Gli spread al tempo di ABC
Sergio Cesaratto e Lanfranco Turci
Gli spread sovrani spagnoli e italiano sono ritornati, come molti si attendevano, ai livelli elevati dello scorso autunno, sebbene non fossero mai scesi a livelli veramente sostenibili. Infondate erano, infatti, risultate a molti le dichiarazioni di Monti (e di Draghi) che il peggio della crisi era ormai passato, così come inattendibile è la dichiarazione che, con le attuali politiche europee, non ci saranno nuove manovre. A dicembre Monti ci aveva illuso che, al prezzo dell’ennesima inutile e iniqua manovra, egli avrebbe ottenuto dalla Germania l’adozione di misure volte a fronteggiare seriamente la crisi. Il piglio vagamente duro con quel Paese è durato però lo spazio di pochi giorni. Draghi riuscì comunque a far passare l’operazione Ltro con cui la Bce mise un trilione di euro a disposizione delle banche al tasso dell’1%, con la speranza che parte fosse poi impiegata a sostenere le aste di titoli pubblici. Questo è in certa misura accaduto e a ciò dobbiamo la diminuzione degli spread delle settimane scorse.
Il problema è che le banche dei Paesi periferici si sono così imbottite di titoli pubblici, mentre le cause che hanno determinato la crisi di fiducia verso quei titoli non si sono certo attenuate, anzi. Evidentemente il Ltro è stato un surrogato di una garanzia sui debiti sovrani che, se emessa dalla Bce avrebbe calmato le acque probabilmente senza dover sborsare un quattrino. Le preoccupazioni della Germania erano per il possibile "moral hazard" da parte dei governi periferici. Un intervento
della Bce nella direzione di una drastica riduzione dei tassi di interesse avrebbe in verità consentito una stabilizzazione dei rapporti debito pubblico/Pil, su cui esercitare un eventuale rigido controllo, e politiche di bilancio meno restrittive nei paesi periferici.
Purtroppo le cose non stanno andando così e a diagnosi sbagliate seguono ricette peggiori, come dimostra la modifica in corso dell’articolo 81 della Costituzione sull’obbligo del pareggio di bilancio. Modifica approvata per di più con una maggioranza bulgara che impedisce anche un futuro referendum abrogativo e rappresenta un triste segnale di soggezione a una deriva culturale oltre che economica che va invece fermata. Com’è ormai assodato, la crisi della periferia europea è una classica crisi di bilancia dei pagamenti, frutto di una mal disegnata unione monetaria fra Paesi disomogenei e del mercantilismo tedesco, di cui la crisi dei bilanci pubblici è un mero riflesso. Raddrizzare questa situazione implica una potente spinta da parte dei Paesi con avanzi esteri che dovrebbero accettare una dinamica salariale e di bilancio pubblico improntate al sostegno della domanda aggregata nell’ambito di una politica monetaria accomodante. Non solo la Merkel, ma anche una parte significativa della Spd sono lontani da questa consapevolezza, ripetendo il mantra dell’austerity e delle misure di flessibilizzazione quali quelle che la Germania adottò anni fa. Si dimentica che queste politiche avrebbero gettato quel Paese nella recessione se non fosse stato per le esportazioni verso i Paesi della periferia europea sostenuti dai flussi di capitale tedeschi e dalla rigidità del tasso di cambio, un modello che ha poi condotto l’Europa alla crisi.
Che fare dunque? Crediamo che la formazione economica di Monti, rigidamente neo-classica/liberista, gli impedisca di comprendere a fondo natura e gravità della situazione. Si muova dunque la politica! Il 20 e 21 aprile ci sarà la riunione del G20, in concomitanza con il meeting di annuale del Fmi. Stati Uniti e Paesi emergenti sono certamente interessati a un capovolgimento delle politiche europee pericolose per tutti. L’Italia vada con delle proposte e faccia fronte comune con questi Paesi, isolando chi sostiene l’austerity a oltranza. Crediamo che Bersani dovrebbe proporre ad Alfano e Casini di definire nel prossimo vertice di mercoledì 18 aprile con Monti una posizione coraggiosa del nostro Paese. Anche tra gli amici di Alfano circola una certa insofferenza per l’asse Merkozy e soprattutto non alberga il dogma religioso del debito pubblico come peccato da cui redimersi, sentimento che purtroppo dimora nelle nostre fila. Vediamo se la politica ha la forza di un colpo di
reni di fronte a una situazione sociale che potrebbe travolgerla definitivamente, insieme alla residua democrazia in cui ancora viviamo.
(l'Unità, 16 aprile 2012)
Questo spread sembra oramai essere un tormentone.
RispondiEliminaComplimenti per il blog.