Economia e politica ha pubblicato una lunga e bella recensione di Lucio Baccaro al mio libro. Per chi non lo sapesse, Lucio ha ereditato da Wolfgang Streeck la direzione del prestigioso Max Planck Institute for the Study of Societies di Colonia.
Le
doppie morali della crisi europea
Lucio Baccaro
Max Planck
Institute for the Study of Societies
Settembre 2018
Sergio Cesaratto ha scritto un bel libro, Chi non rispetta le regole? (Cesaratto
2018), con l'obiettivo di smontare sistematicamente una particolare
lettura della crisi dell'Euro, che assolve completamente la classe dirigente
politica ed economica tedesca, e scarica per intero la responsabilità sui paesi
della periferia europea. È una lettura moraleggiante, diffusa non solo in
Germania, ma anche in ambienti italiani di orientamento liberista. Non è
affatto un'invenzione dell'autore. Al contrario, personalmente ho ascoltato
diverse volte questo tipo di narrazione quando, nell'autunno del 2013, condussi
con Klaus Armingeon una serie di interviste volte a capire in quale maniera
funzionari publici, politici e sindacalisti tedeschi interpretassero la crisi
dell'Euro e le risposte da dare ad essa (Armingeon e Baccaro 2015).
La lettura
"tedesca" della crisi
Esagerando un po' (ma lasciando inalterata la sostanza), la lettura della
crisi che emerse da quei colloqui in Germania si può riassumere nella maniera
seguente: a dire degli intervistati, la situazione dei paesi della periferia
europea era per molti versi simile a quella della Germania nei primi anni 2000. Anche l'economia tedesca languiva
in quel periodo in una crisi profonda. Diversamente però dai paesi del Sud, la
Germania scelse di mantenere in ordine i suoi conti pubblici e di introdurre
riforme importanti del mercato del lavoro e della protezione sociale (le
riforme Hartz). Sindacati e imprese contribuirono alla ripresa economica
accordandosi per flessibilizzare il sistema di contrattazione collettiva, in
precedenza eccessivamente rigido, e in questo modo consentirono alle imprese,
attraverso la moderazione salariale, di riguadagnare la competitività
internazionale persa negli anni immediatamente successivi alla riunificazione.
Fu un governo di centro-sinistra, il governo Schroeder, ad introdurre le
riforme, e ad esse pagò un prezzo politico molto alto: non fu rieletto, ma si
dimostrò capace di anteporre gli interessi del paese agli interessi di parte.
Grazie alle riforme fatte, la Germania tornò a crescere in capo a pochi anni.
La storia di solito si concludeva con considerazioni su quel che avrebbero
dovuto fare i paesi della periferia europea. Come la Germania dieci anni prima,
anche per questi l'unica soluzione era imboccarsi le maniche e fare le riforme
strutturali troppo a lungo rimandate. La loro spesa pubblica era fuori
controllo, i mercati del lavoro eccessivamente rigidi, i sistemi pensionistici
troppo generosi, e in più avevano sprecato l'opportunità dei bassi tassi di
interesse forniti dall'Euro nei primi anni 2000. Erano responsabili delle
proprie sfortune. Pretendere che i loro debiti fossero ripagati da altri paesi
era un abuso. Chiedere alla Germania di rinunciare alla propria competitività
duramente riconquistata era come chiedere al Barcellona di giocare senza Messi
per fare un favore agli avversari (Weidmann
2012).
Questa ricostruzione veniva fornita, con poche variazioni, da personaggi di
diversa estrazione: funzionari del ministero delle Finanze e politici di CDU e
SPD. Gli unici ad avere una lettura differente della situazione erano i
sindacalisti di Ver.Di., il sindacato dei servizi, che mettevano l'accento
sulla necessità per la Germania di espandere la domanda interna, ma la loro
posizione appariva del tutto isolata, ed incapace di incidere sulle scelte
politiche.
È esattamente contro questo tipo di narrazione che il libro di Cesaratto si
rivolge, ricordando come un'unione monetaria, l'Euro come il gold standard, si regga su "regole
del gioco" implicite. Il sistema è sostenibile solo se ci sono meccanismi
e strumenti che consentano l'aggiustamento simmetrico in caso di squilibri
della bilancia di parte corrente. In particolare, un paese in surplus dovrebbe
consentire ai suoi prezzi interni di crescere più rapidamente dei prezzi dei
paesi in deficit in modo da riequilibrare il tasso di cambio reale (che è dato dal
rapporto tra i prezzi interni ed esteri) e attraverso questo l'equilibrio di
parte corrente. Tali meccanismi non sono però automatici, ma dipendono da
decisioni politiche. Se, come nel caso della Germania, il paese in surplus ha
un'economia "tirata dalle esportazioni", il non aggiustamento gli
permette di trarre beneficio dalla situazione, almeno per un po'. Dunque una
prima conclusione di Cesaratto è che il paese che ha violato le regole
(implicite) di funzionamento dell'unione monetaria è la Germania, e lo ha fatto
perseguendo scientemente il suo interesse nazionale.
La crisi dell'Eurozona
come crisi di bilancia dei pagamenti
Nel dibattito di economia eterodossa, Cesaratto è associato alla tesi che
equipara la crisi dell'Euro ad una crisi di bilancia dei pagamenti (Cesaratto 2015). In sintesi, secondo questa
tesi l'Eurozona è assimilabile ad un sistema di cambi fissi. È noto che i
sistemi di cambi fissi sono soggetti ad un particolare tipo di crisi
(verificatasi finora soprattutto nei paesi in via di sviluppo), nota come
"arresto improvviso" (Frenkel e
Rapetti 2009). Anche la crisi del 2010-2011 ha per Cesaratto le
caratteristiche di un arresto improvviso, sia pure sui generis.
Negli anni precedenti alla crisi, i mercati finanziari si erano convinti
che il rischio paese fosse scomparso e che il debito pubblico di tutti i paesi
dell'Eurozona, compresi quelli periferici, fosse di fatto garantito in solido
da tutti i paesi membri. Questa percezione aveva comportato una convergenza dei
tassi di interesse nominali a partire dalla metà degli anni '90. Permanevano
tuttavia tassi di inflazione differenti a livello nazionale e questo creava
disparità dei tassi di interesse reale, che erano più alti nei paesi a bassa
inflazione, in primis la Germania, e più bassi nei paesi ad alta inflazione,
quelli della periferia meridionale più l'Irlanda.
Queste differenze nei tassi di interesse reali, note come "effetto
Walters" (Walters 1988),
rallentavano la domanda nei paesi core
e la facevano aumentare nei paesi della periferia, soprattutto nel settore
delle costruzioni, tradizionalmente sensibile al tasso di interesse reale,
stimolando la concessione di credito da parte del settore bancario e
l'indebitamento, in primis privato. Per un certo periodo sembrò che gli
squilibri fossero espressione di un processo benefico di convergenza (Blanchard e Giavazzi 2002), che incoraggiava
gli investimenti nei paesi della periferia riducendo le disparità di sviluppo.
Solo successivamente divenne chiaro che gli investimenti erano in settori a
bassa produttività e non generavano convergenza.
Fino all'esplodere della crisi, le banche periferiche prendevano a prestito
riserve da quelle dei paesi core, le quali erano ben liete di riciclare le loro
riserve in eccesso a tassi un po' più elevati di quello sui depositi presso la
banca centrale (Cesaratto 2016). Dopo il
fallimento di Lehmann Brothers, tuttavia, e soprattutto dopo la crisi greca, i
flussi interbancari dal centro alla periferia si interruppero bruscamente.
Occorre sottolineare che nel caso dell'Euro, a differenza di un sistema di
cambi fissi, non c'è un problema di esaurimento delle riserve valutarie da
parte dei paesi sotto attacco, grazie alla presenza di un meccanismo di
pagamenti interbancari, il Target 2, che consente ai paesi membri di finanziare
il deficit estero (e le fughe di capitali) in maniera potenzialmente illimitata
anche quando i flussi transfrontalieri di capitale si bloccano, sostituendo ai
prestiti interbancari i prestiti del sistema delle banche centrali. Dunque la
conseguenza più immediata dell'arresto improvviso è stata un accumulo di
crediti Target 2 da parte della Bundesbank, e un corrispondente accumulo di
debiti da parte delle banche centrali dei paesi periferici (Sinn 2014). In assenza del sistema Target 2,
le misure di austerità necessarie a far fronte all'arresto improvviso sarebbero
state probabilmente assai più gravose.
Gli effetti immediati dell'arresto improvviso di flussi di capitale si
manifestarono non nel sistema bancario, ma nel mercato dei titoli pubblici.
Preoccupati dall'aggravarsi delle finanze pubbliche di alcuni paesi,
appesantite dalla crisi e dagli interventi pubblici per "mettere in
salvo" i sistemi bancari (per esempio in Irlanda), i mercati finanziari
cominciarono a nutrire dubbi sulla capacità di alcuni governi di ripagare i
loro debiti, e dunque domandarono tassi di interesse sempre più elevati per compensare
l'aumentato rischio. L'aumento dei tassi di interesse aggravava, invece di alleggerire,
il rischio di fallimento. Ad un certo punto alcuni paesi della periferia
divennero incapaci di rifinanziare le proprie emissioni di titoli pubblici
anche a tassi molto elevati, e dunque furono costretti ad invocare l'intervento
della "trojka" proprio come in simili circostanze i paesi in via di
sviluppo invocano l'intervento del Fondo Monetario Internazionale. Ed infatti
tra i programmi di austerità richiesti dal FMI ai paesi in via di sviluppo e
quelli richiesti dalla trojka non c'è grande differenza: entrambi comportano
l'aggiustamento fiscale attraverso il taglio della spesa piuttosto l'aumento
delle imposte, e la liberalizzazione dei mercati dei prodotti e soprattutto del
lavoro.
Insomma, i tratti caratteristici di un arresto improvviso, argomenta
Cesaratto, sono chiaramente identificabili anche nella crisi dell'Eurozona:
afflusso di capitali esteri (in questo caso per rifinanziare l'espansione di
credito bancario nei paesi periferici), improvvisa crisi di fiducia, arresto e
fuga di capitali, intervento delle istituzioni monetarie internazionali con
annesse condizionalità, e programma di aggiustamento strutturale (ovvero
austerità). Per quanto la crisi si sia manifestata nel mercato dei debiti
pubblici – un mercato in cui il rischio non è "coperto" dalla BCE,
che può fornire riserve in maniera potenzialmente illimitata alle banche, ma
non può, a norma di trattati europei, acquistare titoli dai governi – è stata
per Cesaratto in primis una crisi di debito privato: alcune parti hanno
prestato eccessivamente e in maniera poco prudente, ed altre parti,
corrispondentemente, hanno preso in prestito eccessivamente e in maniera poco
prudente. Guardare alla situazione, come fa la Germania, solo dal lato del
creditore è forse comprensibile, ma del tutto parziale. Le parti in causa sono
due e hanno responsabilità simmetriche: il debitore si impegna a ripagare il
debito, il creditore concede il credito dopo aver adeguatamente vagliato la
solvibilità della controparte.
Cesaratto sottolinea come le regole di governance
previste dai trattati europei erano e sono completamente inadeguate a
scongiurare il tipo di crisi descritta nel paragrafo precedente, in quanto
sostanzialmente disinteressate alle dinamiche del settore privato e interamente
finalizzate a limitare la discrezionalità fiscale dei governi. Tali regole
presuppongono, in linea con l'economia neoclassica, che il settore privato sia
efficiente, e in particolare che il settore finanziario sia in grado di
prezzare adeguatamente il rischio, cosa per lo meno discutibile dopo l'ultima
crisi. I trattati si preoccupano dunque del problema di "azzardo morale",
ovvero di impedire che il settore pubblico si indebiti più del dovuto
sfruttando l'aumentata credibilità derivante dal far parte di un'unione
monetaria. Per questo motivo furono introdotti nel Trattato di Maastricht
vincoli di deficit e debito pubblico attraverso il Patto di Stabilità e
Crescita. Tuttavia, nulla fu previsto per limitare l'indebitamento privato, né
per impedire politiche di svalutazione competitiva (reale) all'interno
dell'Eurozona.
Il
"mercantilismo" tedesco
Per quanto il libro di Cesaratto non prenda posizione esplicita nella
disputa accademica sull'importanza delle politiche di contenimento del costo
unitario del lavoro in Germania, limitandosi a sintetizzare le varie posizioni
(pp. 45-47), si tratta di un tema importante per la tesi centrale del libro,
che colei che ha davvero violato le regole (implicite) di un'unione monetaria è
stata la Germania.
La disputa, una sorta di "fuoco amico" tra autori che condividono
un approccio eterodosso all'economia, ha opposto Flassbeck e Lapavitsas da un
lato (2015) e Storm e Naastepad
dall'altro (2015). Per Flassbeck e
Lapavitsas la causa prima della crisi è da cercarsi nella pluriennale
moderazione salariale tedesca, sia nominale (contenimento dei costi unitari del
lavoro) che reale (aumenti salariali reali inferiori alla crescita della
produttività del lavoro), effetto dell'offensiva padronale per la riduzione dei
costi e delle strategie cooperative di sindacati e (soprattutto) consigli di
fabbrica delle grandi aziende tedesche, preoccupati oltre ogni cosa di
garantire i posti di lavoro dei propri affiliati, e dunque disposti a fare
contrattazione concessiva (Baccaro e Benassi
2017). Con l'Euro, e con la conseguente impossibilità di compensare le
differenze tra i tassi nazionali di inflazione attraverso l'aggiustamento del
cambio nominale, la moderazione salariale ha prodotto una svalutazione del
tasso di cambio reale tedesco a svantaggio degli altri paesi dell'Eurozona, ed
è dunque di importanza fondamentale, secondo Flassbeck e Lapavitsas (2015), per
spiegare l'accumularsi di squilibri delle partite correnti.
Storm e Naastepad ritengono invece che la moderazione salariale e la
compressione dei costi unitari del lavoro abbiano un'importanza marginale nello
spiegare i surplus di parte corrente tedeschi, dato che, a loro dire, il
sistema produttivo tedesco non compete sui costi, ma su livelli qualitativi
superiori (resi possibili dalla presenza di istituzioni non liberali nelle
relazioni industriali e nella formazione professionale), ed attribuiscono un ruolo
più importante ai flussi di capitale dal centro alla periferia dell'Eurozona,
che avrebbero causato la perdita di competitività di quest'ultima. Se un
effetto della moderazione salariale c'è stato, argomentano Storm &
Naastepad, si è fatto sentire più sulla riduzione delle importazioni tedesche
che sullo stimolo alle esportazioni. Insomma, mentre per Flassbeck e Lapavitsas
la catena causale procede dal mercato del lavoro (moderazione salariale) alle
differenze di competitività, per Storm parte dichiaratamente dalla finanza,
mentre il mercato del lavoro ha un ruolo secondario e derivato (le perdite di
competitività sono conseguenze delle bolle immobiliari).
Cesaratto, come detto, non si schiera esplicitamente, ma un intero capitolo
del libro è dedicato al "mercantilismo" tedesco, il che lascia
pensare che simpatizzi per la versione di Flassbeck e Lapavitsas. Allo stesso
tempo, ci si deve chiedere fino a che punto questa versione (che come detto
mette fortemente l'accento sul mercato del lavoro come origine della catena
causale) sia conciliabile con la sua tesi che la crisi dell'Euro è crisi di
bilancia dei pagamenti, tesi che mette al centro dell'azione i movimenti di
capitale e la finanza. In ogni caso, il libro discute i numerosi vantaggi che
l'Euro ha fornito alla Germania, ricordando ad esempio che il famoso
"salvataggio" della Grecia del 2010 fu in realtà un salvataggio delle
banche francesi e tedesche (ancor più francesi che tedesche in verità),
fortemente esposte rispetto al sistema bancario greco: se la Grecia avesse
fatto default, queste banche avrebbero subito perdite che ne avrebbero
compromesso la stabilità finanziaria, costringendo i governi di riferimento a
rifinanziarle. Attraverso il salvataggio della Grecia, pagato in maniera
proporzionale dai altri partner europei, Parigi e Berlino hanno mutualizzato i
costi del loro bail-out. Cesaratto
ricorda anche come la Germania abbia beneficiato dalla flight to security seguita alla crisi dei debiti sovrani, ovvero
della fuga di capitali dai paesi della periferia verso il centro, che ha
condotto ad un ulteriore abbassamento dei tassi di interesse in Germania.
Le proposte di riforma
inadeguate
Le riforme di cui la zona Euro avrebbe bisogno dovrebbero consistere
nell'introduzione di regole che rendano simmetrici i costi dell'aggiustamento
tra paesi, permettendo di restaurare "le regole del gioco". Un
esempio che Cesaratto non discute, ma che andrebbe in questa direzione,
riguarda il sistema di contrattazione collettiva, che dovrebbe essere coordinato
tra i vari paesi in maniera da assicurare che i tassi di crescita del salario
nominale corrispondano in media all'obiettivo di inflazione della BCE più la
crescita media della produttività nazionale, in modo da rendere impossibili le
svalutazioni competitive (del cambio reale) che hanno caratterizzato i primi
anni dell'Euro. Tuttavia, queste e altre regole di bilanciamento
incontrerebbero difficoltà e resistenze politiche probabilmente insormontabili,
oltre che difficoltà di coordinamento tra attori nazionali (sono i sindacati
tedeschi della manifattura disposti a rinunciare alla competitività di costo
delle loro imprese?).
Una soluzione che viene di frequente avanzata, e sdegnosamente rifiutata
dall'opinione pubblica tedesca, consiste nell'introduzione di trasferimenti
fiscali dai paesi in surplus a quelli in deficit. Trasferimenti di questo tipo
sono già politicamente difficili da sostenere in paesi in cui vi è comunanza di
storia, cultura e tradizioni (si pensi a quanto spinosa sia la questione dei
trasferimenti tra Nord e Sud in Italia, o tra Ovest e Est in Germania),
figurarsi nell'Unione europea, ove tali condizioni non esistono. In ogni caso,
i trasferimenti non risolvono il problema degli squilibri di competitività tra
paesi, ma semmai li compensano a posteriori, condannando i paesi della
periferia ad un poco dignitoso futuro di dipendenza dalla solidarietà altrui.
Cesaratto sottolinea inoltre l'assoluta inadeguatezza delle proposte di
riforma dell'Eurozona al momento in discussione. Lungi dal muovere verso una
più equa ripartizione dei costi di aggiustamento, esse mirano a restaurare
l'ortodossia monetaria violata, agli occhi dell'élite tedesca, dalla politica
monetaria non-convenzionale della BCE di Draghi, e a far applicare le regole di
rigore fiscale troppo spesso violate, a dire della Germania, dai paesi del Sud.
Spiccano in questo senso il breve documento (detto "non-paper") fatto
circolare da Schaeuble prima di lasciare il Ministero delle Finanze, che chiede
una più rigorosa applicazione delle regole fiscali (compreso il Fiscal Compact)
da affidarsi ad un organismo tecnico, un fondo monetario europeo, che possa
imporre la disciplina a governi recalcitranti, sostituendosi alla Commissione
Europea, un organismo ritenuto eccessivamente comprensivo nei riguardi dei
governi inadempienti. Contemporaneamente il non-paper rifiuta l'assicurazione
comune dei depositi bancari e l'introduzione di Eurobonds, ovvero ogni forma di
ulteriore mutualizzazione dei rischi tra paesi europei. Chiede inoltre che ogni
intervento di "salvataggio" degli stati sia condizionato ad
interventi di ristrutturazione del debito, con perdite per i detentori di
titoli. Se tali proposte fossero applicate, fa notare Cesaratto, i tassi di
interesse sui titoli italiani aumenterebbero a causa dell'aumentato rischio,
mettendo a rischio la sostenibilità del debito pubblico e accelerando, invece
di prevenire, una nuova crisi di fiducia.
Anche le recenti proposte francesi, nonostante la gran fanfara con cui sono
state accolte, non affrontano la sostanza dei problemi dell'Eurozona e
rischiano di peggiorare la situazione. Cesaratto si sofferma sul contributo di
16 economisti francesi e tedeschi (Bénassy-Quéré
e et al. 2018), che si propone come una mediazione tra esigenze diverse,
e lo considera troppo vicino al non-paper tedesco per rappresentare una
soluzione durevole. In particolare, le proposte degli economisti
franco-tedeschi incorporano la richiesta tedesca che interventi di sostegno da
parte del fondo salva-stati siano subordinati alla ristrutturazione del debito.
Che fare?
Le raccomandazioni di policy che
derivano dall'analisi sono sorprendentemente moderate, considerate le prese di
posizione precedenti dell'autore (per es. Cesaratto 2016). Non si consiglia di
uscire dall'Euro; anzi, se ne mettono in evidenza le incognite e i rischi
difficilmente quantificabili data la mancanza di precedenti (pp. 98-105). Quel
che l'Italia dovrebbe fare, nell'opinione di Cesaratto, è esigere la
non-applicazione delle regole fiscali, in particolare del Fiscal Compact.
Invece di impegnarsi a tagliare il debito attraverso attivi di bilancio
primario anno dopo anno, cosa che ha effetti recessivi, il governo italiano
dovrebbe impegnarsi a stabilizzare il debito, ma non a ridurlo. Con questa
proposta, si scommette sul fatto che un aumento del deficit pubblico faccia
ripartire la domanda aggregata, e generi un tasso di crescita sufficientemente
superiore al tasso di interesse medio pagato sullo stock di debito da
stabilizzare il debito pur in presenza di un deficit primario. Questa politica,
però, richiede la collaborazione della BCE che deve impegnarsi non solo a
mantenere basso il tasso di interesse di riferimento, ma anche a proteggere i
titoli del debito pubblico italiano da improvvise crisi di sfiducia dei mercati
finanziari, continuando ad acquistarli (o dichiarando di essere disposta a
farlo whatever it takes).
C'è molto con cui concordare in questo libro. Personalmente condivido che
fosse necessario opporre alla narrazione "tedesca" della crisi una
narrazione alternativa e opposta che la bilanciasse. Occorre tuttavia ricordare
che non c'è stato nessun raggiro teutonico: le regole che sono state applicate
sono quelle inserite nei Trattati europei, che l'Italia ha volontariamente
sottoscritto e spesso incoraggiato. Concordo anche sull'analisi della natura
della crisi, anche se avrei voluto un po' più di chiarezza sulla catena
causale: la crisi ha origine dalla moderazione salariale tedesca? O dalla
creazione di credito bancario nei paesi periferici, conseguenza di tassi di interesse reali troppo bassi (nella
periferia)? O le due cose sono inscindibili? È importante rispondere a queste
domande, dato che le implicazioni di policy sono differenti. Sono inoltre
d'accordo che l'Italia dovrebbe prendere le distanze dalle proposte
dell'Eurozona formulate recentemente dai tecnocrati franco-tedeschi.
Quel che mi lascia un po' insoddisfatto è invece la parte di political economy: non vedo perché i
partner europei dovrebbero accettare che l'Italia metta da parte gli impegni già
presi sul deficit e sulla riduzione del debito (attraverso il Fiscal Compact), per
impegnarsi solo a stabilizzare il debito. Inoltre, quanto è realistico pensare
che la BCE sia disposta a intervenire in difesa dei titoli di debito pubblico
italiano, soprattutto ora che il mandato di Draghi è in scadenza?
In breve, il programma di Cesaratto, per quanto ragionevole, non mi sembra
politicamente realizzabile nelle condizioni attuali. Cesaratto ha ragione che
per superare la crisi è necessario che la Germania cambi la direzione della sua
politica economica, rilanciando la sua domanda interna, e permettendo agli
altri di fare altrettanto. Tuttavia, questo non accadrà perché qualche
economista riesce a convincere les elites politico-economiche tedesche che le
loro analisi sono sbagliate, ma perché cambiano i rapporti di forza.
Concretamente questo significa due cose: primo, un pesce grosso (ovvero di
importanza sistemica, come l'Italia) decide che è disposto ad uscire dall'Euro
se le cose non cambiano. Questo però è un chicken
game molto pericoloso, in cui ci si può fare molto male. Secondo, un pesce
grossissimo, come gli Stati Uniti di Trump, costringe la Germania a
ribilanciare il proprio modello di crescita minacciando il ritorno al
protezionismo. Credo che la seconda minaccia sia più credibile della prima.
Referenze
bibliografiche
Armingeon, Klaus e Lucio Baccaro. 2015. "The
Crisis and Germany: The Trading State Unleashed." Pp. 165-83 in Complex
Democracy, edito da V. Schneider e B. Eberlein: Springer International
Publishing.
Baccaro, Lucio e Chiara Benassi. 2017. "Throwing out the
Ballast: Growth Models and the Liberalization of German Industrial
Relations." Socio-Economic Review
15(1):85-115.
Bénassy-Quéré, Agnès e et al. 2018. "Reconciling
Risk Sharing with Market Discipline: A Constructive Approach to Euro Area
Reform." Center For Economic Policy
Research, Policy Insight No 91.
Cesaratto,
S. 2015. "‘Alternative Interpretation of a Stateless Currency
Crisis’." Cambridge Journal of Economics 41(4):977-98.
Flassbeck, Heiner e Costas Lapavitsas. 2015. Against the Troika: Crisis and Austerity in
the Eurozone. London: Verso.
Storm,
Servaas e C. W. M. Naastepad. 2015. "Crisis and Recovery in the German
Economy: The Real Lessons." Structural
Change and Economic Dynamics 32:11-24.
Walters,
Alan. 1988. "A Critical View of the Ems." Cato Journal 8(2):503–6.
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