Un articolo con Turci su il manifesto
Primi in rigore, ultimi in crescita
Sergio
Cesaratto e Lanfranco Turci
Alcuni
giorni fa il Financial Times
illustrava una memoria in cui Germania e Finlandia imputavano alla Commissione
europea di aver concesso margini di flessibilità di bilancio a Francia e
Spagna, allarmate che ora li possa domandare anche l’Italia. Il lettore smaliziato
si domanderà a questo punto: ma non sarà che la migliore performance economica
dei cugini latini rispetto al nostro paese abbia a che fare con il loro
comportamento più disinvolto a fronte del nostro rispetto alla lettera dei
vincoli europei? E’ così.
Le
recenti previsioni della Commissione europea
confermano infatti una timida ripresa nell’Eurozona, dell’1,2% nel 2014 e
dell’1,8% nel 2015 (inferiore al 2,9% e 3,2% degli Stati Uniti) con l’Italia
maglia nera fra i grandi paesi (0,6% nel 2014 e 1,2% nel 2015). Mentre il
nostro paese ha fatto del pieno rispetto dei vincoli europei sul disavanzo
pubblico l’architrave della propria politica economica, Spagna e Francia se ne
sono in certa misura disinteressate. Basti osservare che il disavanzo spagnolo
nel 2013 è stato del 7,2% e quello francese del 4,2% senza che i nostri cugini
abbiano subito particolari rampogne dall’Europa. Il diligente governo Letta col
suo 3% si aspettava grandi encomi e l’autorizzazione a non conteggiare alcuni
investimenti pubblici nel disavanzo del 2014. Ma l’Europa ha detto no e lo
spietato Olli Rehn non fa passare giorno senza richiamarci a ulteriore rigore.
E la questione non riguarda solo il passato ma anche il futuro. Dai dati della
Commissione si desume che mentre nei prossimi due anni noi manterremo il
disavanzo ben sotto al 3% e il disavanzo “strutturale” sotto l’1% (quest’ultimo
che tiene conto del ciclo e di altri fattori ha un obiettivo europeo dello
0,5%), sia Spagna che Francia sforeranno ampiamente questi vincoli.
Questi
paesi hanno dunque abilmente sfruttato i margini di flessibilità concessi dalle
bizantine regole europee deprimendo così meno la loro domanda interna e
crescendo un po’ più dell’Italia. La scommessa di Letta dell’allentamento dei vincoli
se avessimo fatto i bravi ragazzi non è stata solo persa, ma era anche assai
discutibile. Era il caso di scambiare centinaia di migliaia di disoccupati in
più accelerando la deindustrializzazione con la prospettiva una manciata di
miliardi di investimenti aggiuntivi? Spagna e Francia hanno fatto i loro
calcoli presenti e futuri meglio di noi.
Si
dirà naturalmente che col suo debito pubblico l’Italia non aveva alternative.
Ma queste politiche hanno gettato il paese allo sfascio e fatto salire il rapporto
debito/Pil al 130%, non certo un risultato eccellente. Vero che se ci
comportassimo come i nostri cugini cercando di sostenere di più la domanda
interna i nostri conti con l’estero peggiorerebbero. Ma non dimentichiamo che
vittima del crollo della domanda interna sono anche le imprese esportatrici e
questo fa comunque peggiorare i conti esteri. E che invece di cercare di
sostenere la domanda aggregata europea, come nelle responsabilità di una vera potenza
regionale leader, Berlino sta perseguendo una politica di pareggio di bilancio
(0,1% nel 2013, pareggio i prossimi anni) e addirittura di surplus se si depura
dal ciclo. Inoltre le previsioni della Commissione mostrano come il surplus
commerciale tedesco si manterrà ben al di sopra del limite del 6% del Pil per
cui la stessa Commissione aveva aperto lo scorso autunno una procedura di
“squilibrio eccessivo”. Ma la Germania, com’è noto, è la prima a infischiarsene
delle regole. Naturalmente non basta certo un po’ di sforamento dai vincoli
europei per generare una vera uscita dalla crisi, tutt’altro. Ma anche queste considerazioni
provano quanto siamo lontani dalla necessaria svolta energica nel nostro rapporto
con l’Europa e nelle politiche di quest’ultima di cui, infatti, non si vede
traccia nelle dichiarazioni del Presidente del Consiglio in piena continuità
con l’atteggiamento a dir poco remissivo dei precedenti governi.
(il manifesto 5 marzo 2014)
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