La piccola imprenditoria non ce la fa più. A Belluno la Camera di commercio ha organizzato un incontro di imprenditori a cui ha invitato un esponente MMT ed è stato proiettato un mio breve video. A Roma altri piccoli imprenditori di Reimpresa (che ha migliaia di associati) ha cercato di radunare le associazioni che si battono contro l'euro. Questo il mio intervento, forse il più moderato dato il clima, ma temo molto l'isolamento in cui possono cadere queste iniziative. Ma nel momento in cui si parla di tagli di oltre 3 miliardi alla sanità, veramente la misura comincia a essere colma.
Intervento integrale all’incontro di
Reimpresa, Roma 13 ottobre 2013
Cari amici,
ieri mi sono letto ben tre documenti politici. Il documento congressuale
di SEL, quello di Gianni Cuperlo e il documento economico (“Documento dei 5 scenari”) predisposto da alcuni militanti qui presenti e indirizzato ai
parlamentari M5S (che mi risulta l'abbiano più o meno ignorato). Sui primi due presto detto: il vuoto totale. Infarciti di
chiacchiere, e naturalmente SEL è più brava in questo. Nessuna analisi seria e
concreta sull'Italia e l'Europa. Un vero documento di un partito della sinistra
spenderebbe una sola riga all'inizio per ribadire che la giustizia sociale e
piena occupazione nella libertà sono gli assi centrali del partito da
perseguire, aggiungerei, con riguardo particolare per il nostro popolo in un
ambito di cooperazione internazionale, per poi andare giù pesanti nelle analisi
e nelle prospettive di lotta e di governo. Il senso dei due documenti è in una
frasetta che Cuperlo scrive all'inizio: Quello che per loro contava nella Terra
Promessa non era la Terra, era la Promessa. Esatto, i quei documenti c’è molta
Promessa e niente Terra. Le speranze di Vendola insomma, quelle che Bagnai
racconta in un aneddoto nel suo libro. Fui io in realtà a narrargli che mi
trovai a rimproverare Vendola di non aver toccato il disastro dell’Europa, al
che lui che mi rispose che doveva vendere speranze - che definire chiacchiere è
più preciso. In queste chiacchiere camuffate per grandi ideali risiede un tremendo
bisogno di ritrovare e di riaffermare la propria identità perché al di là di
esse non si è nulla, non si esiste. A me questi fanno persino un po' ribrezzo e
mi danno un senso si sfiga. E guardate che non sono un anti-PD a priori. Anzi chi
dà loro del ladro in Parlamento così facilmente, e su un tema come quello del
finanziamento pubblico ai partiti su cui sinceri democratici come me sono
d’accordo pur con controlli e limiti, offende milioni di onesti elettori di
quel partito.
Del documento dei 5 scenari mi sono piaciute alcune opzioni ideali, la
piena occupazione e il welfare state in primis, segno di maturità democratica.
E poi, naturalmente, la ricerca della concretezza delle soluzioni. Ci si prova
almeno a misurarsi con la dimensione dei problemi. Questo è segno di una
genuina chiave riformista. (Quando parlo di riformismo mi riferisco a quello
storico e socialista di costruzione di diritti sociali, non a quello falso che
quei diritti vuole smantellare). Della dimensione dei problemi quegli altri
nemmeno hanno la consapevolezza, figuriamoci cimentarsi nelle risposte. Un
rilievo di metodo: credo che dobbiate allargare il vostro spettro di economisti
di riferimento tanto più che in Italia esiste e ancora a fatica sopravvive una
tradizione di pensiero classico-keynesiana quale pochi paesi possono vantare. Basti
pensare alla scuola di Piero Sraffa e Piero Garegnani, o alla tradizione della
scuola di Modena che si costituì in una gloriosa facoltà universitaria nei
primi anni settanta, anche sulla scorta della ripresa degli economisti classici
e di Keynes da parte di Sraffa-Garegnani, per affiancare le lotte operaie e
studentesche. Nel merito il documento dei 5 scenari cerca di
prendere di petto la questione centrale che è così riassumibile.
Ormai è ampiamente riconosciuto che l’Unione Monetaria Europea è una
riedizione del gold standard, un sistema monetario che nei paesi periferici è
propiziatore di crisi finanziarie e incompatibile con la democrazia. Crisi
finanziarie perché cambi fissi e liberalizzazioni finanziarie portano a
movimenti di capitale destabilizzanti che, per esempio, generano bolle edilizie
nei paesi periferici, indebitamento estero e crisi. Incompatibili con la
democrazia perché la perdita di sovranità monetaria e il vincolo a politiche
deflative – una volta passata la sbornia di eventuali bolle edilizie – impone
politiche antisociali. Un’Europa diversa è possibile, forse, con istituzioni
monetarie e fiscali più simili a quelle americane. E’ un’Europa che i tedeschi
non vogliono, e forse dal loro punto di vista ciò è anche comprensibile. Il che
fare non è però semplice.
Se la consapevolezza che la questione europea è esiziale per l’Italia si
è accresciuta, anche per merito di tutti noi, essa non è, tuttavia, ancora un
fatto di massa. Su questo dobbiamo stare attenti. Chiedevo la settimana
trascorsa alla mia classe di politica economica europea (laurea magistrale) se
avevano sentito parlare dell’MMT: 80 studenti, zero (zero) manine alzate (come
vedete di MMT ne parlo a lezione, tanto per mostrare che non c’è faziosità dal
mio versante). Purtroppo, a parte l’indifferenza, male endemico di un paese
ignorante come il nostro, dominante è l’idea che i nostri mali ce li siamo
creati da soli. E chi lo nega? Ma per noi non è questa la questione in questo
momento. Quindi batterci contro l’austerità, batterci contro quest’Europa,
contro quest’euro, contro i governi supini al padrone di Berlino continua a
essere elemento portante della nostra battaglia. L’opinione pubblica deve essere
condotta a porsi la questione: ma se l’Europa continua a dirci di no che si fa?
Dobbiamo essere maieutici, indurre l’opinione pubblica a porsi i nostri
medesimi problemi. Parole d’ordine non ben articolate ci possono isolare.
E, francamente, il problema dell’uscita dall’euro è questione né facile
né risolta. Se l’uscita fosse questione semplice non avrei dubbi in merito,
dato che non ripongo grandi speranze in quest’Europa. Naturalmente si
tratterebbe di mettersi a studiare il che fare successivamente, ma sarebbe certamente
un lavoro entusiasmante quello di cominciare a pensare a un’Italia diversa.
Nessuno di noi nega, infatti, che il nostro paese abbia tare storiche che non
si riducono a una classe politica incapace e spesso corrotta, come i
semplificatori ritengono. V’è un continuum fra questa classe politica e chi
l’elegge. L’anti-politica, oltre che dipendere dai bassissimi livelli di
istruzione del paese – ma anche da cause strutturali come i bassi tassi di
occupazione - semplicemente non c’era quando i politici avevano trippa da
spartire con gli elettori. Cambiare questo paese con le sue arretratezze
storiche, che coincidono in gran parte con la questione meridionale, non è cosa
facile. Ma ci sono anche i punti di forza, a partire dalle piccole-medie imprese,
se riusciremo a salvarle dall’attuale devastazione. Uscire dall’euro è facile a
dirsi, dunque. Il documento dei 5 scenari è ben consapevole che l’apertura
di un ampio dibattito democratico nel paese e di trattative internazionali –
pur volte a una rottura consensuale che salvaguardi l’Unione Europea –
scatenerebbe la speculazione finanziaria. Un bel ricatto di cui nemmeno il
documento dei 5
scenari riesce a fornire una chiave risolutiva. La
mia idea è che alla rottura quando ci si arriva ci si arriva, se ci si arriva.
E ci si arriva se l’insostenibilità sociale delle politiche attuali si tramuta
in una protesta di massa di cui, tuttavia, ancora non si vedono i segni. Il
potere soporifero sull’opinione pubblica degli Enrico Letta - o, con tutto il
rispetto, delle Susanna Camusso - ancora prevale. A noi il compito di dare la
sveglia, di arrivare a quel punto in cui l’Europa dovrà prendersi le sue
responsabilità di fronte al nostro popolo, e il nostro popolo di fronte a sé
stesso.
Mi era stato chiesto di parlare di lavoro e impresa, e mi scuso se non
sono stato precisamente in tema. Stamane, in contemporanea, alla Camera di
Commercio di Belluno, la provincia del distretto degli occhiali per capirci,
c’è un meeting di imprenditori sull’euro e il Presidente ha invitato un MMT a
relazionare. Mi ha chiesto un breve video che è stato proiettato in apertura. Quando
l’ha ricevuto era entusiasta. L’Italia che vorremmo non è quella del conflitto
lavoratori-impresa che per anni ha esasperato il paese. Una sinistra
conflittualista e demagogica ha le sue responsabilità in merito, ma la
borghesia italiana, da ultimo anche quella della PMI, ne ha di più grandi per
non essersi aperta alle istanze dei lavoratori, in particolare ai tempi del
boom economico quando negli anni sessanta fu persa l’occasione storica di
modernizzare il paese in direzione socialdemocratica. L’appoggio dato negli
scorsi anni a Berlusconi o alla Lega è stato il segno ultimo di questa grave
responsabilità politica. Ma a tutto c’è rimedio. In una moderna forza
progressista impresa e giustizia sociale devono poter coniugarsi.
Non so in che direzione possa essere costruita, ma abbiamo bisogno di una
forza politica nuova. Il M5S continua forse a essere un’occasione, solo che
diventasse davvero un movimento politico democratico di massa (con una
democrazia non umiliata e ridotta a internet). Voi sapete meglio di me quante
chance esistono per un’evoluzione in questa direzione. Ci vuole però un salto
culturale che sia anche capace di recuperare il meglio della tradizione
democratica e socialista italiana alla quale, per dirne una, mancava e manca il
keynesismo che per noi è invece ABC di massa. Dovremmo essere quello che la
sinistra del PD vorrebbe essere contro alla politica da Bar Sport di Renzi, ma
che non riesce a essere perché priva di concretezza riformista, di cui il
keynesismo è componente essenziale. Ieri sera sentivo Letta a Venezia: è
terrorizzato che alle prossime elezioni europee le forze anti-euro superino il
30%. Sarebbe bello dimostrargli che, almeno in Italia, non di populismo si
tratta, come egli afferma, ma di forze veramente riformiste e, perché no,
davvero europeiste.
Da parte mia posso arrecare l’apporto intellettuale della parte più
solida degli economisti non-conformisti italiani, con la sua solidità e il suo
radicamento storico nella parte migliore della storia democratica italiana (per
dirne una, Sraffa era amico e mentore di Antonio Gramsci) e nel dibattito
scientifico internazionale. Anche fra gli economisti ci vuole dunque capacità di
ascolto e rispetto, senza che nessuno si arroghi la presunzione di avere verità
rivelate in tasca. Di guru e gurini in questo paese ne abbiamo piene le
scatole.
Riferimenti
- Per un’interpretazione
del mancato riformismo e keynesismo della sinistra italiana la migliore analisi
in assoluto è: L. Paggi e M. D'Angelillo, I comunisti italiani e il riformismo: unconfronto con le socialdemocrazie europee, Einaudi 1986, la cui chiave interpretativa è quella della scuola di
Modena.
- e-book "Oltre l'austerità", a cura di S. Cesaratto e di
M.Pivetti download gratuito da: http://temi.repubblica.it/micromega-online/oltre-lausterita-un-ebook-gratuito-per-capire-la-crisi/
- Per i documenti elaborati dai vari gruppi economia M5S e dintorni:
http://economiaepotere.forumfree.it/?t=66556927
[1] Professore ordinario di Politica fiscale e
monetaria dell’Unione Monetaria Europea, Università di Siena, e-mail: Cesaratto@unisi.it.
I suoi interventi sulla stampa sono sul suo blog è http://politicaeconomiablog.blogspot.it/.
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