Breve articolo in una bella pagina dedicata al lavoro sull'antico quotidiano La libertà di Piacenza. h/t a Elisa Malacalza.
Diseguaglianza e perdita di tutele a livelli impensabili
Viviamo dal principio degli anni ’80
dello scorso secolo un periodo di sconfitta storica del lavoro, dopo decenni di
lotte e avanzamenti culminati nei “trent’anni gloriosi” del dopoguerra,
caratterizzati dal pieno impiego e da elevati salari diretti e indiretti (via
stato sociale). La diseguaglianza e la perdita di tutele ha raggiunto ora livelli
impensabili solo pochi anni fa. Questo trend fa apparire i decenni gloriosi un
incidente storico, dovuto a contingenze che hanno temporaneamente spostato i rapporti di forza a favore delle lotte
del lavoro, piuttosto che una smentita delle cupe previsioni di Marx circa la
capacità del libero mercato di apportare permanentemente
benessere diffuso e crescente. Quelle contingenze hanno certamente avuto a che
fare con la sfida del socialismo reale nel proporre un’alternativa al
capitalismo reduce dalla grande crisi degli anni trenta, dalle dittature
fasciste (sconfitte per l’apporto determinante dell’URSS), dai conflitti
mondiali. La piena occupazione arrecò tuttavia, a fine anni ’60, grande
indisciplina sociale. Successivamente, inoltre, la sfida socialista cominciò a
declinare nell’immaginario delle classi lavoratrici occidentali, sia per le sue
evidenti difficoltà culminate poi in una crisi mortale, che per l’assuefazione
a cospicui consumi opulenti. Il capitalismo ne approfittò per ritirare
progressivamente quanto aveva concesso nei decenni precedenti. Gli strumenti
della reazione, volti a minare ogni capacità di risposta delle classi
lavoratrici, sono stati svariati: elevati tassi di disoccupazione dagli anni
’80, trasferimento di intere branche produttive nei paesi in via di sviluppo,
flussi migratori.
Questi processi si sono presentati
nel nostro paese in forma più drammatica. Paese storicamente ultimo fra i paesi
avanzati, ha visto anni di conflitto violento fra una borghesia incapace di un
compromesso socialdemocratico e le classi lavoratrici. L’adesione alla moneta
unica è stata, da ultimo, lo strumento attraverso cui, nelle parole di uno dei padri
dell’euro e ministro ulivista, gli italiani dovevano riapprendere la “durezza
del vivere” (Tommaso Padoa Schioppa, Corriere
della sera, 2003). Il prezzo pagato dal paese con l’adesione al sistema
monetario europeo prima, e all’euro poi, sono stati disastrosi. Non si è
lontani dal vero se si afferma che l’ampia di dimensione del debito pubblico e
la perdita di interi settori industriali siano il frutto della scelta di
autoimporsi la “disciplina europea” ispirata dagli Andreatta, Ciampi e Padoa
Shioppa. La scomparsa delle grandi concentrazioni operaie, la diffusa
frammentazione e precarietà del lavoro, l’elevata disoccupazione e la
concorrenza coi lavoratori immigrati rende oggi molto difficile una reazione
delle classi lavoratrici. La gabbia europea e la vocazione mercantilista
tedesca vincolano l’azione di qualunque governo progressista mortificando le
scelte dell’elettorato, come in Grecia. La politica, a destra e a sinistra, si
risolve così un chiacchiericcio incapace di proporre soluzioni concrete alimentando
così l’anti-politica. Il famoso antropologo Karl Polany sosteneva che le
società vessate dal liberismo scatenato possono reagire a difesa della
possibilità stessa di relazioni umane. La nostra speranza è affidata alla
comparsa di un “Polanyi moment”.
Nessun commento:
Posta un commento