Sergio
Cesaratto*
Con l’inferno
scatenato nei mercati e un assordante assenza di leadership europea, il destino anche per Italia e Spagna è segnato:
un destino di inutili sacrifici prima, di uscita disordinata poi. Bene dunque
ha fatto ieri su queste colonne Pitagora
a invocare una uscita ordinata del nostro paese. Questa non solo è possibile,
ma realistica. Circa la fattibilità rimandiamo a Sergio Levrero nel e-book
“Oltre l’austerità”. Il realismo dipende dal fatto che un intervento
della BCE oggi unanimemente invocato sarebbe limitato dai tedeschi a riportare
gli spread appena sotto i 500 punti, senza intaccare le cause né prossime né
remote della crisi.
Limitandosi a
procrastinare l’agonia, la BCE farebbe semplicemente marcire la situazione. Se
dichiarasse ora la sua garanzia illimitata sui debiti sovrani e l’obiettivo di
ridurre gli spread ai livelli pre-crisi, i mercati ci crederebbero. In una
situazione marcita assai meno. Poco male, qualche massiccio intervento di
acquisto li convincerebbe, ma questo sarebbe ancor più difficile da digerire
per i tedeschi i quali, comunque, non vogliono adottare le politiche espansive
necessarie a riequilibrare l’Europa.
Le scelte della
BCE degli ultimi giorni remano, peraltro,
nella direzione opposta a quella auspicata. Non solo la BCE ha cominciato a
rifiutare come collaterale per i prestiti alle banche elleniche titoli di stato
o garantiti dallo stato greco, come riferito da Pitagora, ma ciò ha riguardato
tutti i paesi (devo ad A.G. questa informazione suffragata da blog
specialistici qui, qui e qui). Qual è il giochetto che la BCE ha interrotto (e che forse ha
scatenato la crisi terminale)? I capitali da mesi scappano dai debiti pubblici
e dalle banche di Spagna e Italia. Le banche possono ricorrere a
ri-finanziamenti dalla propria banca centrale, ma devono versare titoli a
garanzia (collaterale). Le banche non avevano più collaterali di qualità come
“pezze d’appoggio”, quindi stavano per saltare, una ulteriore pressione sugli
stati che le devono soccorrere. La BCE consentiva però loro di emettere
obbligazioni garantite dagli stati, titoli accettati come collaterale per
ottenere liquidità; con la liquidità ottenuta le banche compravano titoli
pubblici, a loro volta offerti alla BCE per ottenere ulteriore liquidità e così
via. Banche e stati riuscivano così a rifinanziarsi, mentre le banche lucravano
la differenza fra il basso costo di rifinanziamento presso la BCE e gli alti
tassi che gli stati pagano. Quindi un pessimo surrogato dell’intervento diretto
della BCE nel sostegno agli stati perché alla lunga il giochetto rende gli
stati insolventi. L’Eurosistema (BCE più banche centrali nazionali) è finito
comunque per vantare enormi crediti verso la periferia, ed equivalenti debiti
verso coloro che hanno portato capitali in Germania. Se l’euro salta quei
debiti si ritroverebbero sul groppone della Bundesbank. Ma se si blocca il
giochetto l’euro salta (damned if you do
damned if you don't). Ecco che si spiega perché Moody’s ha assegnato ieri un outlook
negativo alla Germania e i CDS sui Bund (una sorta di assicurazione) stanno
salendo.
Ma se l’Italia
uscisse sarebbe impossibilitata a rifinanziare il proprio debito pubblico e lo
stato fallirebbe, come sosteneva Federico Fubini lunedì sera su Rai News? Nessuno stato sovrano che emetta la
propria moneta può fallire, dunque questo verrebbe anche a garanzia dei crediti
tedeschi, che certo varrebbero di meno se ripagati nella nuova-lira, ma solo,
diciamo, di un 20% in meno. Questa disinformazione, condita dei più crassi
luoghi comuni come nel caso del comizio di Fubini da Mineo (che riesce per lo
più a invitare “esperti” di questo tipo), ci rammenta l’importanza che i
cittadini vengano informati sulla verità della situazione, come sottolineato
nell’opportuno appello di ieri su questo giornale. Infine, ça va sans dire, che fuori dall’euro l’Italia dovrebbe finalmente
diventare un paese maturo, in ogni sua componente. Di questo si dovrà anche
parlare.
* Economisti
oltre l’austerity
(il manifesto 25 luglio 2012)
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