Con colpevole ritardo posto pezzo uscito su il manifesto del 30 luglio.
La lezione greca
Sergio Cesaratto
Agli occhi della sinistra, indipendentemente dall’esito del referendum
greco, da questa vicenda l’Europa dovrebbe uscire politicamente distrutta - ma
il condizionale è ahimè d’obbligo. Come abbiamo già scritto su questo giornale,
le richieste di Syriza sono state più che moderate, fondamentalmente accondiscendenti
alla continuazione dell’austerità. La moratoria sul debito richiesta da Syriza
era qualcosa che l’Europa era comunque pronta a concedere, perché tanto un
debito che non si è in grado di pagare non sarà pagato. In cambio la Troika ha
chiesto la conferma delle politiche di austerità affinché la Grecia si ponesse
in condizione di non dover richiedere ulteriori prestiti. E su questo la
trattativa si è rotta, nel senso che la Troika non si è fidata delle misure pur
accomodanti proposte da Syriza, volendo tagli più certi e immediati.
La ricostruzione della saga greca che va avanti da cinque anni, e del
capitolo delle illusioni di Syriza che qualcosa in Europa potesse davvero
mutare, occuperanno gli storici per decenni.
In questo momento la scelta per il popolo greco è drammatica. Un voto sì
rappresenta la più evidente sconfitta politica per Syriza, e per il popolo
greco la continuazione dell’austerità. La vittoria del no apre due scenari. Il
più probabile è l’ulteriore ricerca da parte della maggioranza di Syriza di un
nuovo accordo con la Troika, ma non si capisce perché quest’ultima dovrebbe
accordare qualcosa che non aveva concesso prima. Gli sconquassi finanziari di
questi giorni potrebbero essere tali da indurre la Troika a concedere a Syriza
un accordo che salvi la faccia di tutti. Ma la sostanza sarebbe la
continuazione dell’austerità. Questo spiega i fischi di centinaia di giovani
anti-euro/UE che entravano a piazza Syntagma all’indirizzo di Varoufakis che
usciva dal Parlamento, a cui abbiamo assistito domenica.
Una scelta determinata di uscita dall’euro e dall’UE porrebbe invece la
Grecia in una situazione, inedita per l’Europa, di un paese che decide di
recuperare la propria autonomia economica e democratica. Questo richiede un
enorme coraggio politico e determinatezza. Il paese entrerebbe in una sorta di
economia di guerra, o più precisamente in una economia di controlli, quelli che
Federico Caffè vedeva come necessari per assicurare la piena occupazione. Sui
controlli si dovrebbe nei prossimi giorni utilmente ascoltare la lezione di
Massimo Pivetti, che al riguardo ebbe negli anni ’70 scontri epici con Luigi
Spaventa, uno degli economisti di riferimento del PCI. Il controllo dei
movimenti di capitale è la misura più ovvia; il controllo delle importazioni ne
è il complemento. Quest’ultimo significa che la (scarsa) valuta pregiata del
paese, viene allocata dallo Stato per le importazioni più importanti –
medicinali, beni industriali ed energetici ecc. – bloccando l’importazione di
beni superflui e di lusso. In questo quadro, la riconquistata sovranità
monetaria potrà permettere alla Grecia un rilancio della domanda interna,
mentre una limitata svalutazione della dracma renderà il paese ancora più
attraente al turismo. Necessarie anche forme di controllo dei prezzi (e dei
salari) e la destinazione prioritaria delle risorse al rilancio della politica
industriale. Niente miracoli, attenzione, ma si sarebbe fuori dall’austerità.
La Grecia avrebbe bisogno di alleati internazionali con cui stringere accordi
economici, e ve ne sono. Questo le potrà creare anche nemici che tenteranno di
destabilizzarla – superfluo far nomi.
Questa navigazione in mare aperto, fuori dai vincoli europei e del
liberismo sarebbe una lezione epocale per la sinistra europea (la sinistra
latino-americana è ben più avanti). Questa dovrebbe comprendere che fra
l’accondiscendenza a questa Europa (non ve ne sono altre) e il recupero,
politico e intellettuale, di opzioni che erano nel bagaglio dell’economista
sino a 40 anni fa, tertium non datur.
Vi sono in questa settimana occasioni politiche in cui di questo si può
cominciare a discutere. Non le perdiamo.
(il manifesto 30 giugno 2015)
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