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sabato 23 dicembre 2017

Su socialismo e organizzazione del lavoro



Su invito di Meri Lucii, che ha scritto qualche riga di introduzione, pubblichiamo questo breve scritto della cara Federica Roà, che ci ha lasciato da qualche anno, sui problemi del socialismo e l’organizzazione del lavoro, una riflessione che è rimasta purtroppo solo abbozzata, ma è nondimeno una traccia di lavoro. 
(Sul tema del socialismo si vedano anche i seguenti post: uno e due)



Questo scritto di Federica Roà* "Sulla organizzazione del lavoro nelle economie Socialiste e Capitaliste", presentato nel 2010 al Convegno “Sraffa's Production of Commodities by Means of Commodities 1960-2010", è centrato su una questione che possiamo così sintetizzare: in una economia organizzata in modo non capitalista, in cui è quindi assente la minaccia della disoccupazione, come è possibile indurre le persone a svolgere lavori faticosi, ripetitivi, noiosi, che comportano condizioni spiacevoli? Lavori che costituiscono tutt'ora una buona parte delle attività lavorative delle economie industrialmente avanzate.

Pensiamo che lo scritto possa essere di interesse soprattutto per chi, formatosi negli ultimi decenni, ha avuto l'esistente come unico orizzonte. E magari stimolare lo studio e la ricerca in campi poco esplorati. Ad esempio cercare di dare concretezza, attraverso una indagine in una o più imprese che usano tecnologie avanzate, all'idea ricorrente per la quale saranno le macchine, quando usate per fini diversi dal profitto, a liberare l'essere umano da lavori degradanti.

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*Federica Roà è stata consulente dell'ISMO, una società di Milano che si occupa di Organizzazione. In quello che sarebbe stato l'ultimo periodo della sua vita, si era si era interessata ai problemi del lavoro nell'Unione Sovietica nell'ambito di una collaborazione con il Professor Pierangelo Garegnani dell'Università degli Studi Roma Tre.

domenica 16 novembre 2014

Quale capitalismo dietro l’angolo?



Pubblichiamo la recensione all'ultimo libro di Ernesto Screpanti pubblicata sabato 15 novembre da il manifesto.

Quale capitalismo dietro l’angolo?
Sergio Cesaratto
L’ultimo libro di Ernesto Screpanti per la Monthly Review Press (ma acquistabile on line anche in italiano)* è assai ambizioso e solleva questioni che la sinistra non può sottovalutare. Che negli ultimi trent’anni, crisi o non crisi, il capitalismo abbia sovvertito i rapporti di forza fra capitale e lavoro marginalizzando in gran parte del globo le forze del cambiamento sociale è un fatto evidente a tutti. L’abbandono delle politiche di pieno impiego sul finire degli anni 1970 complici le ideologie ultraliberiste alla Thatcher e Reagan, la globalizzazione con la concorrenza massiccia nel mercato del lavoro capitalista di centinaia di milioni di nuovi lavoratori e, aggiungerei, la caduta di ogni speranza nella sfida del socialismo reale quale l’abbiamo conosciuto, sono alla base di questo mutamento epocale. Il mutamento dei rapporti di forza che si era progressivamente prodotto nei precedenti cento anni nei paesi di più antica industrializzazione e culminato nell’epoca d’oro del capitalismo appare ora il risultato di circostanze non più ripetibili, almeno per molte decadi a venire. In questo contesto Screpanti si propone di prefigurare quali sono le caratteristiche del capitalismo nella nuova fase definita dell’imperialismo globale.

lunedì 2 dicembre 2013

Il futuro del capitalismo



 Pubblichiamo mio intervento su Economia e politica.
Il capitalismo fra la pentola delle bolle e la brace della stagnazione
Sergio Cesaratto
Il presagio di una tendenziale stagnazione del capitalismo è stata avanzato in un intervento al FMI dall’eminente economista di Harvard ed ex segretario al Tesoro americano Larry Summers. Il funesto vaticinio ha scatenato molti commenti nella blogsfera internazionale ed è stato prontamente sottoscritto da Paul Krugman nel suo popolare blog sul New York Times e da Simon Wren-Lewis, un altro influente blogger e macroeconomista a Oxford. In sintesi Summers ha argomentato che il capitalismo può evitare una stagnazione secolare solo se riesce a riprodurre bolle borsistiche o immobiliari simili a quelle che l’hanno sostenuto nel recente passato, sfociate tuttavia nella crisi finanziaria. Come in altre occasioni durante la crisi gli economisti mainstream si accorgono tardi e maldestramente di ciò che gli economisti critici da sempre denunciano.

giovedì 1 dicembre 2011

Malata la finanza o l’economia reale?

Pubblichiamo oggi una trascrizione degli appunti che avevo preso per un intervento a un convegno che possono essere di qualche interesse circa l'interpretazione della crisi . Nel frattempo un ottimo aggiornamento sul dibattito europeo è sul NYT di oggi. La sintesi della situazione è che i mercati non crederanno anche in interventi un po' più sostanziosi, in primo luogo perché barocchi nell'architettura (la BCE che finanzia il FMI che poi presta soldi ai paesi indebitati o diavolerie del genere); e in secondo luogo perché le misure di austerità che la Germania chiede determineranno un aggravamento della situazione (oltre a una espropriazione inaccettabile delle sovranità nazionali): "New disciplinary rules do little to address the structural flaws in the euro zone, where countries of very different economic levels, models and export potentials share the same currency, creating persistent trade and credit imbalances. Structural reforms inside countries, no matter how valuable in the long run, take a long time to work. And austerity alone cannot produce economic growth, which is the main cure for too much debt." Prof. Monti, cosa risponde?
Malata la finanza o l’economia reale? E’ il capitalismo a essere perverso
Sergio Cesaratto
In occasione di un convegno per il 40° anniversario della Fondazione Brodolini mi sono trovato a discutere la relazione di uno studioso tedesco, C.Kellerman, il quale sosteneva che causa della crisi finanziaria e degli squilibri globali ed europei fosse stata la finanza sregolata. Questo mi ha consentito talune considerazioni su un frequente fraintendimento nella sinistra secondo il quale, in fondo, l’economia reale sarebbe sana mentre è l’economia finanziaria a esser malata. Questa tesi a ben vedere, è la medesima con cui gli economisti ortodossi - inclusi quelli più liberal come Stiglitz o Krugman - si sono difesi per non aver visto l’arrivo della crisi (non sapevamo, non vedevamo). E’ vero, Kellerman metteva anche la crescente iniquità nella distribuzione del reddito fra le ragioni della crisi, ma senza connetterla con l’altra presunta causa.