giovedì 30 maggio 2019

Reazioni all'intervista

POST DA FB

Visto il putiferio che ha scatenato la mia intervista letta come una retromarcia (tranquilli, nessuna retromarcia pro-europeista), provo a chiarificare il mio pensiero (riprendo da una mail di risposta ad alcuni amici, xxx è un economista a voi ben noto): 1) quello che dico è che la polemica da anni contro i "parametri di Maastricht" (3% e 60%) è sbagliata in quanto questi in un'unione monetaria completa han perfettamente senso, il punto è dunque quello di battersi per un bilancio federale ciò che, assieme a una banca centrale cooperativa, comincerebbe a far avvicinare l'Europa a un'unione monetaria feasible. Questo significa che sono diventato federalista e che ritengo questo possibile, o addirittura macroniano? No. Però se decidi di fare politica in Europa ti devi dare obiettivi corretti e agire negli interstizi possibili, inclusa la attuale spaccatura franco-tedesca. Abbaiare contro obiettivi sbagliati in un profondo isolamento mi sembra velletario e ci può condurre alla Troika. Non è un caso che Savona se ne sia andato dal governo (read my lips: andato). Era l'unico ad aver avanzato delle proposte articolate.

2) Può invece darsi che il governo via il rifiuto delle sanzioni a cui potremmo andare dritti (e via il salasso degli spread che con questi chiari di luna potrebbero crescere a livelli insostenibili) ritenga di portarci all'uscita. Può darsi che xxx abbia informazioni su questo. Come il governo potrebbe averle su come ripristinare il sistema dei pagamenti, un tema che come sapete mi sta piuttosto a cuore. Dalle informazione che ho esso sarebbe azzerato per mesi e con esso le attività economiche... Varoufakis pensò di basarsi sulla rete corrispondente alla nostra Agenzia delle entrate ritenendo che avere questa carta fosse l'asso vincete, sia per rimanere avendo ottenuto qualcosa o per lasciare. E non mi si replichi... eh ma Varoufakis... anche Varoufakis può aver espresso cose giuste, tanto più da una posizione in cui si hanno le informazioni.

3) Se si intraprendesse comunque questa strada non avremmo scelta che appoggiarla. Vorrei che ci si arrivasse in maniera diversa e meno sgangherata, e con obiettivi diversi che non la flat tax e un clima da oscurantismo alla Opus Dei (baci ai rosari e quant'altro).

4) circa il "Paese del bengodi", questa è la critica standard che faccio agli MMT che pensano che basti una moneta sovrana per aver risolto tutti i problemi del mondo. Nella fattispecie il riferimento è all'idea che la BCE possa sostenere il deficit sending ab libitum degli stati membri di un'unione monetaria scatenando la concorrenza a chi fa più deficit. Manco gli MMT più fanatici arrivano a tanto. E per questo poltiche espansive vanno condotte da autorità federali (Tesoro e banca centrale).

5) concluso dicendo che da sinistra si deve dire a) che le battaglie vanno fatte su temi giusti e non velleitari (chi parla male pensa male); b) si cerchi fin che è possibile di far politica, isolarsi non è far politica; far politica è sfruttare ogni interstizio; è oggi questo si apre sul tema del bilancio federale; alle rotture si deve arrivare su battaglie poltiche; c) si deve dire apertamente che certi obiettivi sono non condivisibili, come la flat tax.

Il mio dissenso col governo (ovvero con Salvini) non è sul giudizio sull'Europa, ma sul metodo e gli obiettivi della battaglia.

mercoledì 29 maggio 2019

Intervista post-elettorale

Intervista a il sussidiario.net

LETTERA UE ALL’ITALIA/ Le mosse da non sbagliare con l’Europa

- int. Sergio Cesaratto

eurogruppo_tria_moscovici_lapresse_2018In arrivo lettera della Commissione sul debito pubblico. L’Italia dovrebbe rispondere con una proposta ragionevole: stabilizzazione del debito/Pil in cambio di tassi bassi

 Foto: Giovanni Tria (LaPresse)
Lo spread sopra area 280 e il commissario europeo agli Affari economici, Pierre Moscovici, che annuncia: “Avrò uno scambio di vedute con il Governo italiano su misure aggiuntive che potrebbero essere richieste per essere in linea con le regole”. Il giorno prima, in conferenza stampa Matteo Salvini, forte del suo 34% di voti, aveva commentato così il risultato di domenica: “È in arrivo una lettera della Commissione europea sull’economia del nostro Paese e penso che gli italiani diano un mandato forte a me e al Governo di ridiscutere in maniera pacata parametri vecchi e superati”. Con un’idea ben precisa in testa: “Proviamo a salvare questa Europa, riportandola alle sue radici e al suo sogno originario. Sono convinto che il nuovo Parlamento europeo e la Commissione europea saranno amici dell’Italia. È cambiata la geografia in Europa”. Sarà davvero così? Come cambieranno i rapporti tra Italia e Unione europea? E soprattutto, su politiche espansive, lotta all’austerity e conti pubblici quali sponde troverà la Lega nel nuovo Parlamento europeo? Lo abbiamo chiesto a Sergio Cesaratto, professore di Economia politica all’Università di Siena, che si aspetta, per l’Italia, “una fase molto dura”.
Salvini ha stravinto con il 34%. Come verrà preso questo risultato a Bruxelles?
Penso che verrà preso con estrema preoccupazione sull’Italia, visti i programmi, costosi, di sfondamento dei parametri europei propugnati da Salvini. Non sappiamo ancora come sarà la nuova Commissione, su quali equilibri si reggerà, se andiamo – ma non credo – verso un’Europa un po’ più aperta sulla politica economica o un’Europa che in fondo non cambierà. E’ vero, potrebbero entrare i Verdi, ma non sono una forza così progressista e sarebbero comunque in una posizione di debolezza e la loro presenza sarebbe controbilanciata anche dai Liberali. Magari però contano di più in Germania. E con la crisi del modello basato sull’industria automobilistica potrebbero battersi per un modello basato su piani europei di riconversione ecologica e quant’altro.  Per ora sono però solo vaghi auspici.
Salvini ha detto che utilizzerà il “mandato forte” degli elettori italiani per “cambiare l’Europa, per ridiscutere in maniera pacata parametri vecchi e superati”. Come interpreta questa dichiarazione?
I parametri di Maastricht hanno perfettamente senso. Semmai il vero problema dell’Europa, se davvero si vuole una Ue più funzionale, è avere un bilancio federale. Negli Usa gli Stati membri sono vincolati al pareggio di bilancio, cioè né più né meno hanno i loro parametri di Maastricht. La differenza con l’Europa è che negli Stati Uniti c’è un bilancio federale molto grosso e importante con una Fed che collabora con il Tesoro, con la politica fiscale, tenendo bassi i tassi d’interesse qualora si renda necessario. In Europa la Bce dovrebbe funzionare affiancata da un bilancio federale. Politiche fiscali espansive vanno sì bene, ma vanno appoggiate da una banca centrale che tenga bassi i tassi, altrimenti, se anche togliessimo i parametri di Maastricht, i mercati ci farebbero neri, già ci stanno facendo neri. La Bce non può sostenere i disavanzi di un singolo Stato, perché questo indurrebbe tutti gli altri a fare a gara nello spendere in disavanzo.  Io sono keynesiano, ma non si può pensare che esista il Paese di Bengodi. Insomma, dire che tutto il problema è cambiare Maastricht, a parte il fatto che nessuno lo lascerebbe fare a Salvini, è purtroppo una grande fesseria, che gira da anni.
Quindi che cosa sarebbe meglio fare per cambiare l’Europa?
Bisogna avere un bilancio federale, che lentamente aumenti di dimensione e che sia assecondato dalla Bce con tassi molto bassi, dando così la possibilità di poter spendere in disavanzo senza pesare sulle imposte dei vari Paesi e di sostenere piani di investimento, in particolare negli Stati più in difficoltà.
Ma oggi chi sta pensando a un passaggio come questo?
Macron, a suo modo, un po’ queste cose le dice e i tedeschi gli rispondono di no. L’Italia dovrebbe affiancarsi a Macron, magari coinvolgendo anche i socialisti spagnoli, inducendolo ad avanzare proposte un po’ più serie e concrete, anziché chiedere alla Germania le briciole: chiediamo un bilancio federale europeo per poter spendere in disavanzo, come adesso non avviene, e che aumenti progressivamente. Questa è la via da seguire.
Dopo il voto di domenica gli equilibri all’interno del Parlamento europeo cambieranno, l’asse popolari-socialisti ha bisogno di supporti per trovare una maggioranza. Questo cambiamento potrebbe spingere l’Europa ad essere meno accondiscendente con le politiche di austerity finora adottate?
Temo di no. Può darsi che l’establishment europeo sia oggi un po’ spaventato, ma è anche possibile che non cambi niente, che ciò produca un’altra forma di irrigidimento.
Quali alleati potrà trovare allora Salvini?
La destra sovranista non è una forza omogenea, essendo spesso espressione di un nazionalismo un po’ becero, non certo keynesiano. Ci vuole cooperazione europea e questo la destra è incapace culturalmente di esprimerla. Non vedo sponde e penso che alla fine riusciranno a nominare una Commissione Ue di europeisti.
Intanto Salvini propone per l’Italia uno shock fiscale, a base di flat tax. Con i nostri conti pubblici è un obiettivo perseguibile e ci consentiranno di perseguirlo?
Non è che si possono ridurre le tasse e avere un disavanzo fiscale con un debito pubblico che è al 133% e continua a crescere e con tassi d’interesse che schizzano verso l’alto. Non mi sembra che in queste condizioni si possa realizzare una flat tax. Anche perché bisognerebbe tagliare la spesa, ma quale? La sanità l’abbiamo massacrata, l’istruzione pure, l’università anche, non vedo cosa altro possiamo massacrare. Siamo un po’ all’avventurismo.
Venerdì dovrebbe arrivare una lettera della Commissione Ue che contiene rilievi sull’andamento del nostro debito pubblico. Secondo Bloomberg, si paventa addirittura un’apertura della procedura d’infrazione e una possibile multa da 3,5 miliardi. A quel punto che cosa potrebbe succedere? Che risposta dovrebbe dare l’Italia?
Una risposta ragionevole con proposte ragionevoli e non sgangherate, come sbattere i pugni sul tavolo o minacciare di ribaltare i trattati.
Ragionevole in che senso?
L’Italia in questi anni è sempre stata l’allievo più diligente verso i trattati europei, sono anni che subiamo l’austerità, e questo lo abbiamo pagato duramente in termini di mancata crescita e di stagnazione della produttività. L’Italia ha le carte in regola molto più della Francia o della Spagna. Con qualche forma istituzionale, che non è facile da trovare, l’Europa dovrebbe aiutarci ad abbassare drasticamente i tassi d’interesse sui nostri titoli pubblici e l’Italia impegnarsi, firmando un memorandum, a una stabilizzazione, non riduzione, del rapporto debito/Pil. Questo sarebbe compatibile con politiche di deficit spending. Nulla di miracoloso, ma quel tanto che può bastare per uscire dall’austerità.
In attesa che il Parlamento europeo trovi i suoi equilibri e si giochino le partite per la nomina dei nuovi organismi, a cominciare dalla Commissione, i prossimi mesi saranno contrassegnati da questa fase di passaggio. Come dovrebbe muoversi l’Italia?
Il primo passo sarebbe cercare di non isolarsi. Il pericolo è che oggi Salvini si ritrovi così solo che alla fine potremmo rischiare di raccogliere le briciole a livello di commissari e di poltrone che contano, perché a Bruxelles questa è una partita molto importante. Così come lo sarà quella alla Bce per il dopo Draghi. L’Italia, come Germania e Francia, dovrebbe avere un membro fisso nel Comitato direttivo della Banca centrale europea. Non è scritto nei trattati, ma è frutto di un’azione politica, diplomatica, smorzando i toni sopra le righe.
A tenere i rapporti con la Ue sono, per il ruolo che rivestono, Conte e Tria, due mediatori per natura. Potrebbero, in questo campo, sorgere nuovi attriti con Salvini, che – lo dicevamo all’inizio – si sente investito di un mandato forte?
E’ possibile, però i conti alla fine devono tornare e dobbiamo sapere che i mercati ci attaccano per un nonnulla, non abbiamo palizzate che ci difendano. E’ un peccato, perché dalla Lega mi aspettavo qualcosa di meglio, con proposte più keynesiane, come quelle di Savona. Ma Savona se ne è andato. E Salvini può certamente dire quel che vuole, ma – come abbiamo visto – ci costa sempre qualcosa in termini di spread. Bisogna anche saper misurare quello che si vuole fare e si fa.
(Marco Biscella)

lunedì 13 maggio 2019

Un giudizio globale

Pubblichiamo intervista apparsa su Osservatorio globalizzazione



Professor Sergio Cesaratto, ordinario nel Dipartimento di Economia Politica e statistica dell’Università degli Studi di Siena, da sempre economista eterodosso e ormai punto di riferimento della divulgazione dell’economia classica in Italia. Ha recentemente pubblicato due importanti libri che hanno avuto molto successo: Chi non rispetta le regole? del 2018 e Sei lezioni di Economia del 2016, dimostrandosi ancora una volta come importante voce critica della sinistra e dei processi di involuzione che la stanno attraversando.

OG: Ormai a quasi trent’anni dall’inizio del processo di globalizzazione in senso neoliberale, possiamo provare a tracciarne un bilancio, lei cosa ne pensa?

SC: Per molti versi il processo di globalizzazione era ineludibile con l’entrata nel capitalismo e nel mercato mondiale di molti Paesi che erano un tempo chiamati del Terzo Mondo. L’espansione dell’esercito industriale di riserva anche attraverso la delocalizzazione delle produzioni in quei Paesi, ha tuttavia comportato l’indebolimento del movimento operaio e delle conquiste nei Paesi di più antica industrializzazione. Quindi il bilancio per noi è negativo sul piano dei diritti sociali.  Simmetricamente all’esplosione della globalizzazione vi è stato il crollo del modello socialista. Questo, forse più della globalizzazione, ha fatto crollare l’idea stessa di una alternativa al capitalismo - in un certo senso la traiettoria cinese del capitalismo guidato dallo Stato, esperienza peraltro non nuova, può essere vista anche in questa luce. La crisi verticale della sinistra è tutta qui. Senza un modello socio-economico alternativo, rimangono solo le utopie, le belle parole, i diritti civili, mentre le masse popolari guardano altrove, purtroppo a destra. E questo è naturalmente paradossale, perché a destra non c’è nessuna vera alternativa, anzi.

mercoledì 8 maggio 2019

La verità viene lentamente a galla: articolo su Il Fatto

Pubblichiamo mio articolo uscito su Il Fatto quotidiano, 8 maggio 2019 col titolo:

La cura che creò il malato. L’origine della crisi italiana

di Sergio Cesaratto


Altro che “mancate riforme”. Dal 1995 la disciplina fiscale e le politiche del lavoro hanno fatto crollare investimenti e produttività 


La verità viene lentamente a galla. La narrazione che viene dai paesi d’oltralpe è di un’Italia fiscalmente dissoluta. Tale immagine viene purtroppo condivisa anche da parte dell’establishment nostrano, particolarmente nell’area del centro-sinistra, che vede nel debito pubblico il nemico numero uno. Un post e un articolo di un noto economista olandese, Servaas Storm, appena pubblicati, ci raccontano un’altra storia (“Come rovinare un Paese in tre decadi” e “Perduto nella deflazione", scaricabili dall’Institute for New Economic Thinking).