Da Il Fatto quotidiano, 16 novem
bre 2016. Con l'occasione: giovedì a PISA (vedi locandina); venerdì a Parma; sabato a Rieti.
E' l'insostenibilità politica che farà cadere l'euro
Il dibattito fra
economisti su Il Fatto e il manifesto ha visto la
contrapposizione fra quelli dell’euro reversibile che cercano di guardare con
freddezza oggettiva a costi e vantaggi dell’uscita, e quelli della irreversibilità
dell’euro che mancano di proporre un’alternativa alla morte lenta del Paese,
limitandosi a frettolosi allarmismi. “Di doman non v'è certezza” per tutti, ma un’evidenza
a favore dei primi è che con l’euro il Paese è andato di male in peggio. E vi
sono altre certezze a loro favore. La prima è che l’euro entrerà in crisi se e quando
in uno o più Paesi esso si rivelerà politicamente insostenibile. L’Italia è una
candidata naturale. Come in tutti gli eventi catastrofici, un crollo
dell’Italia scaturirà dal combinato disposto di varie cause.
Per esempio l’impossibilità
per un governo privo di una sua banca centrale di far fronte a una crisi
bancaria che col bail-in penalizzi
milioni di risparmiatori (e all’orizzonte sta scomparendo la prospettiva di un
fondo di salvataggio europeo sui depositi se non a condizioni capestro per
l’Italia); aggiungiamoci i costi della ricostruzione post-terremoto se non a
costo di tagli a sanità e istruzione; e magari una sconfitta di Draghi (col
mandato comunque in scadenza): se terminasse il QE, l’economista francese Artus
prevede che Italia e Spagna debbano entrare in un programma di salvataggio, conosciuto
anche come TROIKA. Le incertezze post-Trump sono alle stelle, e un sostegno
all’industria Usa attraverso una svalutazione del dollaro potrebbe estinguere la
fragile crescita europea, facendo ripiombare noi nel sottozero (v. Giorgio La
Malfa, Il Mattino,11 nov.). Supponiamo allora che la risalita degli
spread (già belli alti) e/o auspicabili proteste popolari costringano il Paese
a scegliere fra Troika e uscita. Con la Troika il Paese languirà, ancor più di
ora, coi risparmiatori impoveriti, col suo cuore artistico trasformato in un
nuovo Belice, con la bella gioventù scomparsa per il crollo demografico o
all’estero, con le città trasformate in suk.
Ma c’è qualche ulteriore certezza.
Se oggi il Paese
potesse d’incanto riacquistare la sovranità monetaria, i suoi fondamentali
economici, sebbene danneggiati, assicurerebbero una sufficiente stabilità, con
una contenuta svalutazione e un’inflazione moderata - uno studio condotto a Sciences-Po a Parigi (Durand e Villemot
2016) prevede persino una rivalutazione della nuova-lira. Nessun allarmismo
economico di quelli denunciati a suo tempo da Federico Caffè, dunque. Naturalmente
il dopo non sarebbe facile, e politiche espansive, pur agevolate dalla
flessibilità del cambio, richiederanno misure di controllo dei movimenti di
capitale ed eventuali misure commerciali, ma tutte nel bagaglio della politica
economica prima della sbornia liberista. E ovviamente dall’euro non s’esce
d’incanto, né sappiamo in quale scenario: uscita di uno o più Paesi del sud,
euro sud/euro nord e via dicendo. Una certezza condivisa è che l’uscita della
Germania sarebbe l’evento più indolore. Un’uscita unilaterale sarebbe più
complicata. Ma problemi e piani per affrontarli vanno resi noti per quanto
possibile all’opinione pubblica, anche se ha ragione Gawronski (Il Fatto, 8 nov.) che mai la scelta si
presentasse, la discussione non potrà andare oltre una seduta parlamentare in
un week end, a mercati chiusi.
Nato con l’intento
di restituire ai popoli il senso della durezza del vivere (come ebbe a dire
Tommaso Padoa-Schioppa), è vero che
l’euro è una trappola per topi, quelle a gabbietta con la groviera tedesca
dentro. Ma anche da Alcatraz si fugge. Relative certezze sono che, una volta usciti, il
ripristino dei sistemi di pagamento fra le banche (da cui dipendono i nostri bonifici
ecc.) non costituisce un problema drammatico: impensabile che la Banca d’Italia,
che è fra i gestori del sistema Target 2, non abbia piani al riguardo, e Paesi fuori
dall’euro partecipano al sistema. Nuove banconote richiederanno più pazienza - ma
cosa sono alcune settimane rispetto a un declino secolare? Problemi più seri
riguardano i debiti esteri: qualora non ridenominabili da euro a nuova-lira, il
deprezzamento di quest’ultima (sebbene contenuto) ne accrescerebbe il valore
reale. Tuttavia oscillazioni dei cambi sono la norma della storia economica,
senza che ciò scateni necessariamente crisi finanziarie. Gli studi disponibili,
come quello citato di Sciences-Po che
aggiorna quello di Nordvig e Firoozye, sebbene mostrino la
dimensione seria del problema, smentiscono allarmismi roboanti. Il debito
pubblico italiano è in massima parte ridenominabile in lire e soggetto comunque
alla giurisdizione dei tribunali italiani.
La scomparsa
tout court dell’euro, la Lehman Brothers
al quadrato, è un caso estremo, di cui non potrà certo essere colpevole un
gruppo di economisti preoccupato delle sorti del proprio Paese. Qualunque sia
il crollo a cui potremmo assistere, esso sarà il risultato oggettivo della
insostenibilità politico-sociale dell’euro, e questo è in un certo senso
rassicurante perché a crisi politica si risponde con soluzioni politiche,
nessuno vorrà il caos permanente, locale o globale. Certo, la soggettività di chi
denuncia il disegno anti-costituzionale che è dietro l’euro e l’impossibilità
del “più Europa”, se non nella forma di un federalismo ordoliberista (di cui la
riforma Boschi è battistrada), può contare qualcosa nel minare la sostenibilità
politica della moneta unica. Ma cosa dovremmo fare, tacere?
Preoccupa invece
che economisti dal solido curriculum scientifico, già ben redarguiti da
Gawronski, sottoscrivano argomenti da social network alla caccia di contraddizioni
nei critici dell’euro sulla base della loro firma a un appello o perché studiano
diligentemente i precedenti storici. Si concorre così a far scadere il
dibattito, non capendo che il catastrofismo alimenta il populismo, Trump docet.
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