Contro-proposte alla manovra: dov’è l’Europa?
Sergio Cesaratto* e Lanfranco Turci**
La posizione del PD sulla manovra ha oscillato fra la Scilla del segretario - per cui se ne condivide la necessità, sebbene non i contenuti - alla Cariddi dell’ala liberista secondo la quale i diktat europei sono sostanzialmente condivisibili in metodo e contenuto non potendosi ora andar troppo per il sottile. Noi crediamo che ci si debba opporre su entrambe i fronti. Non si deve scambiare il dito per la luna, ritenere i sacrifici della manovra risolutivi quando si è di fronte a una crisi che di nuovo sta disvelando la sua natura epocale e che l’ondata di austerity dagli Usa all’Europa sta aggravando giorno dopo giorno. In sintesi noi riteniamo che senza un mutamento profondo del quadro della politica economica europea la crisi italiana e continentale non possa aver fine. Nel quadro di quel mutamento, il nostro paese - lungi da noi ritenere che non debba assumersi le proprie responsabilità - deve impostare una propria politica economica volta al sostegno qualitativo e quantitativo dello sviluppo ristrutturando la spesa pubblica dagli sprechi alla crescita. Questo richiede una opposizione con la schiena diritta che denunzi l’impostazione stessa della manovra, non solo la sua iniquità, e che si batta per un cambiamento europeo, in accordo con gli altri partiti socialisti.
Tranne che in Italia, dove l’Europa è trattata con sconcertante e provinciale deferenza, tutti i migliori commentatori internazionali denunciano l’inadeguatezza della politica europea anti-crisi. L’incontro Merkel-Sarkozy è stato unanimemente giudicato come assai deludente. Tale denuncia è pressoché assente nelle posizioni della sinistra tranne, ci sembra, nelle dichiarazioni rilasciate domenica da Vendola a L’Unità. Quella politica è sinora consistita nel (a) creare dei fondi europei di sostegno ai paesi indebitati, (b) imponendo loro tagli di bilancio. Ma quei fondi sono finanziati anche dai medesimi paesi indebitati, il che li rende poco credibili, mentre i tagli mortificano crescita ed entrate fiscali e minano la stabilità sociale. Da ultimo, invocata dagli osservatori più avvertiti, la BCE è intervenuta, ma poco e in ritardo, appena stabilizzando gli spread dei BPT rispetto ai bund poco sotto 300 insostenibili punti. E già essa ha dichiarato, irresponsabilmente, che appena l’European Facility Stability Fund entrerà in azione essa si ritirerà. Vi sono in questo quadro sconfortante delle gravi responsabilità della Germania il cui modello neo-mercantilista è fonte di squilibri europei e globali. La BCE dovrebbe invece svolgere in pieno i suoi compiti di banca sovrana, di prestatore di ultima istanza di banche e governi con tassi vicini allo zero, come fa la Fed americana. Al contempo andrebbe rilanciata la domanda aggregata nei paesi forti e attraverso l’emissione di eurobond. Un po’ di inflazione in quei paesi costituirebbe il loro contributo al riequilibrio europeo. Questo nuovo quadro faciliterebbe i paesi deboli a fare i loro compiti. Dissentiamo dunque profondamente da Paolo Guerrieri che su L’Unità di domenica scrive che della manovra “abbiamo assolutamente bisogno” e la BCE ci sta facendo un favore “andando oltre il suo mandato”. Il quadro che si delinea è di una manovra iniqua che colpirà la nostra crescita senza avere alcunché in cambio dall’Europa.
Pensare di ridare competitività al nostro paese in un quadro di recessione interna e di deflazione competitiva a livello europeo, in cui invece di rilanciare congiuntamente le economie i paesi cercano di farsi le scarpe l’un l’altro, è insensato. Dobbiamo adottare invece un rigore intelligente senza tagli ingiustificati in termini sociali e di efficienza (a proposito: cosa c’entra lo Statuto dei lavoratori?). Un programma alternativo deve vedere la legalità al primo posto, a cominciare dai politici, funzionari pubblici e dalla lotta al crimine organizzato sotto ogni veste. Poi la lotta all’evasione. Ricordiamoci che questa e non un eccesso di spesa sociale è stata – assieme a scelte avventate prese molti anni fa quali l’adesione allo Sistema Monetario Europeo e il famoso “divorzio” fra Tesoro e Banca d’Italia – la causa dell’elevato debito pubblico. Assieme ai ricavi della lotta all’evasione e della redistribuzione del carico fiscale sui ceti e consumi opulenti, la razionalizzazione della spesa pubblica (inclusi tagli alle spese parassitarie e clientelari, ai costi della politica, uso intelligente dei costi standard) metterà risorse a disposizione degli obiettivi del rilancio della scuola, università statali e ricerca. No inoltre alla privatizzazione delle imprese di pubblica utilità, un regalo all’imprenditoria privata. Esse vanno tuttavia razionalizzate e moralizzate, e va rilanciato l’intervento pubblico volto alla re-industrializzazione del paese. Non ultimi tutela dell’ambiente e turismo. E il debito pubblico? Tassi di interesse molto bassi da parte della BCE e una ripresa della crescita se ne prenderebbero cura. Infine, opposizione a iscrivere in Costituzione regole che Prodi definì stupide - giudizio confermato da una lettera a Obama di eminenti economisti americani, ma che Merkel-Sarkozy hanno riaffermato.
Su alcune delle sette contro-proposte alla manovra avanzate dal PD ci ritroviamo. Riteniamo tuttavia che gran parte delle risorse sottratte a evasione e sprechi vadano destinate alla crescita, la quale va sostenuta da una politica espansiva, fiscale, monetaria e di sostegno ai salari, a livello europeo. Se non ora, quando?
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