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mercoledì 7 agosto 2024

Danni collaterali del rialzo dei tassi

 

 Da https://lavoce.info/archives/102685/danni-collaterali-del-rialzo-dei-tassi/

Si veda anche "Annotazioni sull’implementazione della politica monetaria: ieri, oggi, domani"

  https://rosa.uniroma1.it/rosa04/moneta_e_credito/article/view/18590

La condivisione di costi e profitti della politica monetaria nell’euro area

Sergio Cesaratto

Un mio precedente intervento su La Voce, seguito poi da uno di Hamaui, riprendeva un dibattito già sviluppato in sede europea (su Vox.eu ed altrove) sui costi fiscali relativi agli interessi che le banche centrali dell’area euro stanno erogando alle banche commerciali, un risultato delle modalità con cui viene correntemente condotta la politica monetaria. Questa ruota ora sul controllo diretto da parte della BCE del tasso di interesse erogato su un abbondante eccesso di riserve bancarie (rispetto all’obbligo di riserva), eccesso che è frutto delle passate operazioni di quantitative easing (QE) con cui le banche centrali nazionali dell’eurozona (BCN) acquistavano titoli pubblici e societari emettendo riserve (liquidità). All’attuale tasso obiettivo della BCE (3,75%) le banche incassano somme notevoli, oltre 118 miliardi all’anno rebus sic stantibus. Questo accade anche in altre aree monetarie, ma vi sono peculiarità europee.

sabato 9 dicembre 2023

Effetti collaterali del rialzo dei tassi

 

 E' tempo di riavviare questo blog. Posto due pezzi simili usciti qualche settimana fa, il primo su Lavoce.info

Per saperne di più qui 

Danni collaterali del rialzo dei tassi

Sergio Cesaratto*

La BCE e le altre maggiori banche centrali stanno erogando alle banche commerciali un considerevole flusso di interessi sulle cospicue riserve bancarie che esse hanno accumulate negli anni del quantitative easing (QE). Nella zona euro al tasso corrente del 4% su €3.587 miliardi (al 20/10/2023) fanno più di €143 miliardi all’anno. Per quanto in diminuzione, si tratta di cifre notevoli, soprattutto se cumulate su più anni. Tali costi comportano probabili perdite per le banche centrali nazionali (BCN) dell’Eurosistema che azzerano la loro capacità di trasferimento dei diritti di signoraggio ai propri governi oltre a intaccarne il capitale. All’estero se ne è discusso ma ancora poco in Italia. Eppure l’ampia remunerazione sulla liquidità bancaria sembra andare a vantaggio soprattutto delle banche dei Paesi del nord dove si concentra la liquidità in eccesso, e non di quelle italiane. Le norme impongono che il suo costo vada però condiviso fra tutte le BCN dell’Eurosistema, sicché la Banca d’Italia si trova a sussidiare le banche tedesche intaccando i profitti trasferiti al Tesoro italiano, inclusa la restituzione degli interessi sui titoli che la Banca ha acquistato gli scorsi anni. Proviamo a riassumere la vicenda (per i dettagli rimando a un mio working paper).

sabato 17 maggio 2014

Una critica a La Voce (versione corretta)


Come si usa dire, riceviamo e volentieri pubblichiamo un intervento di un nostro dottorando di Siena (un prima versione da me postata mancava delle ultime righe, mi scuso con Daniele)

La monetizzazione del debito e lo spettro dell’inflazione
di Daniele Girardi


Su Lavoce, due economisti italiani affermano1 che “il problema dell’Italia è l’elevato livello di debito pubblico” e sostengono che se anche la BCE accettasse di effettuare operazioni straordinarie per ridurre l’onere del debito, queste misure avrebbero impatti pesanti per l’economia reale. In particolare produrrebbero un elevato tasso di inflazione, devastante per il potere d’acquisto dei lavoratori. Per cui non c’è nulla da fare: dobbiamo “stringere la cinghia”. L’articolo si iscrive quindi nel ricco filone “l’austerità sarà anche brutta, ma non ci sono alternative”, il più frequentato dai sostenitori dei tagli al bilancio pubblico da quando il filone “l’austerità favorisce la crescita” è stato abbandonato per perdita di credibilità.

Le operazioni straordinarie di cui stiamo parlando consisterebbero, in sintesi, nello stampare2 moneta e utilizzarla per acquistare titoli di Stato, in modo da ridurre gli interessi sul debito. Un operazione anche nota come “quantitative easing”3. In pratica, ci spiegano Lippi e Schivardi, questo significherebbe immettere nel sistema economico una quantità di nuova moneta pari all’ammontare dei titoli acquistati. “Ci sono pochi dubbi - continuano i nostri - che l’enorme aumento della massa monetaria condurrebbe a un proporzionale aumento dei prezzi”. “Monetizzare” una quantità significativa del nostro debito pubblico provocherebbe “tassi di inflazione a due cifre per un decennio”, con gravi conseguenze per “tutti i percettori di redditi fissi”, cioè per tutti i lavoratori dipendenti e i pensionati. Insomma una catastrofe.

Mi scusino i due professori ma io qualche dubbio ce l’ho. Temo infatti che nel loro ragionamento ci sia un errore basilare, evidente persino ad uno studentello imberbe come me. Se un economia è lontana dalla piena occupazione non c’è alcun motivo per cui uno stimolo monetario (cioè un aumento della quantità di moneta a disposizione di cittadini, banche e imprese) dovrebbe generare “un proporzionale aumento dei prezzi”. In effetti, la Banca Centrale degli Stati Uniti sta “monetizzando” il debito da quattro anni e a grandi ritmi ma l’inflazione USA è rimasta molto bassa.

Immaginiamo un’economia in cui tutti i fattori di produzione sono pienamente utilizzati: non è possibile aumentare la produzione. Se aumenta la quantità di moneta detenuta dai cittadini, aumenterà la loro domanda di beni e servizi. Non potendo aumentare la produzione, l’aumento di domanda genererà automaticamente un proporzionale aumento dei prezzi. Ecco l’alta inflazione contro cui ci mettono in guardia Lippi e Schivardi. Ma in un economia in cui ci sono lavoratori disoccupati e impianti che non lavorano a pieno regime, un aumento della domanda genera un aumento della produzione, più che dei prezzi. Ora, è chiaro a tutti che l’Italia è un economia lontanissima dalla piena occupazione.

Nelle attuali condizioni, in Italia la “monetizzazione” del debito genererebbe tutt’al più un moderato aumento dell’inflazione. E dato che siamo in deflazione, questa sarebbe una buona notizia, non certo la catastrofe paventata da Lippi e Schivardi. Lo stimolo monetario potrebbe semmai contribuire a ridurre la disoccupazione. Inoltre il quantitative easing indebolirebbe il tasso di cambio dell’Euro, attualmente troppo alto secondo molti osservatori, dando una boccata d’aria alle nostre imprese esportatrici.

Forse alcuni economisti sono così abituati a lavorare sui modelli cosiddetti “neoclassici”, in cui solitamente si assume che l’economia sia perennemente in piena occupazione, da dimenticare che nel nostro paese i fattori produttivi sono sottoccupati. Fatto sta che “monetizzare” il debito dei paesi periferici avrebbe semmai ricadute positive sull’economia europea (la cui portata non va però sopravvalutata, sopratutto in assenza di una politica fiscale espansiva). Agitare lo spettro di un’inflazione a due cifre, nell’attuale fase di deflazione cronica, suona francamente grottesco. Il vero problema è che nell’Eurozona non sussistono le condizioni politiche per effettuare la monetizzazione del debito. E questo è uno dei motivi per cui la permanenza nell’Eurozona si sta rivelando insostenibile per i paesi del Sud Europa. 

1 L’articolo è questo: http://www.lavoce.info/conseguenze-ripudio-debito/
2 Ovviamente nel 2014 la creazione di moneta non richiede la stampa di nuove banconote, ma semplicemente di accreditare le somme sui conti in banca dei beneficiari.
3 Per saperne di più sulle varie tipologie di quantitative easing che la BCE potrebbe mettere in campo e i loro probabli effetti, si veda esempio l’articolo di Bergamini e Cesaratto su Economia e Politica: http://www.economiaepolitica.it/index.php/europa-e-mondo/cose-il-quantitative-easing-e-che-effetti-puo-avere/#.U3ZMFfmSxyw