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L'Economia e l'Europa secondo Sergio Cesaratto
Intervista all’economista Sergio Cesaratto sui macrotemi dell’economia europea e su come e perché uscire dalla morsa del capitalismo europeo.
- di Alba Vastano
- 29/07/2017
Credits: foto di Sergio Cesaratto (Madrid-stazione Antocia)
“Un’altra Europa non è possibile in quanto le
entità politiche e monetarie sovranazionali hanno un’insopprimibile
impronta liberista e sono funzionali a smantellare gli spazi nazionali
in cui si esprime il conflitto sociale che, se regolato, è il sale
della democrazia” (S.Cesaratto).
Per capire la crisi più lunga che l’Europa sta
attraversando, le cause del crollo delle economie nazionali e il perché
dovremmo pensare, sapendo che non sarà un percorso facile, a liberarci
dalla gabbia dell’Europa e dell’euro, proviamo ad andare a lezione di economia. L’intervista che segue a Sergio Cesaratto
professore ordinario di Economia internazionale, Politica monetaria
europea e Post-Keynesian Economics presso l’Università di Siena, autore
del saggio “Sei lezioni di economia”, offre un panoramica
sui macrotemi dell’economia e sulle dinamiche originarie che hanno
portato il mondo del lavoro e l’economia europea in un loop da cui è necessario uscire al più presto.
Professor Cesaratto, lei è un economista
eterodosso rispetto agli economisti marxisti che ritengono ancora oggi
valida la legge sulla caduta tendenziale del saggio di profitto. Ci può
spiegare in breve in cosa consiste il suo disaccordo sulla teoria del
valore?
Se ne discute da 150 anni, difficile rispondere in poche righe. Ricardo sapeva già che la teoria del valore lavoro
non funziona rigorosamente, e anche Marx. Questi cerca una soluzione, e
si avvicina in un certo senso a quella di Sraffa. Tale soluzione alla teoria dei prezzi e della distribuzione comporta l’abbandono del valore-lavoro, ma non dell’idea che i profitti derivino dallo sfruttamento, L’abbandono della legge tendenziale della caduta del saggio del profitto non dovrebbe poi preoccupare. Quella legge è basata sul valore-lavoro e perciò è sbagliata.
Perché, inoltre, dovremmo attenderci che il capitalismo cada come una
pera matura?Attardarci su una legge previsione sbagliata porta a
errori politici rilevanti: si trascura il ruolo della scarsità di
domanda aggregata e della distribuzione diseguale nel determinare la
crisi del capitalismo, per esempio. Si ritiene il capitalismo
irriformabile, in tal modo trascurando gli spazi che vi sono
potenzialmente per conquiste sociali nell’ambito di una economia di
mercato (con un maggior ruolo dello Stato, naturalmente).
Si afferma sempre più e da voci autorevoli
nel campo dell’economia che questa Europa è irriformabile e così com’è
oggi ha come unico obiettivo lo smantellamento di tutti i sistemi
finanziari e degli spazi nazionali. Allora, professor Cesaratto, può
dirci le motivazioni fondanti e spiegarci il perché?
Che l’Europa sia irriformabile siamo purtroppo
ancora in pochi ad affermarlo. Non può cambiare per ragioni politiche: è
un consesso di nazioni diverse. La solidarietà europea, persino fra i
lavoratori, è nei sogni di certa sinistra. I lavoratori tedeschi od
olandesi non hanno nessuna fantasia di risolvere i nostri problemi.
Aver messo assieme la moneta con queste altre nazioni è stata una
follia. Lo sa perché molti a sinistra hanno cambiato idea sull’Europa?
Lo han fatto dopo essersi trovati a discutere con la sinistra europea,
socialista, sindacale ma non solo. Ricordiamo che anche in Podemos,
oltre che in Syriza e per la maggioranza della Linke l’argomento Europa
è tabù.
La crisi in atto ha come punto nevralgico la mancanza di sovranità monetaria nazionale e quindi di banche CENTRALI nazionali?
Direi di sì. Un po’ di flessibilità del cambio
avrebbe dato ossigeno alla nostra economia. La questione gira tutta
attorno a questo nodo. Taluni lo negano.
Tutta colpa del neoliberismo,
dell’ordoliberismo tedesco (economia sociale di mercato) e delle
banche? O c’è anche dell’altro? E tra liberismo e ordoliberismo quali
le differenze sul ruolo del rapporto fra Stato e mercato?
Attenzione, “economia sociale di mercato” è un termine trappola da non indentificarsi con una genuina socialdemocrazia. Distinguere fra liberismo e
ordoliberismo è complicato, anche perché non c’è un unico liberismo.
Il liberismo estremo assegna allo stato un ruolo marginale; il
liberismo compassionevole gli assegna un ruolo di regolazione dei
mercati e di tutela dei più deboli; l’ordoliberismo è più complesso a
definirsi. Per certi versi ha un contenuto di mercantilismo (pensiero
che ha una grande tradizione in Germania via cameralismo e Friedrich
List): lo Stato si mette al servizio del mercato. L’ordoliberismo è una
sorta di mercantilismo liberista. Nel modello tedesco i sindacati
vengono cooptati via con determinazione. Lo Stato c’è eccome in Germania: è un vero comitato d’affari della borghesia.
Con una Italexit dall’euro e dall’Europa, progetto non fruibilissimo, promosso anche dalla piattaforma Eurostop
quali rischi e quali vantaggi s’incontrerebbero nel il sistema
economico e finanziario nazionale? E come andrebbero a finire debiti e
crediti?
I rischi sono molti, dall’isolamento politico a
quello economico. C’è incertezza ovviamente sui vantaggi di un cambio
flessibile, sebbene io propenda a ritenere che questi vi siano (a meno
di ritorsioni). Il problema del debito estero non ridenominabile è
serio. Naturalmente tutto si può affrontare e tutto si aggiusta, se le
circostanze storiche ci portassero a una rottura. Questa non appare
tuttavia all’orizzonte. Probabilmente verrà consentito all’Italia di
tirare a campare. Del resto questo è nella tradizione tedesca: dobbiamo
aiutare l’Italia a tenere la bocca appena fuori dall’acqua perché non affoghi,
disse Helmut Schimdt nel 1975 in occasione di un prestito tedesco
all’Italia (lo ricordavano spesso Marcello De Cecco e Nando Vianello).
Del resto l’andamento demografico del paese ne fa vedere la lenta
scomparsa, con i giovani più brillanti (finché ve ne saranno) che
emigrano, e con le più modeste aspirazioni di vita di chi arriva. Un
triste destino per un paese dall’immenso patrimonio culturale. Ma i
suoi lettori mi daranno del rosso-bruno. Del resto, l’assenza di un
orgoglio nazionale è un’altra caratteristica della “sinistra” (non
certo della Resistenza).
Passiamo al suo “Sei lezioni di economia
(conoscenze necessarie per capire la crisi più lunga), il suo ultimo
saggio. Non è un testo decriptabile per tutti, quindi a quale fascia di
lettori lo ha destinato e per quali fini? Forse per smontare le
convinzioni di chi pensa ancora “È l’Europa a chiedercelo”?
Il testo è decriptabile a chiunque ci si metta
seriamente sopra. L’ho scritto certamente per un pubblico relativamente
giovane, più fresco di studi. Ma è rivolto a tutte/i, del resto perché
interessarsi di politica se si dice che di economia non si capisce
nulla. Il libro dimostra che l’economia è alla portata di tutte/i,
certo nulla si ottiene senza un po’ di fatica. L’economia “mainstream”
si ammanta di latinorum per mostrarsi impenetrabile ai più, ma è solo
un mantello che copre la pochezza. Ma a sinistra il disinteresse per
l’economia ha radici profonde. Da un lato essa non è mai stata
riformista nel senso nobile dei padri del socialismo. Riformismo vuol
dire concretezza. La sinistra italiana è astratta, intellettualistica,
spesso retorica - infatti sono recentemente andati per la maggiore
certi economisti simil-Saviano, anche se ora fortunatamente la loro
affabulazione sta venendo a noia. Una volta, tanti anni fa quando il manifesto
lanciò l’ennesima delle sue inutili campagne - la camera di
compensazione mi sembra si chiamasse – sentii Alberto Asor Rosa, il
noto intellettuale, dire con grande autocompiacimento di uno di questi
econo-affabulatori: “Non capisco quello che dice, però mi sembra bravo”.
Ecco questa è la sinistra, ci si autocompiace di parlarsi addosso.
Dall’altro, poi, l’economia è oggi delegata a Bruxelles o Berlino, per
cui ci si parla a sinistra in maniera autoreferenziale, come si vede
dal tormentone sulla lista di sinistra, tutto politique politicienne.
Bertinotti pare Togliatti al confronto! Al massimo a sinistra si
parla di diritti civili. Ma lì si è tutti d’accordo (la gente comune
spesso di meno). E mi faccia aggiungere. L’idea di ricostruire la
sinistra “dal basso” con la Costituzione come asse è assai debole. I
leaderini locali di un comitato per l’acqua pubblica più quelli del
comitato per il no non fanno un progetto (e tantomeno radicamento in
grandi masse). E la Costituzione fissa alcune direzioni, ma non come
perseguirle. Non basta agitare i principi senza porsi il problema di
come realizzarli.
Teoria del sovrappiù, ovvero la differenza
fra il prodotto finale e i reimpieghi. È la prima lezione del saggio in
cui intervengono i suoi ipotetici studenti ponendole domande
specifiche sulla teoria. Per i lettori meno esperti può fornire un
esempio di applicazione pratica di questa teoria? Fra quali classi
sociali oggi viene ripartita?
Nel libro si mostra come la teoria del sovrappiù
apra il tema della diseguaglianza, e questa quello della scarsità di
domanda aggregata nel capitalismo. In questa luce si interpreta il
mercantilismo tedesco. Gli antropologi economici, che utilizzano il
concetto di sovrappiù (quello che avanza del prodotto sociale una volta
pagate le sussistenze ai lavoratori), identificano con l’emergere del
sovrappiù agricolo lo sviluppo della civilizzazione ma anche quello
della diseguaglianza. Quest’ultima ha preso diverse forme nella storia
(le forme economiche di Marx). Il capitalismo sta tornando, dopo la
parentesi della “golden age” dovuta alla sfida socialista, ai suoi aspetti peggiori. L’immiserimento del proletariato previsto da Marx,
e per il quale è stato ridicolizzato, sta avverandosi. Si era
arrestato per le lotte del movimento operaio e nazionali, non perché il
capitalismo arrechi giustizia sociale.
Nella seconda lezione si parla di economia
marginale, riferendosi alla rivoluzione marginalista di fine XIX
secolo. Vi è in questa teoria l’idea di individui con il doppio ruolo
di proprietari e consumatori. Quali riferimenti ha con Ricardo e Marx
con cui la teoria sembra essere in contraddizione. Mentre Ricardo
afferma che il libero mercato non conduce al pieno impiego i
marginalisti affermano il contrario…
Sì, le teorie “borghesi” di Smith e Ricardo non hanno nulla a che vedere col marginalismo, tant’è che Marx è un economista ricardiano.
Rispetto a Ricardo storicizza il modo di produzione che sta
esaminando, naturalmente. Due capitoli del libro spiegano come
l’approccio del sovrappiù sia compatibile con la visione di Keynes.
Professor Cesaratto, nella quarta lezione
si parla di moneta e vincolo estero. Ci avviciniamo al problema
sovrano. Secondo la teoria cartalista e i sostenitori della Modern Monetary Theory
“una moneta è accettata per i pagamenti nella misura in cui lo Stato
assicura che con quella moneta si possano a pagare le imposte”. Come
funziona con le banche, ovvero qual è il sistema di pagamento fra
banche che infine si rivolgeranno a una banca centrale “la banca delle
banche”, che detiene la loro riserva bancaria?
Il fatto che la moneta emessa da uno Stato sovrano
sia accettata per i pagamenti in quanto può essere utilizzata per
pagare le tasse, la nota tesi cartalista, non implica però
che questa medesima moneta sia accettata dagli stranieri per pagare le
importazioni. L’esistenza del vincolo della bilancia dei pagamenti, per
la maggior parte dei paesi del mondo, è centrale in ogni discorso
economico. Anche se potessimo tornare alla lira, l’ammontare di
importazioni sarebbe per noi vincolato dalla valuta internazionale
(valuta pregiata) che ci procacciamo con le esportazioni, materiali e
immateriali. Purtroppo l’MMT sta propagandando la falsa tesi
che il vincolo estero non esiste. Lo crede un gruppetto di economisti
americani e australiani contro tutta l’economia eterodossa e anche
ortodossa.
L’Ume (unione economica monetaria)
rassicura quindi i correntisti con questa funzione, ma questo non è
avvenuto durante la tragedia greca del 2015, quando i correntisti
furono costretti al razionamento giornaliero dei prelievi, ridotto a 60
euro al giorno. Cosa avvenne in effetti?
Sono contrario ad accusare Draghi di ogni male. Il
Presidente della BCE fa il suo mestiere e lo fa bene, piaccia o meno.
Non piace ai Tedeschi, che sono degli ottusi; non piace a certa
sinistra che deve trovare un colpevole per il fallimento di Tsipras.
Personalmente non lo accuso di nulla. La situazione greca era ed è
drammatica, proprio per un drammatico vincolo estero. La sinistra
dovrebbe imparare a guardare le cose per come stanno: le strade erano
due: chinare la testa o andarsene. Uscire voleva dire misure da
economia di guerra (è ridicolo, per tornare a quanto detto sopra,
perorare che essa potesse uscire dall’euro e pagare le importazioni
stampando dracme). Quindi controllo delle importazioni, razionamenti
vari ecc. Ma di questo a sinistra non si discute, alle
brigatekalispera piace ballare il sirtaki in piazza Syntagma.Il manifesto è poi è l’agitprop di
Syriza: i giornalisti greci a Roma sono comparabili a quello di Saddam che, coi carri americani dentro Bagdad, parlava di
vittoria imminente. Questo impedisce ogni seria riflessione.
Quali sono attualmente per le banche i Paesi dell’Ue finanziariamente non affidabili?
Tutti i paesi sono affidabili sino a quando la BCE
garantisce i loro titoli di Stato, e grosso modo lo fa - vedremo poi
quando Draghi se ne andrà nel 2019 e verrà il falco Weidmann, uomo
della Merkel. E sono affidabili sino a quando applicano moderazione
fiscale, che è volta a tenere sotto controllo il loro indebitamento
estero. Al momento non vedo segni di crisi finanziarie. Potrebbe essere
l’ottusità tedesca, o una grave crisi politica in Italia (ma un
Enrico Letta lo si trova sempre), a riaccendere la crisi. A proposito,
anche sul proporzionalismo a tutti costi della sinistra avrei da
ridire.
Secondo il suo collega Bagnai, se l’Italia
tornasse ad un’ipotetica lira o altro conio nazionale, “il principale
beneficio di un riallineamento nominale, sarebbe di aprire qualche
spazio fiscale. In assenza di riallineamento, ogni politica fiscale
espansiva comprometterebbe l’equilibrio esterno.
L’affermazione di Bagnai è assolutamente corretta,
dal mio punto di vista - ma perché Bagnai non è un eroe della sinistra e
l’abbiamo lasciato alla destra? Certo lui farà anche male, quelli sono
inaffidabili, ma la sinistra, credetemi, fa salire proprio la rabbia.
Con la vittoria di Macron
il pericolo scampato dalla Francia di ‘andare in bocca’ alla Le Pen’
introduce un elemento di stabilizzazione nella crisi europea e il
populismo lepenista ha subito secondo lei una battuta d’arresto?
Non mi sono rallegrato per la sconfitta della Le
Pen, certo non l’avrei votata, ma la sua sconfitta ha ora messo a
tacere le proteste anti-euro/pee, piaccia o non piaccia. Non sono
francamente ottimista. Le scelte sono fra un adeguarsi al gioco
europeo, quindi tentare di riguadagnare competitività attraverso un
renzismo migliorato (insomma il ritorno al disastroso duetto Bersani-
Letta). Questa strategia non ha futuro perché la ripresa della
produttività dipende dalla ripresa della domanda interna, quindi dalla
fine della deflazione marca europea. Ma dentro l’euro, senza un po’
dello spazio fiscale di cui parlava Bagnai, questo è impedito. Fuori
dall’euro è un’incognita, ma quando il gioco si fa duro... Ma la
sinistra italiana non è dura, è molliccia, melensa, autocompiaciuta,
chiacchierona. Non sa di economia perché non le interessano i problemi,
è autoreferenziale. Basta con i “ripensare la sinistra”, “cerchiamo ancora”,locuzionidel genere, questo arrovellarsi autoreferenziale, la sinistra grumble grumble.
Quello che si deve sapere lo si sa. Io non ho soluzioni, ma conosco i
problemi. So per esempio che la causa principale dello smarrimento
della sinistra è la fine del socialismo reale. Quanti ne sono
consapevoli? Pochi, ma del resto la sinistra è libertaria, e quel crollo
ha acriticamente approvato. Per il poco che posso organizzerò a Roma
in autunno qualche evento di riflessione in merito. Conosco gli
obiettivi più immediati: piena occupazione, giustizia sociale, più
intervento pubblico. Le strade vanno cercate formulando varie ipotesi e
scenari. Questo è discutere di contenuti. Se mi permettete un
annuncio. di tutto ciò ne parleremo a Roma il Campidoglio il 9
settembre con Leonardo Paggi, Antonella Stirati, Michele Prospero,
Massimo D’Antoni, Onofrio Romano e Nello Preterossi (non sarà una
passarella, saranno intervento meditati e con un comune sentire), e a
seguire tavola rotonda con Fratoianni, Anna Falcone, Speranza, Lerner e
Fassina. Organizza Sinistra per Roma. Personalmente non permetterò
che i politici parlino politichese. Spero che l’assenza di esponenti
comunisti sia casuale, l’avevo espressamente richiesta e mi batterò
perché siano presenti.
Scheda del libro:
Sergio Cesaratto, Sei lezioni di economia - conoscenze necessarie per capire la crisi più lunga (e come uscirne), Ed. Imprimatur
Sergio Cesaratto, Sei lezioni di economia - conoscenze necessarie per capire la crisi più lunga (e come uscirne), Ed. Imprimatur
L’autore: Sergio Cesaratto è professore ordinario di Economia internazionale, Politica monetaria europea e Post-Keynesian Economics presso l’Università di Siena. Il suo ultimo contributo scientifico dedicato alla crisi europea è scaricabile dalla pagina del Cambridge Journal of Economics (https://academic.oup.com/cje/article/41/4/977/2964673/Alternative-interpretations-of-a-stateless).
29/07/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: foto di Sergio Cesaratto (Madrid-stazione Antocia)
Credits: foto di Sergio Cesaratto (Madrid-stazione Antocia)
Ottimo articolo.
RispondiEliminaCondivido la maggior parte delle affermazioni di Cesaratto, in particolare il discorso sull'Europa e sulle politiche liberiste. Anche i riferimenti ai limiti della sinistra mi trovano d'accordo.
Dissento invece dal suo giudizio affrettato su Marx, che credo derivi da un fraintendimento della sua teoria.
La teoria di Marx non è quella di Ricardo. Lui non ha usato mai la dizione “teoria del valore-lavoro”, che è un'espressione dei ricardiani e degli sraffiani.
La teoria di Marx, l'analisi della merce, non serve solo a dimostrare lo sfruttamento dei lavoratori e la loro subordinazione ai dettami del capitale, ma anche ad analizzare come il lavoro sociale si riparta fra i vari
rami dell'industria e il suo prodotto fra le classi in un'economia di mercato. Ci fa vedere anche che dietro li scambio di merci si nascondono rapporti sociali e come il lavoro speso (valore in potenza), necessiti della validazione come lavoro sociale da parte del mercato, il che ha molto a che vedere con le keynesiane crisi da domanda, che Marx vede prima di Keynes.
Il ciclo del capitale è D-M-D': cioè una somma di denaro D viene spesa per acquistare ai prezzi di mercato i fattori produttivi – mezzi di produzione e forza lavoro, anch'essa merce – e, dopo il processo produttivo, il prodotto, ancora M, viene venduto per realizzare un valore D' superiore a quello sborsato all'inizio. Tale ciclo ha all'inizio e alla fine una somma di denaro, non input ed output di aggregati di merci di cui si deve ricostruire il valore, come avviene nelle equazioni simultanee di Sraffa. Tale interpretazione trova un supporto nelle recenti ricerche filologiche e nella pubblicazione degli indediti di Marx.
Pertanto il supposto errore della procedura marxiana di trasformazione dei valori in prezzi di produzione non sussiste. Non sussistendo resta valida anche la legge della caduta tendenziale del saggio del profitto, che oltretutto è confermata dall'evidenza dell'andamento storico di tale saggio, come del resto l'evidenza empirica conferma che i valori marxiani spiegano al 90 per cento i prezzi.
Pertanto Marx aveva, come Keynes, l'arma della critica alle difficoltà dello sbocco della produzione nel mercato. E i suoi schemi di riproduzione sono un formidabile strumento analitico di questa contraddizione e di come si potrebbe superare. Sennonché l'altra arma, che invece Keynes non ha, è quella della caduta tendenziale del saggio del profitto.
L'incrocio delle due contraddizioni dà una spiegazione completa delle crisi e della difficoltà a superarle. Tale incrocio spiega anche il perché si alternino politiche keynesiane a politiche recessive di tagli del welfare.
Tali politiche non sono dovute alla sciocchezza dei governanti, ma all'assoluta necessità di contrastare la caduta dei profitto rinvigorendo quelle che Marx chiama cause antagonistiche della legge.
MI permetto di segnalare a quest'ultimo proposito la serie dei miei articoli “La crisi questa sconosciuta”, www.lacittafutura.it e anche l'articolo su Sialettica e filosofia qui ripreso http://www.dialetticaefilosofia.it/scheda-filosofia-saggi.asp?id=65
Buongiorno prof. Cesaratto,
RispondiEliminaho letto nei giorni scorsi e molto apprezzato il suo "Sei lezioni di economia" e aderisco all'invito ai lettori di tenersi in contatto tramite il blog con alcune richieste di chiarimento.
1) Il suo libro mi ha confermato in modo molto chiaro nell'idea che i paesi del Nord Europa,Germania in testa, siano i principali beneficiari dell'Unione monetaria. La situazione che si è creata non permette però ai paesi come l'Italia di adottare politiche espansive "keynesiane" perchè ciò avrebbe ripercussioni non sostenibili sulla bilancia dei pagamenti, ho capito bene ?
2)Se i paesi del Nord sono quelli che più avrebbero da perdere da una rottura dell'unione monetaria, non sarebbe possibile da parte di quelli del Sud utilizzare questo fatto come strumento di pressione politica per la modifica dei trattati ? Non penso a un ricatto nelle segrete stanze, ma un presa di posizione politica dei governi che spieghi innanzitutto ai propri cittadini l'insostenibilità della situazione attuale e e chieda in modo trasparente alla istituzioni UE una modifica dei trattati . So che sembra una posizione ingenua , ma l'alternativa non è forse continuare in questo modo avvitandosi su meccanismi che prima o poi danneggeranno tutti, tedeschi compresi?
Grazie dell'attenzione e complimenti per il suo lavoro
Francesco Lollobrigida- Torino