(Il tavolino magico, l'asino d'oro e il randello castigamatti sono una fiaba dei fratelli Grimm).
Update: un gentile amico lettore, Marco Boleo, ne ha fatto una trascrizione in word allegata in fondo. Grazie!
Update: un gentile amico lettore, Marco Boleo, ne ha fatto una trascrizione in word allegata in fondo. Grazie!
Il castigamatti
di
Fernando Vianello
da
“Il profitto e il potere”, Torino, Rosenberg & Sellier, 1979, pp. 134-137.
Giancarlo
De Vivo e Massimo Pivetti risollevano di tempo in tempo sulle colonne di Rinascita il problema dei razionamenti e
del controllo delle importazioni (si vedano gli articoli di Pivetti sui nn. 5 e
6, 1975 e di De Vivo sul n. 17, 1976). Ma senza molto successo. L’unico segno
di interesse per le loro posizioni si ebbe allorché, se dobbiamo credere alle
cronache giornalistiche, Giancarlo Pajetta definì “simbionese” l’intervento di
Pivetti al convegno del Cespe del marzo 1976. Questa volta (Rinascita, 16,
1977) i due docenti di Modena hanno deciso di suonare a quattro mani e sono
riusciti, se non altro, a fare un po’ di chiasso. Si è udito, anzi, il fragore
della battaglia. Per rispondere a De Vivo e Pivetti è sceso in campo Luigi
Spaventa, economista e deputato. Un uomo, come si vedrà, senza peli sulla
lingua, ma di memoria breve. “Vi è sempre dovizia di economisti pronti a
suggerire alla sinistra e al movimento operaio che esiste una qualche soluzione
facile a problemi difficili, “sol che si voglia”. Politicamente, ho la vaga
impressione che essi sovente inducano ad “abbaiare sotto l’albero sbagliato”,
come dicono gli inglesi. Professionalmente, vorrei chiedere una maggiore e
migliore considerazione dei fatti” (Rinascita, 19, 1977). Queste le parole, non
propriamente riguardose, usate dal prof. Spaventa per redarguire i più giovani
e meno illustri colleghi. Ma cos’hanno combinato, insomma, benedetti ragazzi,
per meritarsi una simile lavata di capo? Già prima, quando non si erano messi
insieme, erano due tipetti un po’ ribelli, e volevano sempre fare di testa loro.
Non c’era stato verso di fargli capire che la lotta all’inflazione è
l’obiettivo prioritario del movimento operaio. Quella cosa lì, quella che si fa
aumentando le imposte indirette e le tariffe pubbliche, loro continuavano a
chiamarla deflazione. Chissà dove le imparano, certe parole, i ragazzi d’oggi.
La deflazione, dicevano, fa diminuire l’occupazione; ciò di cui non sembra
proprio esservi bisogno. E non solo nell’immediato. Quel ch’è peggio è che la
deflazione, provocando la caduta degli investimenti, limita anche per
l’avvenire la capacità del sistema di dare lavoro alla gente. Secondo loro le
politiche economiche di breve periodo hanno conseguenze nel lungo. Roba da
matti. L’ha detto anche Keynes, che nel lungo periodo siamo tutti morti”, e che
quindi non bisogna occuparsene. Ma loro niente. Cocciuti, ecco cosa sono. Danno
retta solo a ragazzacci come loro. Da piccoli pare frequentassero molto un
certo Garegnani, che s’incontra sempre a Campo de’ Fiori. Proprio un
bell’ambiente! Poi vengono a casa e pretendono di fare il controllo delle
importazioni e i razionamenti. Per allentare, dicono loro, il vincolo della
bilancia dei pagamenti e aumentare l’occupazione! E con il Mec, come la
mettiamo? Già loro, mica ci pensano al Mec. Loro, del Mec, se ne fregano. Mi si
passi la parola. Ma se ne fregano proprio. Figuratevi lo scandalo dei parenti.
Da quando, poi, si sono messi insieme, hanno perso il senso del limite.
Scrivono “lotta all’inflazione” fra virgolette. Ma chi credono di prendere in
giro? E poi, proprio adesso vengono a rompere le uova nel paniere? Come se non
bastasse Sciascia. Non hanno letto cosa dice Amendola agli intellettuali? Che
devono essere coraggiosi, rigare dritto e non disturbare il manovratore. Adesso
si deve fare il programma di governo. Per quanto riguarda il costo del lavoro,
vedremo cos’altro sarà possibile concedere. Ma sulla deflazione siamo
assolutamente intransigenti. C’è voluto il 20 giugno per imporla a quegli
spendaccioni dei democristiani. L’abbiamo ottenuta e non la molleremo. Questa è la più bella
vittoria del movimento operaio. Ma quei due ragazzi, accidenti a loro, non
vogliono ammetterlo. Dicono, pensate un po’, che è una sconfitta. E vorrebbero
aumentare la spesa pubblica. Sempre per via dell’occupazione. C’è proprio da
perdere la pazienza. D’altronde, bisogna anche capirli. Questa, di aumentare
l’occupazione, è un’idea ingenua, ma generosa. E poi sono giovani, e che
l’austerità sia un valore morale non se lo sognano neppure. Siamo stati ragazzi
anche noi, non dimentichiamolo, e di marachelle ne abbiamo fatte tutti (come
dicono giustamente gli avvocati difensori nei processi per stupro). Prendiamo
per esempio quello Spaventa lì, che sembra così serio. Sapete cosa diceva nel
1974? Che bisognava fare i razionamenti e il controllo delle importazioni. Cosa
dite? Un’omonimia? No, no: Spaventa Luigi, proprio lui, il castigamatti. C’è
scritto nero su bianco, in un libro del Mulino, intitolato “La congiuntura più
lunga”. “Misure più dirette – afferma Spaventa – che abbiano lo scopo di
abbassare la quota del reddito spesa in importazioni costituiscono
un’alternativa più sicura” (p. 246). Più sicura, si evince da ciò che viene
detto prima, sia rispetto al tentativo di forzare le esportazioni senza
svalutare (questa è “senza dubbio la via d’uscita più efficiente e meno
costosa… ma temo che nella situazione attuale dell’Italia, questa sia anche la
via d’uscita su cui non si può contare “ p. 244); sia rispetto alla “variazione
dei prezzi relativi che si può ottenere con un’ulteriore svalutazione della
lira” (p. 245). Quali sono le “misure più dirette” suggerite da Spaventa? Ecco
qua: “misure temporanee e concordate internazionalmente di controllo delle
importazioni ex articolo 108 del trattato di Roma” e “razionamenti del consumo
interno di alcune merci importate, quali i prodotti petroliferi e la carne”.
Spaventa precisa che simili provvedimenti “non possono certo rappresentare un
rimedio permanente”. E cerca di rispondere in anticipo all’obiezione più ovvia:
quella relativa alle possibili ritorsioni. “Sono consapevole – egli scrive –
che la semplice menzione della possibilità di restrizioni al commercio suscita il
comprensibile timore… che l’azione unilaterale di un paese metta in moto una
catena di rappresaglie che danneggerebbe tutti senza beneficiare alcuno. Gli
stessi effetti, tuttavia, si verificherebbero se la presente situazione di
stagnazione competitiva divenisse una di recessione competitiva”. Spaventa
sottolinea che le misure di controllo delle importazioni dovrebbero essere
negoziate in sede Cee. Ed, enuncia, infine, l’obiettivo ultimo che egli assegna
a tali misure: “Il loro scopo, come pure quello del razionamento interno di
alcune merci, dovrebbe solo essere quello di consentire di portare avanti la
prima fase di un vero e proprio processo pianificato di riaggiustamento
strutturale dell’economia italiana alla nuova situazione economica
internazionale” (pp. 246-47). Bontà divina! Questa è appunto la tesi di De Vivo
e Pivetti. Ma per fortuna Spaventa si è ravveduto. E noi gli perdoniamo
volentieri i suoi peccati di gioventù. La storia del ravvedimento non la
conosciamo. Sarebbe bello se ce la raccontasse lui stesso, come la famosa Moll
Flanders, per indicare ai peccatori la strada della salvezza, illustrando i
pericoli del vizio e la consolazione della virtù. Senza omettere, naturalmente,
la storia dei precedenti peccati, che è sempre la parte più gustosa di ogni
narrazione edificante. “Si può pensare che sia difficile raccontare la parte
del pentimento in modo egualmente buono, brillante, realistico, della parte
della dissolutezza. Se v’è in ciò qualcosa di vero, mi si permetta di dire che
ciò è dovuto al fatto che non si prova nella lettura lo stesso piacere e lo
stesso divertimento, e la differenza non è tanto dovuta perciò all’autentico
valore della materia, quanto al gusto e al palato dei lettori” (Defoe).
[Da
“Sinistra ‘77”, numero zero, luglio 1977]
molto interessante e valido,grazie molte
RispondiEliminaavrebbe dovuto inserirlo tutto nel libro ,merita
( magari in una prossima edizione?)