Intervento
al Seminario internazionale, Europe…What’s
Left ? organizzato da: transform!
europe, transform! italia, Rosa
Luxemburg Stiftung e Alternative per
il Socialismo, sulle “22 tesi per
l’Europa”, 20 gennaio 2017, Casa Internazionale delle Donne, Roma
Fiato sprecato
Farò un
discorso molto franco. Non c’è molto nelle 22 tesi qui discusse (e in calce
riprodotte) con cui mi senta d’accordo. Andando subito al punto, si paga un lip service allo Stato nazionale mentre
nei fatti si afferma che nulla di decisivo può essere effettuato a quel
livello. Si cita a tal riguardo il caso di Syriza che lo dimostrerebbe. Ma è
esattamente l’opposto! Quella tragica vicenda proprio dimostra che nulla è
possibile a livello europeo e che ci si deve attrezzare a livello nazionale. Al
riguardo ho ascoltato Paolo Ferrero affermare cose piuttosto confuse:
disubbidire ai Trattati sino alla rottura, dunque ritorno alla dimensione
nazionale, però no perché si rompe per cambiare le regole europee. Un po’ di
concretezza per favore.
(a)
Lo
Stato nazionale è il terreno in cui storicamente si è sviluppato negli ultimi
secoli i conflitto sociale, e dunque la democrazia. I disegni sovranazionali e
la globalizzazione sono disegni liberisti volti proprio a smantellare quel
terreno di conflitto spostando altrove i centri di potere, liberalizzando i
movimenti del capitale e del lavoro. Robert Gilpin – uno dei fondatori della
International Political Economy – scrisse chiaramente come due siano le
correnti internazionaliste: i liberisti e i marxisti, cui si oppone la tradizione che nasce col
mercantilismo, prosegue con List ecc. del Developmental State, del nazionalismo
economico volto al riscatto economico e dunque sociale del proprio paese. Nei
fatti anche la sinistra fin tanto che è stata progressista, cioè ha curato il
riscatto dei propri popoli, è stata anche nazionalista. I cosmopolitismo della
sinistra è dunque un abbaglio storico, ad essere generosi.
(b)
Non
è vero che l’errore dell’Europa sia stato quello di anteporre l’Europa
economico/monetaria a quella politico/sociale. Un’Europa federale progressista
è un’utopia, l’unica Europa possible è quella che si sta realizzando,
ordoliberista. Abbiamo al riguardo più volte citato Hayek che denunciò l’impossibilità
di un’Europa redistributiva, perequativa. Ragione per cui ritenne l’unica
Europa possibile quella liberista, dello Stato minimo e al massimo regolatore
(del mercato non dei diritti). L’Europa federale è la Mecca dei liberisti, come
ben sanno i radicali italiani, non dei socialisti.
Ho udito qui Mario Candeias della Luxemburg Stiftung affermare che gli
europei capirebbero la proposta di un accesso universale ai servizi sociali in
tutti in Paesi europei: siamo, scusate, alle fantasie pure. Così come l’idea di
Ferrero che le risorse ci sono per affrontare tutti i problemi europei: sì,
potenzialmente ci sono, ciò che manca e mancherà è la volontà dei popoli di
condividerle!
Oggi la battaglia è dunque quella opposta:
costruire una solidarietà europea attorno all’idea della restituzione a ciascun
popolo della propria sovranità democratica sul proprio destino. E la nostra
riflessione deve essere indirizzata a quest’obiettivo, oltre a quello di capire
come si possa attuare politiche progressiste in un Paese solo (tenuto
naturalmente che politiche estere progressiste e spregiudicate possono
allargare le alleanze fuori dell’UE). Purtroppo come si comprende ascoltando
oggi i costituzionalisti, poco si è capito nella battaglia referendaria che
essa costituiva una difesa della sovranità nazionale. Non si può difendere la
Costituzione e poi volerla svendere a entità sovranazionali di dubbia
democraticità (condite o meno di slogan di sinistra).
(c) Trovo al limite dell’infantile ritenere
plausibile una congiunzione astrale per cui governi di sinistra si trovino al
governo allo stesso momento in un numero congruo di Paesi con l’intenzione di
allearsi per cambiare l’Europa. A parte che il potere contrattuale sarebbe
infimo (i documento è ingenuo nell’attribuire questo potere a un’alleanza di
sinistra Spagna, Portogallo e Grecia, peraltro non verificatasi). Certo
utopismo è nemico di una sinistra concreta. Come avvertì Bob Rowthorn molti
anni fa - passi ripresi da Cremaschi nella recensione
al mio libro:
"..La
crisi che colpisce milioni di cittadini britannici è ora su di noi. Se la
sinistra intende sfruttare questa situazione, essa deve adottare un programma
che offra alla gente qualche speranza, e deve dunque ragionare in termini di
qualcosa di più pratico della rivoluzione europea o mondiale. Coloro che
attaccano una strategia nazionale per il socialismo in Gran Bretagna come
destinata al fallimento e si appellano a una rivoluzione europea o mondiale
possono sembrare molto rivoluzionari. Ma nei fatti la loro è la dottrina della
disperazione, e per quanto molte delle loro opinioni possano ispirare una
piccola avanguardia di simpatizzanti, essi non possono che ispirare
demoralizzazione fra le masse di lavoratori a cui non offrono niente.."
Nella sua recensione Cremaschi ben
coglie il senso delle Sei lezioni in
questa direzione:
Le vie nazionali di rottura con il liberismo sono l'unica
via credibile per mettere in discussione il sistema di disoccupazione di massa
e ingiustizia sociale affermatosi con la globalizzazione finanziaria. E questo
vale soprattutto in Europa, dove la costruzione reale della Unione ha fatto
delle politiche di austerità un fondamento costituente della unione stessa.
Con grande franchezza, trovo anche molto di
sapore real-liberista, per così dire, il discorso che ci si rivolge: ah, ma voi
che volete tornare alla sovranità monetaria (il che vuol dire democratica)
trascurate i problemi della rottura dell’euro, gli sconquassi, i costi, la
catastrofe a cui si giungerebbe... implicitamente si dice, in fondo si sta
meglio al calduccio dell’euro tanto a noi élite cosmopolita nessuno ci nega di
coltivare la speranza che le cose cambino. Questa è una posizione
oggettivamente (quando non soggettivamente) reazionaria. E, comunque, che sia
la paura della rottura dell’euro a sostenere l’europeismo mi sembra una
posizione politicamente assai sorprendente. [Non vale neppure menzionare
l’altro argomento, assurdo, per cui abbandonare l’euro e perseguire la
sovranità nazionale non ha senso in un mondo “globalizzato”. Sì, perché essersi
messi nelle mani dei tedeschi (Caffè diceva “mai coi tedeschi!”) ci sta
salvando! Ma ché la Corea del sud, un Paese simile all’Italia, vuole fare
un’unione con il Giappone o altri Stati? O la Polonia pensa di entrare
nell’euro? L’argomento per cui per combattere la globalizzazione la si dovrebbe
assecondare, svendendo le istituzioni sovrane, è, di nuovo, oggettivamente
neo-liberista.[1]
Naturalmente siamo ben consci dei costi e
delle difficoltà di una rottura. Siamo d’altronde consapevoli che la rottura
avverrà se e quando le circostanze storiche lo detteranno. E poiché tali
circostanze saranno sia oggettive che soggettive, possiamo decidere se
contribuire ad accelerare o rallentare questo processo. Chi lo rallenta - o
getta confusioni e slogan scopiazzati come certi pseudo-affabulatori e quaquaraquà - fa il
gioco dell’unica Europa possibile, che è quella attuale (che se cambia, sarà in
peggio).
Tutti i costi di una rottura sono gestibili,
se politicamente lo si vuole. Le ritorsioni internazionali (europee
naturalmente!) sono la vera minaccia: ma allora dobbiamo essere europeisti
sotto minaccia? Bell’ideale!
Siamo per un movimento Pan-europeo, ma che
abbia all’ordine del giorno il diritto dei popoli all’autodeterminazione – come
sarebbe dovuto accadere nel caso del referendum greco. Poi c’è tanto da capire
e studiare, e in particolare come ricostruire questo Paese. Su questo
concentrerei gli sforzi – come sulla trasmissione di conoscenze al riguardo fra
movimenti nazionali alternativi – e non su mal posti sogni europeisti. Credo
che avere il proprio Paese, i propri ceti popolari, i propri figli al centro
del discorso politico sia l’unica prospettiva credibile per una sinistra
responsabile e veramente internazionalista.
Riferimenti
Cesaratto, S. Alternative
Interpretations of a Stateless Currency crisis, Working paper DEPS
735/2016,
forthcoming in the Cambridge Journal of Economics
Hayek, F. A. 1939. The
economic conditions of interstate federalism, in ID, Individualism and Economic Order, Chicago: University of Chicago Press.
Luxemburg Stiftung, Europe … what’s left? 22 theses for discussion, http://www.euronomade.info/?p=7318
[1] In una lunga giornata di lavori si sono sentiti poveracci come
Tonino Perna e i quaquaraquà, ma anche
la Castellina (ormai più a destra dei figli) dare del fascista agli operai
americani. L’unico discorso un po’ concreto l’ha fatto Alfonso Gianni, secondo
il quale le “catene lunghe di valore”, insomma l’inestricabile intreccio
industriale che ci legherebbe alla Germania, rende irrealistica una
separazione. Non è molto per fondare tanto afflato europeista che ha animato
l’attempata nomenklatura tsipraiola lì presente (eccezione i lodevoli Fassina e
Cremaschi). Comunque se ne dovrà discutere. Nota dolente: questa nomenklatura
controlla l’unico organo di informazione stampata della sinistra.
***
Le 22 tesi per l’Europa
presentate dalla Fondazione ROSA LUXEMBURG* nell’incontro di Berlino tenutosi
nel giugno 2016. (NB i grassetti sono nell’originale)
In milioni guardano all'«Europa»
con speranza. Nonostante la realtà sia distante da tale speranza, queste
persone pensano all'«Europa» come a un rifugio contro la guerra e la
persecuzione. Ogni giorno, coloro che attraversano le nostre frontiere
militarizzate fanno sì che resti di attualità la questione di un altro futuro
per l'Europa. Sono «Europa» anche i milioni di persone che accolgono chi arriva
in questo continente in cerca di un rifugio. Nell'accogliere i rifugiati, gli
europei chiedono a gran voce uno stile di vita amorevole e democratico e si
schierano politicamente contro una società individualista e competitiva, nonché
contro la «post-democrazia». Inoltre, sono «Europa» anche coloro che si
oppongono all'idea che non esista un'alternativa all'austerità e al relativo
regime dal sapore autoritario e coloro che si battono per le politiche di alloggio,
la sanità e l'istruzione, la tutela dell'ambiente e la garanzia, per tutti, di
diritti sociali e dei lavoratori. Questa Europa, tuttavia, non viene presa in
considerazione a causa della polarizzazione tra i movimenti autoritari al
potere e il crescente populismo radicale di destra. Dobbiamo far sì che, in
Europa, questo «terzo blocco» sia più visibile e politicamente efficace.
L'Europa non è un qualcosa di
indefinito all'orizzonte, né una mera possibilità. Sono in molti, ormai, a
vivere la realtà cruenta dell'Europa reale. Le istituzioni e gli esponenti
politici dell'UE hanno impoverito in maniera sistematica intere società, hanno
indebolito la democrazia parlamentare e hanno predisposto e ristabilito
l'isolamento dell'Europa rispetto al resto del mondo. Inoltre, anche laddove
fossero risolti i conflitti interni e la geografia variabile del processo
europeo, l'Europa non sembrerebbe ancora godere di buona salute. Per molti,
«Europa» è sinonimo di impoverimento e limiti ai diritti sociali e democratici.
È chiaro, dunque, che l'Europa non rappresenta una speranza per tutti: Europa
significa anche meno democrazia, meno diritti sociali è più neoliberismo.
Questa immagine svanirà solo se «Europa» diventerà sinonimo di crescente
benessere, ma tale possibilità, con la crisi, è diventata remota.
L'Europa, oggi, rappresenta un
problema comune, non da ultimo per la sinistra. Questa situazione sta
accentuando le divisioni della sinistra e sta minando i fattori che ci tengono
uniti: malgrado tutte le loro differenze e le peculiarità a livello nazionale e
locale, i conflitti sociali stanno diventando sempre più simili e stanno
portando a una situazione analoga, legata a doppio filo con lo sviluppo
politico del continente. Ciò ha portata alla nascita di problematiche comuni,
come il nuovo populismo di destra, l'immigrazione, l'austerity neoliberale, le
alternative democratiche, il rinnovo della democrazia sociale, i nuovi partiti
di sinistra e la nascita di nuovi movimenti sociali. Nonostante tali fattori
non si siano presentati allo stesso tempo, sono comunque emersi in uno stesso
contesto e all'interno di un preciso periodo di tempo. Lo ha capito anche la
«sinistra antieuropeista» e, indipendentemente dalle proposte che avanza, formula
attacchi contro l'UE di respiro europeo, come del resto la sinistra europeista
dà sempre la precedenza a attacchi contro le «istituzioni non democratiche»
dell'UE. Le contraddizioni della sinistra europea, quindi, non possono essere
risolte solo tramite il dibattito.
Ma di quale Europa e di quale
Unione Europea stiamo parlando? L'estate di migrazioni ha accentuato le crepe
politiche dei gruppi al potere in Europa e il referendum del Regno Unito ha
peggiorato il clima di sfiducia. Stanno nascendo alleanze nuove e variabili: i
paesi europei formano schieramenti diversi a seconda della questione da
affrontare e continuano ad esistere vari accordi istituzionali (Schengen,
l'Eurogruppo, l'UE, ecc.). Essi, inoltre, stanno diventando sempre più fragili.
Al contempo, è venuta a crearsi una situazione in cui le fazioni politiche si
dividono, in tutto il continente, intorno a una domanda di cruciale importanza
per tutta l'Europa: «Cosa pensate dell'UE e delle persone che cercano
rifugio?». Non sono queste le uniche domande all'origine di una frattura in
vari schieramenti politici; inoltre, tali interrogativi stanno anche portando a
legami inediti. Ma cosa significa, realmente, tutto ciò?
È noto che lo sviluppo politico
dell'Europa è caratterizzato da una stessa tendenza: la scelta tra
l'isolazionismo del populismo di destra e il neoliberismo autoritario. Per
fronteggiare tale tendenza è necessario un approccio transnazionale: la
sinistra dovrà fare affidamento sull'internazionalismo per essere in grado di
rispondere alla nuova Internazionale populista di destra. Ma ciò sta davvero
avvenendo?
In generale, dobbiamo essere aperti
a cambiamenti rapidi nella società. La crisi europea non è lontanamente risolta
e assistiamo a capovolgimenti continui: il golpe contro il governo greco
dell'estate scorsa, la reazione all'estate di migrazioni e la costituzione in
Germania di un partito che, nella migliore delle ipotesi, possiamo dire che
rappresenti il populismo di destra. Eppure, stiamo assistendo anche a risvolti
inaspettati, come i venti di socialdemocrazia che soffiano in Gran Bretagna e
negli Stati Uniti, il governo anti austerity del Portogallo, alcune iniziative
positive e la Nuit Debout in Francia.
Questi sviluppi sono altre espressioni dei movimenti a favore della democrazia
del 2011. Pare che il «terzo polo» sia ancora in vita!
Non ha senso illudersi; non è
ancora chiaro cosa succederà in futuro. Giusto per dare un esempio: la
situazione che devono affrontare coloro che, fuggiti dal proprio paese, sono
arrivati in Grecia e la gestione di tale situazione da parte del governo della
Turchia sono, chiaramente, indifendibili. Nonostante la chiusura, disumana,
della rotta balcanica abbia ridotto la pressione interna sul governo tedesco,
l'accordo con la Turchia può avere - e probabilmente avrà - conseguenze enormi.
Inoltre, il dibattito sulla Brexit sta dando forza a posizioni in favore della
disgregazione dell'UE. Infine, dovrebbero tenersi nuove elezioni in Spagna a
giugno. Tutti questi fattori dimostrano che abbiamo bisogno di una strategia
utile non solo per reagire agli eventi politici, ma anche per sviluppare un
programma autonomo.
La situazione della
sinistra
La sinistra europea deve
confrontarsi a una situazione divergente. In molte aree dell'est, la sinistra
riveste una posizione molto precaria. In Scandinavia, Germania, Francia e altri
paesi del nord manca la spinta per una svolta a sinistra; la destra radicale,
al contrario, sta diventando sempre più forte. Inoltre, il contesto politico ha
subito una scossa e i partiti tradizionali sono stati indeboliti nei paesi
ancora colpiti dalla crisi. Tra questi: Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda.
Tuttavia, è in questi paesi che i movimenti sociali e i partiti di sinistra si stanno rilanciando. Ciononostante,
i gruppi al potere e i governi sono restati impassibili di fronte a tali
sviluppi e continuano ad attuare politiche di austerity, senza speranza, ma
facendo affidamento al loro potere strutturale e transnazionale. Ad oggi, non
hanno raggiunto le «istituzioni forti» del potere, né le istanze della società
civile, estese e vivaci, né i nuovi governi di Grecia e Portogallo.
Nonostante si siano ripresentate
lotte in Europa, non è ancora stato creato un movimento europeo, per quanto
esistano segnali che fanno pensare allo sviluppo di tale movimento. Al momento,
tendono a comparire lotte a livello nazionale, mentre le lotte transnazionali
sembrano avere uno sviluppo lento e selettivo. La ragione è che la situazione
attuale è caratterizzata dalla mancanza di sincronia: le dinamiche sono troppo
variegate e la forze coinvolte non sono forti abbastanza. Inoltre, è importante
sottolineare che i percorsi di apprendimento che hanno gettato le basi per
forme di solidarietà concreta sono impegnativi, certo, ma non privi di margini
di successo. In innumerevoli incontri - più o meno grandi - continuano a essere
intavolati dibattiti sulle
contraddizioni, i problemi, le strategie e le modalità con cui affrontare
questioni precise. Tuttavia, non è ancora chiaro quali aspetti possano fungere
da punti di contatto per le organizzazioni transnazionali.
I paesi caratterizzati da una
dinamica meno forte, come Germania e Italia, tendono ad essere orientati in
maniera più decisa verso l'Europa. Al contrario, nei paesi con una forte spinta
a sinistra o in cui l'impatto delle politiche della Troika porta con sé
un'immagine negativa dell'UE, la prospettiva europea diventa secondaria.
Ciò vale certamente per paesi come
Grecia e Portogallo. In questo senso, i tentativi per «aumentare i numeri»
hanno avuto esiti più soddisfacenti nei casi in cui sono stati organizzati a
livello nazionale o locale. Resta chiaro, tuttavia, che una prospettiva di
respiro europeo è sempre più necessaria, perlomeno se abbiamo realmente
intenzione di raggiungere il livello delle solide istituzioni transnazionali.
La solidarietà tra sindacati, in
Europa, è un tasto dolente. Inoltre, la Confederazione Europea dei Sindacati
non è particolarmente adatta a svolgere un ruolo di coordinamento di portata
europea, a causa dei forti interessi delle associazioni e dei sindacati che ne
fanno parte, nonché a causa delle differenze considerevoli che sussistono tra
la situazione dei relativi paesi. Tuttavia, il 14 novembre 2012 ha
rappresentato un punto di svolta nella storia della Confederazione: ha
organizzato uno sciopero generale congiunto e ha garantito il proprio sostegno
a eventi che si sono svolti in vari paesi europei. I sindacati tedeschi, come
IG Metall, sono assorbiti dalla gestione della crisi tedesca e sono combattuti
tra la loro critica all'austerity neoliberale e i benefici di cui godono a
discapito di altri gruppi di lavoratori subordinati. La conseguenza è che la partecipazione
pratica dei sindacati tedeschi nelle proteste contro la crisi è stata scarsa.
Analogamente i sindacati tedeschi hanno iniziato a criticare seriamente
l'operato della Troika e manifestare la loro solidarietà alla Grecia con un
certo ritardo. La situazione, effettivamente,è cambiata solo con l'appello a
«rifondare l'Europa» e con la proposta, avanzata dalla DGB, di un «Piano
Marshall per l'Europa». Tuttavia, queste richieste non hanno portato a fatti
concreti.
Per uno schieramento dell'OXI:
processo costitutivo e re-istituzione dell'Europa
1 È chiaro da sempre e
Tsipras lo ha ripetuto più volte: nessun paese può farcela da solo. Syriza ha
raggiunto l'impossibile, ma ha guadagnato tempo e ha politicizzato la questione
della crisi (del debito) e della democrazia in Europa. Al contempo, ha agito da
«grande catalizzatore» (Strohschneider) e ha smascherato l'orientamento
autoritario-neoliberale dell'attuale configurazione dell'UE; inoltre ha acceso la speranza per un'altra Europa. Analogamente,
adesso, noi dobbiamo pronunciarci diversamente per varie questioni rilevanti
per l'UE.
2 La sinistra nei «Paesi
cardine dell'UE», ha contribuito troppo poco al mutamento dei rapporti di forza. La sinistra, che non è poi così
ristretta, e che comprende partiti, movimenti, intellettuali e sindacati, sia
in Germania che in tutta l'UE, non è riuscita a lanciare un'iniziativa
condivisa che andasse oltre i conflitti interni per trovare un punto di unione
e accelerare la fine del progetto europeo di stampo autoritario-neoliberale.
3 Quindi, dobbiamo
chiederci quale posizione strategica assumere - e non quale posizione prendere
caso per caso - per avere una chance di modificare l'attuale rapporto di forze.
Ciò ci riporta alla questione dell'organizzazione: dobbiamo aumentare i nostri
numeri! Possiamo imparare molto, in questo senso, dalle esperienze
susseguitesi in Grecia e Spagna dal 2001. Questi due paesi hanno dimostrato che
è possibile coinvolgere parti della società civile attraverso una strategia che
tocchi le sfere civile e sociale, intervenendo con forza nelle relazioni
sociali quotidiane e collegare tali relazioni a prassi che, nel panorama della
sinistra, sono cambiate. Tale strategia potrebbe dare alla sinistra
un'influenza maggiore rispetto agli ambienti
di sinistra e attivisti tradizionali. Le istanze di solidarietà basate sul
sostegno reciproco e l'organizzazione politica, che collegano nuove tipologie
di «partiti interconnessi» (Porcaro) possono svolgere un ruolo fondamentale in
questo frangente. Syriza, le piattaforme
locali interconnesse (in altri modi) e Podemos (almeno in parte) agiscono da
catalizzatori per spostare la prospettiva di auto-organizzazioni e proteste
della società civile verso il potere di governo. Tuttavia, prima di poter
«fallire» al pari di Syriza, sarà necessario replicare i suoi successi in altri
paesi. O forse dovremmo intraprendere un percorso del tutto diverso?
4 Nel parlare di
mutamento nei rapporti di forze in Europa è fondamentale riconoscere la
rilevanza dell'organizzazione transnazionale dei sindacati. Nel 2015, le vicissitudini
di Syriza hanno dimostrato chiaramente quanto possa essere debole, se non
assente, la risposta dei sindacati. Tuttavia, senza il coinvolgimento dei
sindacati, qualsiasi tentativo di mutare i rapporti di forze è votato al
fallimento. Sono molti i lavoratori che entrano a far parte di sindacati, il
che non può che far piacere. Ma come possiamo superare la concorrenza e i
conflitti tra sindacati di paesi diversi? Quali sono le richieste condivise in
grado di garantire che i lavoratori, in Europa, non combattano tra loro ma
combattano sullo stesso fronte, anche se l'austerity li colpisce in maniera
diversa? Il fatto che fossero presenti rappresentanti della FIOM alle proteste
di Blockupy in occasione dell'inaugurazione della BCE a marzo del 2015 è un
passo nella giusta direzione, ma non è abbastanza per affrontare le sfide attuali.
5 I movimenti
democratici resistono, dal 2011, alla gestione autoritaria della crisi generata
dal regime di austerity. Inoltre, l'esperienza greca ha fatto sì che varie
iniziative provassero a costruire un
movimento democratico di portata europea. Stanno cercando di raggiungere
tale obiettivo prima che sia troppo tardi e che il declino dell'UE riporti
l'Europa a una situazione analoga a quella degli anni Trenta del Novecento. Tra
le iniziative più note figurano DiEM25, le varianti di Piano B, l'Alter Summit
e Blockupy. Ma quali sono i limiti con cui devono confrontarsi tali iniziative?
Come possono essere collegate? E a cosa devono a loro volta legarsi per
«aumentare i loro numeri»?
6 La necessità, per i
gruppi interni all'UE e all'Europa, di riunire le forze è ben nota e, ad oggi,
viene affermata con forza. Ma questi sforzi saranno vani se porteranno solo a
una serie di iniziative in competizione che restano al di sotto della massa critica
necessaria e se non porteranno ad alcun risultato a causa della loro
inefficacia. Spesso, viene posta la domanda «Cosa è necessario fare?» e ci si
interroga su cosa debba cambiare, ma raramente a tali interrogativi fa seguito
la domanda: «Chi diamine lo farà, e come?». Il dibattito sulla forma politica che dovrebbero adottare le
organizzazioni e sul processo di creazione di forme di collegamento, oggi,
è più importante che mai. Tuttavia, tale dibattito non va quasi mai oltre il
livello delle singole questioni e oltre l'idea che, in presenza di alternativa
migliori, tutto il resto andrebbe a posto. Ciò porta all'evidente mancanza di
fondatezza di molte iniziative. Come possiamo assicurarci che queste iniziative
così diverse non portino solo a un jet set di attivisti europei che si limita a
scatenare accesi dibattiti ben poco concreti, riuscendo ad avere solo un
impatto marginale sui veri equilibri di potere nell'UE?
7 Le forze che
potrebbero essere identificate come nuovo
movimento di municipalismo hanno un'enfasi strategica diversa: partono dal
presupposto che i tentativi per promuovere un'organizzazione di respiro europeo
saranno vani finché non esistono le condizioni per inserirsi nella vita
quotidiana delle persone: nei quartieri, nei luoghi di lavoro e nelle comunità
locali. In Spagna, le piattaforme interconnesse hanno ottenuto il controllo
delle città principali del paese. A Barcellona, Madrid e non solo, i sindaci
provengono da rinnovati enti locali di sinistra. In maniera analoga, non è un
caso che i nuovi movimenti siano emersi a livello cittadino e di quartiere. A
causa della scarsa quantità di risorse a disposizione per la sinistra, è questo
il livello necessario - seppure inadeguato - per organizzare un movimento
popolare che miri a «aumentare i nostri numeri». Questa strategia consente alle
forme partecipative di organizzazione di unirsi a assemblee che forniscono una
rappresentanza degli interessi credibile e a prassi istituzionali che portano
all'apertura del sistema «alle masse», restituendo la concertazione e il potere
decisionale alla società civile. Tuttavia, dobbiamo anche chiederci quali siano
i livelli più appropriati, per le organizzazioni di sinistra, il che dipende
sempre dalla situazione specifica.
8
Le vicissitudini di Syriza mostrano
i limiti posti all'operato dei singoli governi all'interno di un'Europa
autoritaria. Lo stesso avverrà - in maniera diversa - per il nuovo
municipalismo. Quindi, è necessario un «salto di scala» che trasformi queste
forme organizzative e politiche in un'entità di respiro europeo. Ciò potrebbe
essere possibile attraverso network di città e regioni o, in maniera più
categorica, con la prospettiva di una comunità europea e del processo
costitutivo di un'altra Europa dal basso. Ad esempio, le piattaforme locali in
via di collegamento si sono impegnate principalmente nella fondazione di
DiEM25. Ciudades rebeldes, il network delle principali città spagnole che, da
maggio, sono governate dalla sinistra è un esempio della forma che potrebbe prendere
un tale movimento democratico.
9 Il livello
dello stato (nazionale) continua ad essere quello prediletto per i processi
democratici, per quanto sia inadeguato. Anche le operazioni organizzative, a
sinistra, vengono svolte principalmente a questo livello, attraverso movimenti
e partiti politici. Di conseguenza, non dovrebbe sorprendere che lo stato resti
un punto di riferimento importante; lo stesso è avvenuto per la
riorganizzazione della sinistra in Italia. Tuttavia, l'organizzazione a livello
di stato non deve essere necessariamente bollata come incompatibile con i
tentativi di organizzazione e partecipazione a livello europeo. L'idea stessa
di «Europa» non ha forse un doppio livello di focalizzazione - il livello dello
stato membro e il livello europeo? Non si tratta dunque di un aut-aut, ma della
volontà di delineare priorità e connessioni specifiche per la situazione.
10 Il livello statale rimane inoltre
un campo di battaglia fondamentale per i governi di sinistra. Nel mese di ottobre
2015, il Partito Comunista Portoghese, il Blocco di Sinistra e il PS hanno
garantito il proprio appoggio a un governo di minoranza socialista. Se il
governo spagnolo diventasse, presto, di centrosinistra, potrebbe diventare
possibile, almeno, scambiare la quantità per la qualità e Grecia, Portogallo e
Spagna sarebbero tre governi anti austerity in grado di mettere parzialmente in
discussione i rapporti di forza all'interno delle istituzioni europee.
11 In molti credono che ritrovare la sovranità sia una
questione importante a livello europeo. Tuttavia, difendere i risultati
raggiunti a livello di Stati Membri può portare, facilmente, a ridurre tali
questione a richieste di «sovranità nazionale». È importante che ciò non
avvenga. È altamente improbabile che uno stato nazionale riconquisti tutta la
sovranità attraverso lotte a livello nazionale, in particolare in periodi di
network produttivi e mercati finanziari transnazionali. Inoltre, dobbiamo
continuare a chiederci «Per chi è questa sovranità? » - certamente non per lo
stato! I cittadini si lamentano del fatto che non hanno influenza sulla propria
vita quotidiana e affermano di voler prendere decisioni in maniera autonoma.
Dunque, tale questione non si riduce al ritorno a una prospettiva nazionalista,
ma concerne piuttosto la sovranità dei ceti popolari. È una questione che
riguarda tutti i livelli della politica, da quella locale a quella regionale,
statale e sovranazionale. Il dibattito sulla sovranità lanciato da iniziative,
da Piano B a DiEM25, potrebbe diventare un'opportunità
di collegamento? E ciò consentirebbe di trasformare la spinta verso la
rinazionalizzazione in una spinta verso il decentramento e l'Europeizzazione?
12 Infine, quali sarebbero le
sembianze di un tale contesto? Dovrebbe essere incentrato sull'estensione dei diritti concreti democratici, sociali, ambientali e
individuali. Sono molte le idee in materia di istituzione di idonei
standard minimi a livello europeo, attraverso la creazione di dispositivi
sociali che possano funzionare come meccanismi istituzionali per ottenere un'attenta
armonizzazione al rialzo delle condizioni di vita in Europa; vi sono inoltre
molti spunti sull'equità fiscale e sui limiti ai poteri dei «mercati
finanziari», delle multinazionali, ecc. Di nuovo, il ruolo dei sindacati e il
loro potenziale di organizzazione transnazionale è molto significativo.
Qualche proposta specifica
13 Potenziare la
partecipazione dal livello locale a quello europeo sarebbe un ulteriore passo
verso una democrazia «reale» e non solo formale e rappresentativa. Mezzi di
potenziamento potrebbero essere referendum dal livello locale a quello europeo
e une partecipazione istituzionalizzata costante nel processo decisionale, ad
esempio attraverso consigli rappresentativi locali o regionali. I Parlamenti, a
tutti i livelli, devono avere relazioni più strette con gli esecutivi; le
piattaforme civili e i consigli devono essere coinvolti nel processo
decisionale e il potere di prendere alcune decisioni deve essere restituito
alla società civile. Infine, il Parlamento Europeo deve godere dei poteri di un
vero organo legislativo.
14 Ha senso tenere in considerazione
l'idea di «restituire» alcune
competenze, che attualmente appartengono all'UE, ad altri livelli. Ciò
presuppone lo sviluppo di nuove dinamiche tra il decentramento e gli scambi
transnazionali: le questioni di rilevanza locale devono essere discusse a
livello locale. Gli aspetti che hanno un impatto su altre persone, oltre il
livello locale o regionale, devono essere discussi oltre il livello regionale o
dagli stati stessi, con la partecipazione delle parti coinvolte. Alcune
questioni, tuttavia, richiedono una risposta europea, come le infrastrutture
europee, la politica relativa al clima, la regolamentazione dei mercati
finanziari, la compensazione finanziaria, ecc. Il processo costitutivo voleva
dotare il progetto europeo di una costituzione e fare sì che gli stati
decidessero quali questioni dovessero essere trattate da ogni livello. Ciò
riguarda anche, ma non solo, il ripristino delle istituzioni esistenti. Visto
l'andamento non uniforme dei processi politici in Europa, potrebbe essere
strategicamente necessario garantire che aspetti come l'acquisizione
autodeterminata di competenze, la creazione di denaro, la tassazione e la
rigenerazione degli apparati di stato siano affrontati a un livello più basso
all'interno del sistema europeo «a più livelli». Ciò acquisirebbe grande importanza
laddove le istituzioni comunitarie o nazionali decidessero, intenzionalmente,
di bloccare processi e decisioni democratici, come nel caso del voto greco per
l'OXI o come è avvenuto e avviene per la situazione della Catalogna.
L'acquisizione autodeterminata di competenze in settori più ristretti, dunque,
potrebbe essere necessaria per conferire stabilità al processo democratico o,
persino, per agevolarlo; nondimeno, tale situazione potrebbe essere temporanea
e potrebbe cambiare non appena si presenti una soluzione migliore in un settore
più ampio.
15 Le iniziative che non
mettono in discussione in maniera sostanziale le vecchie istituzioni e mirano a
crearne di nuove non hanno possibilità di successo. Dobbiamo modificare le basi e costruire istituzioni democratiche alternative. Un processo costitutivo di
consultazione coordinato a livello locale e sovraregionale organizzato in assemblee simili a consigli presenti dal
livello locale a quello comunitario dovrebbe confrontarsi con il compito
arduo di riunire varie posizioni di sinistra in un'alternativa comune.
Ovviamente, non c'è bisogno di aspettare il permesso delle istituzioni per
iniziare un tale processo: potremmo, semplicemente, «andare avanti» e
organizzarlo!
16 Sarebbe importante, inoltre,
«organizzare processi politici di intesa, che, per esempio, prevedano un
impiego attivo del Parlamento Europeo e dell'idea di una Convenzione Europea,
ma che lo facciano senza limitarsi a
tali istituzioni e idee» (Wolf 2016). Ciò non deve avvenire solo a livello
della società civile, ma anche a livello comunitario. Tale processo potrebbe portare alla creazione di un'assemblea
costituente per l'Europa, che dovrebbe quanto meno essere eletta tramite
elezioni universali e uguali. All'inizio del 20° secolo, questa strategia ha
consentito alle masse di svolgere un ruolo attivo nella sfera politica e viene
attualmente ripresa da iniziative come DiEM. Che tipo di Europa vogliamo? Come
vogliamo viverci?
17 Un'alternativa alla
situazione attuale non può essere né astratta né idealistica: al contrario deve
prendere spunto dalle necessità quotidiane delle persone e dai veri equilibri
di potere. Il processo costitutivo, inizialmente, non sarà un processo
costituzionale, ma si concentrerà principalmente sulla costruzione di un soggetto politico tra tanti. Ciò consentirà di
far sì che il dibattito non diventi astratto e tecnocratico poiché, altrimenti,
risulterebbe difficile metterlo in pratica.
18 Un processo costitutivo di
questo tipo può e deve iniziare a tutti i livelli: dal livello locale a quello europeo, all'interno e in rapporto con le istituzioni
esistenti. Le città ribelli spagnole che
stanno lottando per ridefinire le loro competenze o, per esempio, per rinegoziare
e cancellare il debito sono un buon esempio. Il processo di indipendenza della
Catalogna costituisce un altro esempio, al pari del dibattito creato dalla
iniziativa Piano B di Madrid su un governo di centrosinistra (e su un blocco
costituito dai governi di centrosinistra dell'Europa meridionale), attraverso la
ridefinizione « unilaterale» della relazione con l'UE, in modo da portare a un
nuovo processo di costituzionalizzazione comunitaria: un nuovo inizio dell'UE
che ne preservi e accentui gli elementi positivi. Ciò dovrebbe essere integrato
da un processo europeo di intesa, come già avviato da varie piattaforme
europee.
19 Tutto ciò è troppo
complicato? Forse aiuta pensare al processo
costitutivo come all'immagine di un tetto il cui punto di fuga è la
democrazia reale. Sarebbero vari i gruppi e le iniziative in grado di riporre
il proprio interesse e i propri progetti in questo «indicatore fluttuante»,
continuare ad applicare il proprio modus
operandi e a lavorare sulle questioni che più stanno loro a cuore (dal TTIP
al debito, alle politiche anti austerity o per i rifugiati, fino
all'indipendenza della Catalogna o di altre regioni o al dibattito relativo al
sistema monetario). Tuttavia, farebbero tutto ciò all'interno di un processo
dal basso che prende a riferimento il processo costitutivo e fornisce una
prospettiva. Ognuna di queste questioni e ognuno di questi movimenti riguardano
problematiche di democrazia fondamentali nonché la nascita di un'Europa
alternativa.
20 Un elemento dell'intesa
europea dal basso potrebbe essere una campagna per organizzare un'iniziativa dei cittadini europei che
si prefigga un numero ristretto di obiettivi fondamentali. Tali obiettivi
dovrebbero essere selezionati con anticipo e comprendere a) la fine dei tagli e delle privatizzazioni;
il sostegno agli investimenti in
infrastrutture sociali comunitarie (sanità, istruzione, alloggio, energia,
mobilità); e b) solidarietà con le
persone costrette ad abbandonare il proprio paese di origine. Tali punti
possono certamente essere formulati con maggiore chiarezza, ma sarebbe
importante evitare di selezionarne più di due o tre. La campagna anti TTIP ha
mostrato, recentemente, che campagne a livello europeo sono possibili. Questa
volta, tuttavia, la campagna dovrà essere più ambiziosa.
21 L'egemonia anti democratica
e la sottomissione e l'impoverimento della Grecia sono stati giudicati in
maniera critica da una minoranza significativa del 20-30% della popolazione
tedesca. Questa visione critica si è
inserita con forza negli ambienti di sinistra, verdi e di centro, coinvolgendo
Jürgen Habermas, Gesine Schwan, Reinhard Bütikofer e molti altri. Il dramma dei
rifugiati ha accentuato tale disagio: «Abbiamo bisogno più che mai di superare
i limiti esistenti per le proteste e formare uno schieramento sociale di coloro
che dicono 'No' alle politiche di austerità e alla distruzione della
democrazia, il che va oltre gli ambienti di sinistra tradizionali» (Bernd
Riexinger, Neues Deutschland, 08/11/2015). Nel resto d'Europa, il malcontento
verso il governo tedesco, in particolare, è aumentato in maniera davvero
consistente. Non sarebbe una cattiva idea se i partiti di sinistra, i movimenti
sociali e i sindacalisti critici di tutta Europa concordassero su una serie di
richieste minime in base alle quali organizzare una campagna.
22 Sono questa e altre le
strategie che verranno discusse durante la conferenza
sulla strategia europea «Europe – what’s left?» della
Rosa-Luxemburg-Stiftung, che comprenderà varie iniziative sociali, vari gruppi,
varie correnti e organizzazioni. Oltre alle tematiche politiche, avremo anche
bisogno di trovare le forme politiche più adatte e di connetterle tra loro.
Inoltre, abbiamo bisogno di sviluppare una strategia con la quale collegare i
vari livelli - locale/comunale, nazionale, comunitario e europeo, malgrado le
risorse non ingenti a disposizione della sinistra. Qual è il livello giusto per
interventi e organizzazione politici? L'obiettivo - nonostante le posizioni e
gli obiettivi diversi - è trovare prospettive e prassi di collegamento che non
siano un approccio unificato, ma che consentano il coordinamento di politiche
di ribellione che puntano a rendere un'altra Europa possibile. Questa volta, lo
faremo insieme. Il primo passo, per ogni processo costitutivo, è la creazione
di un soggetto politico.
Vox clamans in deserto.
RispondiEliminaSi faccia coraggio come alla fine ho dovuto farmelo io: l'unica regressione possibile di questa presbiomiopia progressiva passa attraverso l'annientamento politico. Ed esso passa ormai, purtroppo, attraverso una lunga o media stagione "trumpiana". Sono andati troppo in là; non riescono a trovare un modo per salvare la faccia e il posto al sole, per cui perderanno sia la faccia che il posto al sole. Lo vede anche lei: sono incartapecoriti. Le scelte recenti di Fassina e Attorre non lasciano a mio parere alcuna speranza.
Muoia Sansone con tutti i filistei.
Il tempo perso che ha dedicato a quel convegno è fortunatamente almeno in parte recuperato a nostro vantaggio dalla chiarezza e lucidità del suo discorso. Nessuno dei presenti si sarà minimamente convinto, ma questo è scontato. Del resto meglio così. Nessuno saprebbe che farsene dei rottami di una sinistra eternamente dalla parte sbagliata.
RispondiEliminaSi prepari. A breve quando questa follia finirà con un otto settembre ci sarà gran bisogno della sua competenza.
Fiato sprecato? Direi aria purissima...che nella sinistra scarseggia. Si soffoca, tra ottusità, presunzione e malafede. E tanta, tanta ignoranza, che nulla o quasi può scalfire.
RispondiEliminaRingrazio Bagnai per aver sempre citato i colleghi degni di essere seguiti.