Assai irritati con il manifesto che ha pubblicato la recensione a Bagnai non sul testo finale e con arbitrari ritocchi redazionali, e non pubblicando per giunta una mia lettera di protesta, chiediamo ospitalità a Il Foglio.
Tirare a campare o tirare le cuoia? L'eurodissoluzione vista dai saggi dell'SPD
Sergio Cesaratto
Mentre da noi prosegue il teatrino
delle noccioline in cui si affida l’illusione di po’ di ripresa a una ventina
di miliardi che non si sa né come distribuire né come reperire, la potente e socialdemocratica
Fondazione Ebert traccia alcuni scenari per
l’Europa che, questi sì, dovrebbero costituire materia di meditazione per la
politica. Sulla scorta di una quindicina di seminari tenuti in varie capitali,
quattro sono gli scenari descritti. Prima di riassumerli, vale la pena di osservare che
nessuno contempla l’idea che l’austerità europea a noi impartita dai
pro-consoli della Merkel avrà successo nel restituirci competitività e
prosperità. Che rigore e crescita fossero incompatibili e che l’austerità
avrebbe devastato il Paese denunciammo con pochi altri sin dai tempi della
famigerata lettera della BCE e dell’insediamento di Monti. Continuamente voci
si uniscono ora al coro. Tutti gli scenari danno inoltre implicitamente per
scontato che le responsabilità di fondo sono nell’esistenza stessa dell’Euro,
che mai avrebbe dovuto essere adottato da Paesi così disomogenei in assenza di
istituzioni adeguate. E al riguardo l’Economist
ha mosso ieri alla BCE la pesante accusa di non far nulla per aiutare l’Europa.
Due primi scenari sono sintetizzabili
nel “tirare a campare”. Più o meno proseguono le politiche correnti con una
periferia sempre più impoverita e socialmente instabile e un nucleo più
prospero, con una guida semi-autoritaria tedesca di un’Europa irrilevante a
livello globale. Ma quanto potrà durare l’umiliazione morale e materiale della
periferia con la sola pia speranza che, un giorno, la locomotiva nord-europea
la trascini fuori dalla devastazione? Opposto il terzo scenario di un’Europa
federale che si fa carico di assicurare un benessere uniforme a tutti i suoi
cittadini. Nemmeno la passione europeista di Bonino Presidente della Repubblica
riuscirebbe tuttavia a convincere tedeschi e satelliti a sborsare i quattrini
necessari per realizzare tale disegno. Che è, infatti, ritenuto il meno
probabile (la Ebert considera però il più desiderabile sì da mostrare che ci
sono tedeschi illuminati). Il quarto scenario è quello in cui l’insostenibile
situazione di impoverimento della periferia conduce alla rottura dell’euro. Come
si vede gli scenari più probabili sono quelli più tragici, ma non è detto. Che
insegnamenti trarne?
In primo luogo quello di basarci sulle
nostre forze avendo in mente la salvezza del Paese. Nessun aiuto verrà
dall’Europa. Persino la Ebert esclude che governi SPD possano mutare
significativamente il quadro. In secondo luogo la Ebert non contempla lo
scenario cooperativo più ragionevole (non dico più probabile): fine dell’austerità,
politiche fiscali e monetarie espansive e vera unione bancaria sino a far
ripartire la crescita. La Germania assumerebbe una leadership economica
positiva, ma a costi minori di un federalismo compiuto. Essa è però poco
interessata ai destini dell’Europa del sud, e teme che queste politiche, coi
loro onori e oneri, possa nuocere alla sua prospettiva di Svizzera
dell’economia globale. Per noi vale però la pena battersi, in prima istanza,
per tali politiche costruendo opportune alleanze in Europa. In terzo luogo, la
Ebert dipinge a tinte fosche lo scenario di una rottura dell’euro. Questo esito
sarebbe realistico se la rottura fosse conflittuale con un lascito di rancori
(e debiti non pagati). La Ebert evoca però anche la possibilità di una rottura
consensuale, che preservi l’Unione Europea tornando alla situazione pre-1999.
Anche questa rottura ha aspetti complessi, ma nell’ambito di un accordo
politico tutto si risolve. La Ebert evita di parlare degli effetti positivi che
il ripristino delle valute nazionali potrebbe avere sui Paesi periferici, in
quanto questo dimostrerebbe al pubblico tedesco che questi soffrono per l’euro
e non (solo) per le loro ataviche colpe. Per il nostro Paese si tratterebbe di
una riacquistata libertà. Termine che purtroppo, è scambiato da troppi in
Italia come libertà di non pagare le tasse o, quando va bene, di insolentire il
prossimo. Avremmo invece bisogno di una guida politica e morale che conduca con
competenza Stato e società civile in un rinnovato processo di sviluppo e di
valori civili condivisi. Purtroppo dire che gli uomini della provvidenza a cui
il Paese si è in maniera improvvida sinora rivolto sono inadeguati, è far loro
un complimento. L’ultimo a proporsi, quello da Firenze, non ha manco nominato
la parola Europa. In questa cinica ignoranza sta la nostra tragedia.
Il Foglio, 6 Aprile 2013
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