L’attuale politica dell’Unione mina la crescita
Antonella Stirati*
Alcune centinaia di economisti italiani e stranieri, tra i quali moltissimi nomi illustri, hanno sottoscritto un documento (http://documentoeconomisti.blogspot.com) in cui si sottolinea la necessità e l’urgenza di un rovesciamento di prospettiva nella politica economica in Italia e in Europa. In assenza di tale cambiamento, e se si procede sulla linea dell’austerità, sostengono, si avrà una ulteriore grave caduta dell’occupazione e dell’attività produttiva, che potrebbe compromettere la stabilità economica, sociale e finanziaria dell’Italia e di tutta l’Eurozona. In questo modo si andrebbe verso una rottura dell’Unione Monetaria e probabilmente del mercato unico europeo.
Alcune centinaia di economisti italiani e stranieri, tra i quali moltissimi nomi illustri, hanno sottoscritto un documento (http://documentoeconomisti.blogspot.com) in cui si sottolinea la necessità e l’urgenza di un rovesciamento di prospettiva nella politica economica in Italia e in Europa. In assenza di tale cambiamento, e se si procede sulla linea dell’austerità, sostengono, si avrà una ulteriore grave caduta dell’occupazione e dell’attività produttiva, che potrebbe compromettere la stabilità economica, sociale e finanziaria dell’Italia e di tutta l’Eurozona. In questo modo si andrebbe verso una rottura dell’Unione Monetaria e probabilmente del mercato unico europeo.
Pur non nascondendo le responsabilità della classe dirigente nazionale, secondo il documento l’origine della stagnazione dell’economia italiana va visto nel contesto dell’Unione Monetaria Europea, cioè nell’assenza di istituzioni e politiche volte alla piena occupazione, all’equilibrio commerciale fra gli stati, e a una maggiore equità distributiva. L’aggravamento della crisi, con l’attacco dei mercati finanziari ai titoli del debito pubblico italiano e di altri paesi, dipende poi in primo luogo dalla mancata iscrizione tra i compiti della Banca Centrale Europea del ruolo di prestatore di ultima istanza nei confronti dei debiti sovrani, mentre la costituzione del cosiddetto Fondo Salva-Stati appare del tutto inadeguata.
Le politiche di restrizione dei bilanci pubblici che vengono richieste dalla UE hanno determinato una grave recessione nei paesi che le hanno attuate, come la Grecia e la Spagna, e non sono state neanche in grado di stabilizzare i mercati finanziari e ridurre i tassi di interesse sui titoli pubblici a valori sostenibili. In questo contesto di emergenza la sola politica in grado di stabilizzare i mercati finanziari e ridurre i tassi di interesse sul debito pubblico italiano e di altri paesi è, come sostenuto ormai da molte istituzioni e da numerosi economisti di prestigio internazionale, l’assunzione decisa da parte della BCE della funzione di garante di ultima istanza dei titoli del debito dei paesi dell’Unione, con interventi analoghi a quelli condotti con successo dalle banche centrali di Stati Uniti, Gran Bretagna, Giappone – paesi che hanno una situazione debitoria comparabile a quelle di Italia o Spagna, e che tuttavia pagano tassi di interesse molto bassi sul proprio debito pubblico. La riduzione dei tassi di interesse consentirebbe all’Italia e all’Europa gli interventi necessari a rilanciare l’economia e a correggere gli squilibri nei conti con l’estero, coordinando politiche economiche tese prioritariamente alla piena occupazione. Per questo i firmatari sono contrari alla iscrizione nelle Costituzioni nazionali della clausola del pareggio del bilancio pubblico, e sottolineano la necessità di politiche espansive e di un aumento dei redditi da lavoro in tutta l’Eurozona. Essi auspicano quindi che il nuovo esecutivo agisca subito, con gli obiettivi indicati, nelle sedi europee, ricercando le necessarie alleanze politiche e facendo leva sugli ineluttabili rischi che altrimenti investono la sopravvivenza dell’Unione Monetaria e del mercato unico.
Poiché le politiche di riduzione dei debiti pubblici sono oggi controproducenti, si sostiene nel documento, la richiesta nei riguardi della BCE dovrebbe essere accompagnata da un impegno non all’abbattimento, ma alla stabilizzazione del rapporto debito pubblico/Pil. Questo, insieme alle entrate provenienti dalla lotta all’evasione, da un'imposta patrimoniale e dalla razionalizzazione della spesa pubblica, consentirebbe all’Italia di destinare risorse pubbliche alla crescita dell’occupazione, agendo sia sulla domanda aggregata che sulla qualità di istituzioni e infrastrutture. Se invece il nuovo esecutivo, pur nell’alto profilo tecnico, si farà mero esecutore delle richieste già espresse dalla Unione Europea, esso si assumerà la responsabilità dell’aggravamento della crisi e dell’inutile sacrificio di occupazione, capacità produttiva, stato sociale e diritti dei lavoratori.
* Professore ordinario di Economia, Università di Roma Tre
(L’Unità, 23 novembre 2011)
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