da il manifesto il 26 maggio 2015
Grecia e la Troika: una piccola storia ignobile
Sergio Cesaratto
Come spesso
accaduto ai paesi in via di sviluppo, l’adozione di una moneta forte ha
consentito alla Grecia alcuni anni di crescita attraverso l’indebitamento
estero, in particolare con le banche tedesche e francesi (queste ultime
intermediarie di fondi tedeschi). I governi greci si dimostrarono ottimi
clienti delle imprese di quei paesi le quali agirono spesso attraverso la
corruzione.
Dal 2010 il rifiuto degli investitori stranieri di rifinanziare un
debito estero fattosi macroscopico, ha condotto i paesi europei a varie tranche
di sostegno culminate nella ristrutturazione del debito greco al principio del
2012. Si calcola che dei 227 miliardi di prestiti europei e del FMI, solo una
minima parte (27m) siano stati utilizzati dal governo greco per le spese
correnti, il resto è andato nella restituzione dei debiti alle banche straniere,
che così si sono riprese tutto, al pagamento degli interessi e alla
ricapitalizzazione delle banche greche. In cambio di questa “assistenza
finanziaria” la Grecia ha dovuto intraprendere una dura austerità volta a
ripristinare un avanzo dei conti con l’estero - tecnicamente il saldo delle
partite correnti - in modo tale che il paese non dovesse più ricorrere a
prestiti esteri. In effetti tale saldo è ora in pareggio o leggermente
positivo. Il prezzo è stato il crollo del Pil greco del 25%.
Quali sono oggi
i termini della questione? Un debito che
non può essere pagato non verrà pagato, dicono gli economisti, e di questo si
rende conto anche la Troika. Se si confronta la dimensione del debito ufficiale
227m, più 27,7m con la BCE, con
quella del Pil greco, circa 180m, si capisce bene perché. A meno che non sia
più folle di quanto non sia già, l’UE è probabilmente pronta a offrire un
sostanziale congelamento di questo debito caricandosi anche quello del FMI (32
m.) e della BCE, sì da ridurre drasticamente i tassi pagati da Atene. L’UE
potrebbe sobbarcarsi facilmente questo carico emettendo titoli a tassi
bassissimi attraverso il fondo salva stati (EFSF). La questione è però che, in
cambio, Bruxelles e Berlino chiedono la continuazione dell’austerità, vale a
dire che la Grecia non chieda più un euro nel futuro. Ma qui c’è la linea rossa
tracciata da Syriza, che molto è disposta a ingoiare, ma non una débâcle totale. La
verità è che la Grecia per riprendere a crescere non ha solo bisogno di una
cancellazione del debito (mascherata da congelamento) e drastica diminuzione
degli interessi, ma anche di ulteriori prestiti esteri. E quest’Europa che si
auto-mortifica con assurde politiche di austerità non ha alcuna voglia di
elargirli. Un’Europa diversa che adottasse politiche keynesiane di crescita non
avrebbe problema a sostenere Atene, ma tale Europa non si intravede. La
situazione per la Grecia fuori dall’euro non sarebbe in fondo dissimile, nel
senso che comunque di un aiuto esterno avrebbe bisogno diventando una pedina di
giochi geo-politici poco prevedibili. Sarà possibile che nei prossimi giorni
per evitare il peggio l’UE conceda un piccolo prestito ponte sì che Atene possa
pagare la tranche in scadenza col FMI (mai nessun paese si è sottratto ai
pagamenti verso il Fondo). Ma questo farebbe solo guadagnare qualche giorno al
redde rationem.
Quella greca è
una vicenda di un piccolo paese in ritardo economico, ma non troppo dissimile a
quella in cui si potrebbe trovarsi Podemos in Spagna. Solo l’Italia, fuori
dall’euro, avrebbe una chance seria. E tutti, inclusa la Francia, avremmo forse
una chance in un’Europa senza la Germania. C’è solo da augurarci che una crisi
dell’euro ci avvicini a quest’esito.
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