Gli amici (sraffiani) Alejandro Fiorito e Andres Lazzarini rispondono a un articolo tanto elogiativo quanto superficiale sull'Argentina di Macri. Grazie a loro per aver accettato la mia sollecitazione ed a Econopoly per la pronta pubblicazione. Andres ha uno splendido libro sulla Controversia sula teoria del capitale (University of Pavia Press, si riesce a farne il download)
“Ni es cielo, ni es azul” (“Non è ne cielo, ne azzurro”)
Alejandro Fiorito & Andres Lazzarini[1]
Il titolo appartiene
a un tango chiamato “Maquillaje” di Homero Expósito. E ci viene sempre in mente
quando leggiamo articoli come quello di Michael Boye (Econopoly 24 marzo 2017), dove
l’autore sostiene a proposito della nuova Argentina di Macri:
“La nuova
amministrazione ha ottenuto risultati significativi nella trasformazione della
vecchia economia corrotta e protezionista, gettando le fondamenta per iniziative “business
friendly” capaci di stimolare la crescita futura.”
Seguendo l’impostazione di “gossip” che più
piace allo establishment, a dire la verità il governo Macri piuttosto che
“trasformare la vecchia economia corrotta”, si è distinto sulle copertine delle
riviste internazionali per gli scandalosi casi di corruzione per i cosidetti
“Panama Papers” e - anche se meno conosciuto – per il caso della compagnia
aerea Avianca dove il governo ha ritirato dalla compagnia di bandiera rotte
nazionali a favore di compagnie private “amiche”. Dunque, ben lungi dalla “trasformazione
della vecchia economia corrotta”, il governo Macri ne è stato nei fatti un approfondimento.
L’autore sembra anche dimenticare – non sappiamo
se di proposito o meno – che le ristrutturazioni del 2005 e 2010 del debito in default
comportarono l’accordo con più dei 93% dei detentori del debito. Il “default
tecnico” con i cosidetti “fondi avvoltoio”, invece, non solo ha riguardato una
minoranza dei detentori originali, ma è importante anche ricordare che questi detentori
(definiti holdouts, perché restavano al di fuori delle ristrutturazioni)
non sono i proprietari
originali dei titoli, ma coloro che li comprarono a prezzi stracciati dopo la
dichiarazione di default nel 2002 e che dopo hanno preteso il rimborso ai
valori originali. Per dare una idea al lettore, questi fondi di investimento hanno
comprato titoli a 25 centesimi per dollaro, richiedendone il rimborso a quattro
dollari. Alla fine, questo 7% di detentori di titoli argentini ha ricevuto un
montante totale uguale al 50% del valore ricevuto dal restante 93% dei detentori
che avevano accettato le precedenti ristrutturazioni. È difficile forse trovare
altri casi storici di speculazione di questo calibro.
Andiamo alla macroeconomia, dunque. Il governo
Macri comincia nella metà di dicembre 2015 con una forte svalutazione della
moneta nazionale (peso) del 60%, dando luogo a una brutale ridistribuzione del
reddito dai lavoratori ai produttori e esportatori agricoli (una illustrazione
piuttosto accurata è qui). Inoltre la politica di bilancio e fiscale sono state regressive, dunque
tagli alle imposte che pagavano gli esportatori di commodities e meno dazi per i consumatori di autoveicoli di lusso
importati.
La realtà argentina è nel complesso
molto diversa e assai meno rosea di quella dipinta dal signor Boye. I
“risultati” del nuovo governo nel 2016 sono un totale disastro, in quasi tutti
gli indicatori: il PIL è caduto di -2,3 %, mentre che la disoccupazione è aumentata
di 127.000 individui, portando circa 5000 imprese al fallimento. La tendenza
per il 2017 non sembra essere diversa dall’anno passato, come è confermato
dagli indicatori di produzione industriale del febbraio 2017. Il tasso di
inflazione, che nel 2015 era stato di 25%, è salito al 41% nel 2016, e quindi i
salari reali sono crollati di circa il 7-8% in media.
Sul fronte estero, l’apertura
indiscriminata ha fatto salire le importazioni (+5,4%), mentre le esportazioni (+3,7%)
non crescono al livello sufficiente, anche in seguito alla crisi dei soci commerciali
più importanti come il Brasile che ha sofferto di una politica economica
ferocemente restrittiva della domanda negli due ultimi anni (-2% e -5%
rispettivamente).
Fonte: Indec.
Come conseguenza, il debito in valuta
estera in un anno è cresciuto di 40,5 migliardi di dollari, ma senza un che a
esso corrispondano investimenti esteri di lungo periodo; l’afflusso di capitali
stranieri è stato utilizzato piuttosto per le spese correnti e investimenti
finanziari di breve periodo.
Infine, la risoluzione del “default
tecnico”, cioè l’accordo con i fondi avvoltoi (vulture funds) con condizioni
punitive per il paese, non ha implicato l’arrivo di un alluvione di dollari
freschi nella economia, come promesso da Macri durante la campagna elttorale.
Senza risultati chiari in vista come l’arrivo di investimenti dall’estero, il
“country risk”, che pubblica la Banca JP Morgan, è peggiorato durante 2016.
L’apertura indiscriminata ai movimenti di capitali speculativi, la soppressione
dei controlli nell’acquisto e vendita di valute estera e l’impianto di una
politica economica favorevole ai capitali finanziari stranieri non hanno
portato il “country risk” a un ribasso significativo. In fatti, questo indice é
salito da 447 a 450 ponti ed è ancora più alto di quello del Brasile (275), la
Colombia (275), e della maggioranza delle economie emergenti.
Ritornando,
infine, a quanto sostiene l’autore, che “la fiducia... può richiedere anni per essere costruita”, crede
egli davvero che si possa usare quest’argomento della “fiducia” come se un
elemento soggettivo potesse da solo determinare effetti reali? Termini come “fiducia” o “integrazione nel mondo
globalizzato” sono delle banalità sostenute in genere da chi non osserva
seriamente i dati empirici e le circostanze specifiche. Su questa base ci domandiamo, sulla base della
lettura dell’articolo in oggetto, se l’autore conosce almeno qualche dato
empirico reale relativo all’economia argentina, oppure se il suo contributo è
basato solo su concetti molto generici e convenzionali applicabili
indifferentemente a qualsiasi situazione concreta.
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