martedì 22 novembre 2016

Il castigamatti (anche in word!)

E' una risata che vi seppellirà. Nelle Sei lezioni riporto brani di questo divertente articolino di Nando Vianello sulle proposte "simbionesi" di Pivetti e De Vivo al convegno del Cespe del 1976. Eccolo nella sua interezza, sperando sia sufficientemente leggibile.
(Il tavolino magico, l'asino d'oro e il randello castigamatti sono una fiaba dei fratelli Grimm).
Update: un gentile amico lettore, Marco Boleo, ne ha fatto una trascrizione in word allegata in fondo. Grazie!











Il castigamatti

di Fernando Vianello

da “Il profitto e il potere”, Torino, Rosenberg & Sellier, 1979, pp. 134-137.

Giancarlo De Vivo e Massimo Pivetti risollevano di tempo in tempo sulle colonne di Rinascita il problema dei razionamenti e del controllo delle importazioni (si vedano gli articoli di Pivetti sui nn. 5 e 6, 1975 e di De Vivo sul n. 17, 1976). Ma senza molto successo. L’unico segno di interesse per le loro posizioni si ebbe allorché, se dobbiamo credere alle cronache giornalistiche, Giancarlo Pajetta definì “simbionese” l’intervento di Pivetti al convegno del Cespe del marzo 1976. Questa volta (Rinascita, 16, 1977) i due docenti di Modena hanno deciso di suonare a quattro mani e sono riusciti, se non altro, a fare un po’ di chiasso. Si è udito, anzi, il fragore della battaglia. Per rispondere a De Vivo e Pivetti è sceso in campo Luigi Spaventa, economista e deputato. Un uomo, come si vedrà, senza peli sulla lingua, ma di memoria breve. “Vi è sempre dovizia di economisti pronti a suggerire alla sinistra e al movimento operaio che esiste una qualche soluzione facile a problemi difficili, “sol che si voglia”. Politicamente, ho la vaga impressione che essi sovente inducano ad “abbaiare sotto l’albero sbagliato”, come dicono gli inglesi. Professionalmente, vorrei chiedere una maggiore e migliore considerazione dei fatti” (Rinascita, 19, 1977). Queste le parole, non propriamente riguardose, usate dal prof. Spaventa per redarguire i più giovani e meno illustri colleghi. Ma cos’hanno combinato, insomma, benedetti ragazzi, per meritarsi una simile lavata di capo? Già prima, quando non si erano messi insieme, erano due tipetti un po’ ribelli, e volevano sempre fare di testa loro. Non c’era stato verso di fargli capire che la lotta all’inflazione è l’obiettivo prioritario del movimento operaio. Quella cosa lì, quella che si fa aumentando le imposte indirette e le tariffe pubbliche, loro continuavano a chiamarla deflazione. Chissà dove le imparano, certe parole, i ragazzi d’oggi. La deflazione, dicevano, fa diminuire l’occupazione; ciò di cui non sembra proprio esservi bisogno. E non solo nell’immediato. Quel ch’è peggio è che la deflazione, provocando la caduta degli investimenti, limita anche per l’avvenire la capacità del sistema di dare lavoro alla gente. Secondo loro le politiche economiche di breve periodo hanno conseguenze nel lungo. Roba da matti. L’ha detto anche Keynes, che nel lungo periodo siamo tutti morti”, e che quindi non bisogna occuparsene. Ma loro niente. Cocciuti, ecco cosa sono. Danno retta solo a ragazzacci come loro. Da piccoli pare frequentassero molto un certo Garegnani, che s’incontra sempre a Campo de’ Fiori. Proprio un bell’ambiente! Poi vengono a casa e pretendono di fare il controllo delle importazioni e i razionamenti. Per allentare, dicono loro, il vincolo della bilancia dei pagamenti e aumentare l’occupazione! E con il Mec, come la mettiamo? Già loro, mica ci pensano al Mec. Loro, del Mec, se ne fregano. Mi si passi la parola. Ma se ne fregano proprio. Figuratevi lo scandalo dei parenti. Da quando, poi, si sono messi insieme, hanno perso il senso del limite. Scrivono “lotta all’inflazione” fra virgolette. Ma chi credono di prendere in giro? E poi, proprio adesso vengono a rompere le uova nel paniere? Come se non bastasse Sciascia. Non hanno letto cosa dice Amendola agli intellettuali? Che devono essere coraggiosi, rigare dritto e non disturbare il manovratore. Adesso si deve fare il programma di governo. Per quanto riguarda il costo del lavoro, vedremo cos’altro sarà possibile concedere. Ma sulla deflazione siamo assolutamente intransigenti. C’è voluto il 20 giugno per imporla a quegli spendaccioni dei democristiani. L’abbiamo ottenuta e  non la molleremo. Questa è la più bella vittoria del movimento operaio. Ma quei due ragazzi, accidenti a loro, non vogliono ammetterlo. Dicono, pensate un po’, che è una sconfitta. E vorrebbero aumentare la spesa pubblica. Sempre per via dell’occupazione. C’è proprio da perdere la pazienza. D’altronde, bisogna anche capirli. Questa, di aumentare l’occupazione, è un’idea ingenua, ma generosa. E poi sono giovani, e che l’austerità sia un valore morale non se lo sognano neppure. Siamo stati ragazzi anche noi, non dimentichiamolo, e di marachelle ne abbiamo fatte tutti (come dicono giustamente gli avvocati difensori nei processi per stupro). Prendiamo per esempio quello Spaventa lì, che sembra così serio. Sapete cosa diceva nel 1974? Che bisognava fare i razionamenti e il controllo delle importazioni. Cosa dite? Un’omonimia? No, no: Spaventa Luigi, proprio lui, il castigamatti. C’è scritto nero su bianco, in un libro del Mulino, intitolato “La congiuntura più lunga”. “Misure più dirette – afferma Spaventa – che abbiano lo scopo di abbassare la quota del reddito spesa in importazioni costituiscono un’alternativa più sicura” (p. 246). Più sicura, si evince da ciò che viene detto prima, sia rispetto al tentativo di forzare le esportazioni senza svalutare (questa è “senza dubbio la via d’uscita più efficiente e meno costosa… ma temo che nella situazione attuale dell’Italia, questa sia anche la via d’uscita su cui non si può contare “ p. 244); sia rispetto alla “variazione dei prezzi relativi che si può ottenere con un’ulteriore svalutazione della lira” (p. 245). Quali sono le “misure più dirette” suggerite da Spaventa? Ecco qua: “misure temporanee e concordate internazionalmente di controllo delle importazioni ex articolo 108 del trattato di Roma” e “razionamenti del consumo interno di alcune merci importate, quali i prodotti petroliferi e la carne”. Spaventa precisa che simili provvedimenti “non possono certo rappresentare un rimedio permanente”. E cerca di rispondere in anticipo all’obiezione più ovvia: quella relativa alle possibili ritorsioni. “Sono consapevole – egli scrive – che la semplice menzione della possibilità di restrizioni al commercio suscita il comprensibile timore… che l’azione unilaterale di un paese metta in moto una catena di rappresaglie che danneggerebbe tutti senza beneficiare alcuno. Gli stessi effetti, tuttavia, si verificherebbero se la presente situazione di stagnazione competitiva divenisse una di recessione competitiva”. Spaventa sottolinea che le misure di controllo delle importazioni dovrebbero essere negoziate in sede Cee. Ed, enuncia, infine, l’obiettivo ultimo che egli assegna a tali misure: “Il loro scopo, come pure quello del razionamento interno di alcune merci, dovrebbe solo essere quello di consentire di portare avanti la prima fase di un vero e proprio processo pianificato di riaggiustamento strutturale dell’economia italiana alla nuova situazione economica internazionale” (pp. 246-47). Bontà divina! Questa è appunto la tesi di De Vivo e Pivetti. Ma per fortuna Spaventa si è ravveduto. E noi gli perdoniamo volentieri i suoi peccati di gioventù. La storia del ravvedimento non la conosciamo. Sarebbe bello se ce la raccontasse lui stesso, come la famosa Moll Flanders, per indicare ai peccatori la strada della salvezza, illustrando i pericoli del vizio e la consolazione della virtù. Senza omettere, naturalmente, la storia dei precedenti peccati, che è sempre la parte più gustosa di ogni narrazione edificante. “Si può pensare che sia difficile raccontare la parte del pentimento in modo egualmente buono, brillante, realistico, della parte della dissolutezza. Se v’è in ciò qualcosa di vero, mi si permetta di dire che ciò è dovuto al fatto che non si prova nella lettura lo stesso piacere e lo stesso divertimento, e la differenza non è tanto dovuta perciò all’autentico valore della materia, quanto al gusto e al palato dei lettori” (Defoe).

[Da “Sinistra ‘77”, numero zero, luglio 1977]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1 commento:

  1. molto interessante e valido,grazie molte
    avrebbe dovuto inserirlo tutto nel libro ,merita
    ( magari in una prossima edizione?)

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