La locandina dell'evento del 18 giugno a Roma, e accanto la recensione di Vladimiro su Il Fatto
Quotidiano
Quotidiano
Vladimiro Giacché - I furbetti di Berlino, il vero
problema dell’Eurozona
[pubblicato su Il Fatto Quotidiano, mercoledì 6 giugno 2018, p. 22]
“Il rifiuto della Germania occidentale di perseguire politiche
più espansive ha ridotto lo spazio disponibile agli altri Paesi membri di
crescere... La strategia restrittiva della Germania Ovest è in grande misura
responsabile della stagnazione dell’economia europea nell’ultima decade. I
Paesi europei si sono intrappolati in un programma di austerità mercantilista:
ciascun Paese cerca di accrescere efficienza e competitività internazionale
attraverso la riduzione dei salari relativi e dell’occupazione (e perciò della
domanda interna) nell’attesa che gli altri Paesi generino una domanda esterna
sufficiente per allargare i suoi sbocchi di mercato”.
Questa analisi
lucida e impietosa delle colpe della Germania nella bassa crescita europea non
si riferisce all’eurozona e non è stata scritta in queste settimane. E’ del
1986, si riferisce al Sistema Monetario Europeo (il precedessore - meno rigido
- dell’euro) e si deve a Pier Carlo Padoan (il nostro ministro delle finanze
uscente) e Paolo Guerrieri. È citata da Sergio Cesaratto nel suo ultimo libro, Chi non rispetta le regole? Italia e Germania, le doppie
morali dell’euro (Imprimatur) e ci avvicina nel modo migliore alle
tesi principali del libro.
Si tratta di una
citazione che mette in luce una delle radici della crisi europea di questi
anni: la combinazione del modello economico tenacemente perseguito per decenni
dal più grande paese dell’eurozona con le regole dell’Unione monetaria. Quella
stessa politica economica che Padoan e Guerrieri stigmatizzavano nel contesto
di un sistema di cambi semifissi, ha infatti avuto un effetto letteralmente
esplosivo allorché è stata attuata in un regime a cambi fissi.
Esplosivo per le economie più deboli
dell’area, che non hanno più potuto contare sulla protezione rappresentata da
rapporti di cambio flessibili contro le politiche mercantilistiche basate sulla
“moderazione salariale” e la compressione della domanda interna perseguite
dalla Germania. Ma alla lunga esplosivo per la sopravvivenza stessa dell’area
monetaria, esposta a sempre maggiori tensioni per la divergenza crescente tra
le condizioni economiche dei Paesi membri.
Quella combinazione
ha contribuito in misura essenziale a originare gli squilibri che sono sfociati
nella crisi europea. Poi, a crisi esplosa, l’imposizione di un ”programma di
austerità mercantilista” a tutti i Paesi dell’area ha avuto effetti
deflazionistici, colpendo soprattutto i Paesi in difficoltà, costretti ad
adottare politiche di compressione dei salari distruttive per la domanda
interna (e per le imprese che la soddisfacevano), senza che questo potesse
essere compensato dall’espansione delle esportazioni entro l’area monetaria
(perché tutti adottavano contemporaneamente queste politiche). Inoltre,
l’impossibilità per gli Stati dell’eurozona di perseguire politiche economiche
e monetarie autonome ha reso la ripresa più difficile e dolorosa (si vedano i
ben diversi ritmi di recupero post-crisi tra Spagna e Regno Unito, o tra
Finlandia e Svezia).
Questa è la storia degli ultimi anni. Una
storia il cui ultimo capitolo viene scritto dagli Stati Uniti di Trump, con i
dazi contro una fetta importante delle esportazioni europee: la UE, avendo
sacrificato la domanda interna, non è infatti in grado di offrire agli Stati
Uniti alcuna seria contropartita in termini di maggiori esportazioni
statunitensi in Europa al fine di evitare una guerra commerciale (quello che
sta invece negoziando la Cina, Paese in cui negli ultimi anni la domanda
interna è cresciuta).
Il libro di
Cesaratto ha il pregio di porre in luce, con l’ausilio di documentazione di
prima mano, alcuni snodi essenziali di questa storia. Un regime di cambi fissi
(l’euro) perseguito dall’establishment
italiano (politico ed economico) con l’obiettivo (riuscitissimo) di imbrigliare
il conflitto sociale, facendo della moderazione salariale la leva principale se
non unica del recupero di competitività, ma a scapito degli investimenti e
quindi anche della produttività del lavoro. Il mancato rispetto delle regole
del gioco di un’unione monetaria (pur codificate imperfettamente nel Patto per
la stabilità e la crescita del 1999) da parte della Germania, che le viola da
anni con un avanzo commerciale eccessivo che destabilizza l’area monetaria. Il
fatto che, a crisi scoppiata, l’aggiustamento necessario sia stato caricato
tutto sulle spalle dei debitori, resi ricattabili dal mancato sostegno della
BCE al loro debito pubblico (rifiuto coerente con il Trattato di Maastricht),
attraverso l’imposizione di politiche di consolidamento fiscale che hanno
ridotto la domanda interna, mentre i paesi in avanzo non facevano nulla per
espandere la propria.
Non manca nel libro
una dettagliata disamina delle posizioni oggi in campo per la “riforma
dell’UE”. Posizioni che secondo Cesaratto, invece di cambiare le regole che non
funzionano, vorrebbero renderle ancora più restrittive. E che eludono invece il
nodo fondamentale: quello della “irreversibilità del modello tedesco”, che
“apre problemi drammatici per l’area euro. Tale modello è infatti
destabilizzante per le altre economie, o le condanna a un’eterna deflazione per
evitare di essere sommerse dalle esportazioni tedesche e dai conseguenti
debiti. Il problema diventa politico, e riguarda la sopravvivenza dell’unione
monetaria come area di cooperazione e di sviluppo”. Infatti, conclude l’autore,
“l’obiettivo non può certamente essere quello di mantenere l’eurozona a tutti i
costi”, ma di “creare un quadro economico che consenta ai popoli dell’Unione
Europea di prosperare”.
A ben vedere, è questo il vero sfondo anche
delle polemiche che hanno accompagnato la contrastata formazione del nuovo
governo italiano.
Cesaratto is the new Bagnai
RispondiEliminaPotreste anche informarvi su quanto ha preso a suo tempo Stefano Feltri all'esame di Economia Politica II? Giusto per saperlo. Magari anche chi era il professore, povera anima.
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