Il referendum Greco e i compiti della sinistra
Stavros Mavroudeas
Stavros Mavroudeas
Per
sei mesi dopo la sua vittoria elettorale del 2015 il governo di Syriza ha
negoziato con l’UE. In queste trattative Syiza si è confrontata con l’ostinata
e crescente intransigenza dell’UE e delle istituzioni associate (BCE e FMI). Syriza
ha molto presto accettato la logica e la struttura del programma della Troika, cioè del
Programma di aggiustamento economico per la Grecia noto come Memorandum. Syriza
ha semplicemente cercato di modificarlo per renderlo meno brutale (per esempio
ritardando l’implementazione della riduzione delle pensioni e mascherando i
tagli salariali, riducendo gli obiettivi di surplus primario e rendendo così la
politica fiscale meno austera). Syriza ha anche richiesto una facilitazione nel
servizio del debito (attraverso forme di
ristrutturazione) e un aumento dei fondi per lo sviluppo (attraverso il
fantasioso Piano Junker) con lo scopo di far ripartire la moribonda economia
greca dopo 6 anni di austerità. Infine ha timidamente chiesto qualche impegno
circa una futura riduzione del debito Greco. L’UE, una volta intuito lo spirito
conciliatorio di Syriza e dato che l’intera partita si giocava sul suo terreno,
ha cominciato a premere per ulteriori concessioni. Quanto più Syriza scivolava
verso una capitolazione, tanto più l’UE pretendeva. Alla fine è risultato
politicamente impossibile per Syriza accettare tutte le richieste europee,
nonostante gli umilianti compromessi e il tradimento sfacciato del suo pur
mediocre programma elettorale. Questo ha condotto alla rottura dei negoziati e
alla convocazione da parte di Syriza di un referendum sulle richieste della
Troika.
La
rottura delle trattative prova oltre ogni dubbio la vera natura dell’UE: essa
impone gli interessi e le prerogative dei poteri capitalistici dominanti in
Europa. Essa impone le politiche di
austerità sui popoli e sui paesi più deboli a beneficio dei profitti
capitalistici.
Inoltre, la rottura delle trattative dimostra il
carattere irrealistico del programma del governo di Syriza volto a un
“compromesso decente” con l’UE che non fosse “né uno scontro né una
capitolazione” e per “stare nell’Eurozona a ogni costo”. Se un paese vuol stare
nell’Eurozona e nell’UE deve capitolare alle domande dei suoi poteri dominanti.
Così, persino la proposta di 47 pagine di Syriza per una versione più moderata
del programma di austerità della Troika è stata sdegnosamente rifiutato.
Il
fallimento della strategia di Syriza e lo strisciante malcontento popolare per
un ritorno delle politiche di austerità della Troika hanno obbligato il governo
a respingere le domande della Troika e a metterle ai voti attraverso il
referendum. Allo stesso tempo la leadership di Syriza ha sostenuto che nel caso
di una vittoria dei NO essa proporrà nuove trattative all’UE.
Syriza
ha fallito non solo strategicamente, ma
anche tatticamente. Essa non ha intaccato la struttura profonda dello
Stato che ha continuato ad essere gestita da funzionari obbedienti
all’oligarchia e, come se non bastasse,
Syriza li ha collocati in molte funzioni cruciali.
Per
esempio, Syriza non ha acquisito il controllo della banca centrale accettando, nominando
persino molti “uomini del sistema” alla
direzione di banche commerciali e di altre imprese pubbliche cruciali. Syriza
ha svuotato le casse dello Stato pagando stupidamente tutte le tranche del
debito al FMI e ai creditori internazionali. Sicché, un volta indetto il
referendum, l’UE in stretta cooperazione con la borghesia greca ha creato una
condizione di asfissia per il settore bancario obbligando Syriza a imporre un
severo controllo dei movimenti di capitale lo stesso giorno in cui si doveva
pagare una massa enorme di pensionati greci (mal pagati e con a carico una
grande fetta di popolazione). In tal modo un referendum che poteva diventare
una facile vittoria dei NO alle domande della Troika si presenta ora con un
esito incerto.
Per
giunta la borghesia greca ha immediatamente creato un fronte unito (mettendo da
parte le differenze politiche ed economiche), mobilizzato ogni mezzo
disponibile (mass media, pressione dei manager sui dipendenti ecc.) e
intraprendendo una campagna di disinformazione sfacciatamente terroristica e
tendenziosa. Il suo scopo è di terrorizzare il resto della popolazione (e in
particolare quei significativi segmenti della classe media che sono
sopravvissuti alla crisi e non si sono proletarizzati) affermando che a meno
che la Grecia si arrenda incondizionatamente alla UE, si scatenerà l’inferno
Di
fronte a questo assalto Syriza ha oscillato per un lasso di tempo critico
giocando (anche per pressioni al suo interno) con l’idea di cancellare il
referendum offrendo ulteriori concessioni all’UE con quest’ultima che – avendo
odorato il sangue – le ha respinte in maniera sprezzante. Solo a quel punto
Syriza a cominciato a impegnarsi per vincere il referendum, ma rassicurando allo
stesso tempo che un accordo sarebbe stato successivamente stipulato con la UE.
Nella
rimanente parte dello spettro politico della sinistra greca solo le maggiori
forze extra-parlamentari hanno raccolto la sfida e lottato con energia per un
massiccio voto popolare per il NO all’UE. Il Partito Comunista, tradendo tutte
le tradizioni comuniste della Grecia, ha suggerito di invalidare il volto, e
questo significa un aiuto implicito alla campagna per il Si.
Il
referendum di domenica è una battaglia cruciale. Ciò che è in ballo è se la
barbara ristrutturazione dell’economia e della società greca continueranno o se
un altro percorso verrà inaugurato.
Il
conflitto che viene combattuto segue chiaramente line di classe. Questo è quasi
evidente se ci si aggira nei sobborghi di Atene o nei posti di lavoro. Nei
quartieri borghesi o fra le funzioni manageriali c’è una imprevista
mobilitazione, persino di gente apolitica, in favore del Si. Dall’altra parte,
invece, fra la classe lavoratrice e nei quartieri popolari c’è una evidente
maggioranza di NO. La classe media tende a dividersi fra coloro che ancora
godono di benessere e quelli che l’hanno perduto.
La
prevalenza elettorale del Si, sia che Syriza rimanga al potere o meno, significherebbe
che la Grecia si assimilerebbe vieppiù ai più poveri vicini balcanici
(ulteriormente impoveriti dall’UE),
concorrendo con loro in una gara al ribasso di chi realizza costi del lavoro e offre
attività finanziarie più convenienti alla fine di ricevere una piccola
ricompensa dai padroni dell’UE.
Una
vittoria dei NO bloccherebbe questo destino. Essa si potrà realizzare solo
attraverso una mobilitazione popolare di massa che esisteva prima che ogni cosa
fosse erroneamente delegata a una vittoria elettorale di Syriza che si è
rilevata deludente. Questo metterebbe anche in discussione il tentativo di
Syriza, irrealistico e conservatore, di rinegoziare un nuovo memorandum. La
vittoria del NO rafforzerebbe la fiducia popolare che l’UE e la borghesia greca
non sono imbattibili e che un altro percorso fuori delle catene dell’UE è
praticabile.
E’
responsabilità dei militanti della sinistra e delle forze più attive della
classe lavoratrici prendere questa battaglia nelle loro mani.
*
Stavros Mavroudeas è Professore di Economia politica presso l’Università di
Macedonia (Grecia) ed è autore di numerosi contributi Postkeynesiani.
Nessun commento:
Posta un commento