PATTO DI STABILITÀ/ “L’Italia senza la flebo della Bce non ce la potrà fare”
L’European Fiscal Board ricorda l’importanza di cambiare le regole del Patto di stabilità e crescita. L’Italia ha solo una possibilità per non essere schiacciata
Nel suo rapporto sull’orientamento della politica di bilancio dell’Eurozona, l’European Fiscal Board ha evidenziato l’urgenza di un accordo sulla revisione della governance economica prima che venga disattivata la “clausola di salvaguardia” del Patto di stabilità e crescita, cosa che avverrà, come ha recentemente comunicato la Commissione europea, nel 2023. Si riuscirà in un anno e mezzo a trovare un’intesa considerando gli appuntamenti elettorali di Germania e Francia? E gli eventuali cambiamenti saranno positivi per un Paese altamente indebitato come il nostro?
E come stanno?
L’Italia senza la flebo della Bce e un quadro di sostegno fiscale europeo almeno con riguardo agli investimenti pubblici – chiamiamolo euroinvestment-bond – non ce la potrà fare. Di questo non si parla nemmeno per sbaglio.
Il membro olandese dell’Efb, Roel Beetsma, ha proposto che l’Ue si doti di un obiettivo sul debito di lungo periodo, differenziando il risanamento da Paese a Paese. Può essere questa la strada da percorrere o si può immaginare che a un Paese altamente indebitato come l’Italia venga chiesto uno sforzo di risanamento eccessivo?
La matematica è semplice. Una riduzione del rapporto debito/Pil in Italia è possibile se i tassi di interesse medi sul debito sono inferiori al tasso di crescita; questo lascia spazio alla destinazione di parte delle risorse a politiche espansive, ed eventualmente a ridurre il debito. Ai mercati non interessa quant’è il rapporto debito/Pil, ma solo che esso non cominci ad aumentare in maniera incontrollata. Quindi, sarebbe bene che l’Italia rifiutasse ogni politica di riduzione del rapporto debito/Pil, e chiedesse invece un’azione europea (Bce + euroinvestment-bond) per tenere i tassi di interesse sotto il tasso di crescita, destinando infine tutte le risorse alla crescita. I mercati capirebbero. Guardi, non è follia, è buon senso. Ma vallo a spiegare a quelli de La voce.info.
In settimana sono stati emessi i primi Recovery bond. Dopo le emissioni per il Sure siamo di fronte a un embrione di eurobond o invece a strumenti una tantum irripetibili?
In un certo senso sì, sono un embrione di eurobond, ma una tantum. Draghi sembra credere in una direzione irreversibile presa dall’Europa nel senso di una politica fiscale europea, e con lui il codazzo di piddini europeisti (la destra, come ben sa, neppure la considero dato che non ha credibilità alcuna). Ma mentre i piddini ci credono da asinelli, Draghi, che in Europa con i tedeschi in fondo le ha vinte tutte ed è un realista, sa che se l’Europa non si muove in una direzione che renda la situazione del nostro Paese sostenibile, noi saltiamo, e con noi l’Europa. Draghi, piaccia o no ai miei amici “de sinistra” è l’unico italiano che abbia credibilità e credito in Europa. Ed è l’unico che può fare apertamente questo discorso. Ma basterà?
Secondo lei?
L’opposizione al cambiamento auspicato da Draghi (o da Bankitalia) è formidabile. Da un lato, è molto poco probabile che le elezioni tedesche producano una maggioranza favorevole – la Cdu ha in testa alle sue priorità il nein agli eurobond, mentre i Verdi, forse più aperti, difficilmente, anche se in un governo di coalizione, avrebbero forza sufficiente per aprire un varco in quella direzione. I Paesi frugali si stanno rinominando da frugali a “fiscalmente responsabili”, dando dell’irresponsabile agli altri (Francia e Italia). E, soprattutto, c’è il bastione costituto dalla Corte costituzionale tedesca. Essa ha avallato il Recovery fund perché temporaneo, ma riterrebbe violazione costituzionale ogni sua stabilizzazione (la Costituzione tedesca vieta la cessione di potere fiscale fuori del controllo del Parlamento tedesco). Ora la Commissione europea ha aperto un fascicolo contro l’Alta corte tedesca in quanto quest’ultima avrebbe trasgredito alla sua subordinazione alla Corte europea (lì la materia del contendere era l’intervento della Bce nell’acquisto di titoli pubblici). Come si vede sono delicate questioni costituzionali, e da progressista comprendo anche la gelosia di un Paese per le proprie prerogative costituzionali e democratiche.
Queste prime emissioni di Recovery fund forniranno risorse anche all’Italia, che settimana prossima vedrà approvato il suo Pnrr con la presenza a Roma di Ursula von der Leyen. L’Italia può riuscire a sfruttare questo nuovo “vincolo esterno” (risorse per determinati investimenti in cambio di riforme) a suo favore?
Certamente il “vincolo esterno” del rispetto di quanto l’Europa ci ha chiesto in cambio del Next Generation Eu è funzionale a velocizzare gli investimenti pubblici, e a rendere più rapida la riforma della giustizia e la burocrazia. Credo che qualche risultato lo si vedrà soprattutto sul primo fronte. Tribunali che funzionano bene già ci sono. È la mentalità che manca, ma speriamo che almeno per la giustizia qualche risultato si ottenga. Circa gli investimenti, la loro velocizzazione avrà soprattutto effetti keynesiani (di sostegno alla domanda). Se spesi bene in taluni settori tecnologici questo sarà utile anche a migliorare l’offerta, la nostra competitività. Dubito che miliardi spesi per guadagnare un’ora nella Roma-Reggio Calabria avranno invece ricadute produttive. Sono comunque molto deluso che Draghi abbia nominato due “economisti” iperliberisti come Riccardo Puglisi (Università di Pavia) e Carlo Stagnaro (Istituto Bruno Leoni) a valutare l’impatto dei progetti del Pnrr, come denunciato dal giovane economista Alessandro Bonetti su Kritica economica. Sono il famoso Dracula nel reparto trasfusioni, e comunque non i personaggi più competenti a formare una nuova generazione di manager economici pubblici. Draghi, anche per Lei vale il “dimmi con chi vai…”.
(Lorenzo Torrisi)
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