. Insomma una catastrofe.
Mi
scusino i due professori ma io qualche dubbio ce l’ho. Temo infatti
che nel loro ragionamento ci sia un errore basilare, evidente persino
ad uno studentello imberbe come me. Se un economia è lontana dalla
piena occupazione non c’è alcun motivo per cui uno stimolo
monetario (cioè un aumento della quantità di moneta a disposizione
di cittadini, banche e imprese) dovrebbe generare “un proporzionale
aumento dei prezzi”. In effetti, la Banca Centrale degli Stati
Uniti sta “monetizzando” il debito da quattro anni e a grandi
ritmi ma l’inflazione USA è rimasta molto bassa.
Immaginiamo
un’economia in cui tutti i fattori di produzione sono pienamente
utilizzati: non è possibile aumentare la produzione. Se aumenta la
quantità di moneta detenuta dai cittadini, aumenterà la loro
domanda di beni e servizi. Non potendo aumentare la produzione,
l’aumento di domanda genererà automaticamente un proporzionale
aumento dei prezzi. Ecco l’alta inflazione contro cui ci mettono in
guardia Lippi e Schivardi. Ma in un economia in cui ci sono
lavoratori disoccupati e impianti che non lavorano a pieno regime, un
aumento della domanda genera un aumento della produzione, più che
dei prezzi. Ora, è chiaro a tutti che l’Italia è un economia
lontanissima dalla piena occupazione.
Nelle
attuali condizioni, in Italia la “monetizzazione” del debito
genererebbe tutt’al più un moderato aumento dell’inflazione. E
dato che siamo in deflazione, questa sarebbe una buona notizia, non
certo la catastrofe paventata da Lippi e Schivardi. Lo stimolo
monetario potrebbe semmai contribuire a ridurre la disoccupazione.
Inoltre il quantitative easing indebolirebbe il tasso di cambio
dell’Euro, attualmente troppo alto secondo molti osservatori, dando
una boccata d’aria alle nostre imprese esportatrici.
Forse
alcuni economisti sono così abituati a lavorare sui modelli
cosiddetti “neoclassici”, in cui solitamente si assume che
l’economia sia perennemente in piena occupazione, da dimenticare
che nel nostro paese i fattori produttivi sono sottoccupati. Fatto
sta che “monetizzare” il debito dei paesi periferici avrebbe
semmai ricadute positive sull’economia europea (la cui portata non
va però sopravvalutata, sopratutto in assenza di una politica
fiscale espansiva). Agitare lo spettro di un’inflazione a due
cifre, nell’attuale fase di deflazione cronica, suona francamente
grottesco. Il vero problema è che nell’Eurozona non sussistono le
condizioni politiche per effettuare la monetizzazione del debito. E
questo è uno dei motivi per cui la permanenza nell’Eurozona si sta
rivelando insostenibile per i paesi del Sud Europa.