domenica 7 agosto 2011

Le condizioni della Bce

Il blog pubblica un aggiornamento sulle vicende europee e un articolo pubblicato da Terra quotidiano

La Bce è finalmente intervenuta nel fine settimana, ma marginalmente sui titoli portoghesi e irlandesi con effetti nulli su quelli italiani il cui scarto con quelli tedeschi è volato oltre i 400 punti - cioè se la Repubblica italiana emettesse titoli ora pagherebbe il tasso che pagherebbe lo stato tedesco più 4%, una enormità che farebbe alla lunga fallire chiunque. Trichet e Draghi hanno posto come condizione al sostegno dei titoli italiani l'anticipazione della manovra, una manovra ricordiamo che colpisce il ceto medio-basso e non gli evasori. C'è un grave deficit di democrazia in un'Europa in cui i tecnocrati indicano ai governi cosa devono o non devono fare - o i Presidenti della Repubblica concordano le direttive di governo coi governatori delle banche centrali, ricordate: Napolitano ha visto Draghi due volte nei giorni scorsi.


Ma, a parte questo, interverrà la Bce in maniera da ridurre lo scarto dei tassi italiani in maniera significativa, per dire, da 400 a 50 punti? Certamente no. Eppure lo potrebbe fare: basta dare un segnale che la Bce garantisce il debito italiano come la Fed fa col debito americano. Ma invece ci terranno sulla graticola giustificandosi che, sennò, non "risaneremmo mai i conti". Ma i conti, lo dicono tutti, si risanano con la crescita non coi tagli. E la crescita può solo provenire da una spinta alla domanda aggregata - la domanda di beni e servizi - a livello europeo. Non bastano azioni "dal lato dell'offerta" come gli esperti del PD sembrano credere. Per spingere la domanda europea serve, appunto, una politica monetaria "accomodante" da parte della Bce e il rilancio della domanda interna tedesca. Ma una mentalità da Tea party permea i governanti europei.

Quindi la Bce si limiterà a impedire che la situazione esploda senza che si vada a vere soluzioni. E' importante che, comunque lo cominci a fare. E dovrà continuare a farlo perché i meccanismi di salvataggio messi a punto dall'Europa, lo European Facility Stability Fund (EFSF), sono strumenti lenti e inefficienti. Come scriveva il WSJ, è come se quando la casa brucia si deve convocare una riunione di condominio per autorizzare l'intervento dei pompieri. Soprattutto, i pompieri si devono rifornire anche dai rubinetti degli appartamenti in fiamme, aggiungiamo noi: infatti i quattrini ai fondi europei li mettono anche i paesi indebitati. Aiutati che dio t'aiuta, ma c'è un limite al buon senso, come non solo noi diciamo. Eppure autorevoli economisti dicono che si dovrebbe estendere la dotazione del EFSF a 2,5 trilioni di euro. Possiamo anche dotarlo di 1000 trilioni, ma se i soldi li devono mettere Italia, Spagna ecc. è un circolo vizioso! Questi sono compiti da banche centrali. Non in eterno, naturalmente. Poi i governi si attrezzino alla crescita.

Dal PD arrivano reazioni, al solito, confuse e inadeguate. Dice Bersani (TG3 del 6 agosto): siamo contro questa manovra, ma se si fa un governo di unità nazionale siamo disponibili a calare le nostre bandiere. E’ una storia che abbiamo già vissuto a fine anni ’70, caro segretario! Dichiaratevi contro questa manovra, colpiamo evasori e parassiti con una imposta straordinaria, ristabiliamo la legalità a ogni livello, opponetevi alla svendita delle aziende pubbliche a imprenditori incapaci che anelano a impossessarsi di monopoli pubblici, battetevi per una Europa diversa.

Qui sotto c’è un mio articolo pubblicato ieri su Terra quotidiano, una versione ripulita e aggiornata del post di giovedì. Il post con l’articolo di De Grauwe è tradotto su http://www.melograno/rosso.eu.

Governo screditato, opposizione inadeguata
Sergio Cesaratto*

Il dibattito parlamentare che ha seguito le dichiarazioni di Berlusconi colpiva per l'assenza di riferimenti a dimensione e responsabilità europee nella crisi italiana. Ci riferiamo soprattutto all'opposizione - il premier non ha detto nulla. Concentrarsi sulle responsabilità del governo, screditato e imbelle come non mai, può apparire giustificato per non dargli alibi. Esimersi tuttavia dal riconoscere che cause e soluzioni possibili della crisi non vanno solo ricercate in sede nazionale non fa fare un passo in avanti. In particolare, la Banca Centrale Europea (BCE) ha un ruolo decisivo nel spegnere l'incendio, dando poi modo per ricostruire. Giovedì è sì intervenuta, ma solo sui titoli portoghesi e irlandesi, accrescendo la convinzione dei mercati dell’incapacità europea a fronteggiare la situazione. Venerdì lo scarto nei tassi fra BTP italiani e Bund tedeschi ha così oltrepassato la soglia storica dei 400 punti (4%).

Gli accordi europei di luglio erano in effetti andati in senso opposto a un intervento deciso della BCE, esentandola dai compiti che sono propri delle banche centrali e per i quali sono nate: quelli di prestatore di ultima istanza di governi e banche. Nessuno stato sovrano può fallire se la banca centrale assolve a tale ruolo, e non è neppure costretto a pagare tassi di interesse elevatissimi per coprire gli acquirenti dal rischio fallimento, che appunto scompare. Il Wall Street Journal del 4 agosto scriveva significativamente che "la BCE ha trascorso l'anno passato cercando di persuadere i governi ad assumere il ruolo di prestatori di ultima istanza, e ha ottenuto una parziale vittoria due settimane fa". Gli europei - in particolare Germania e satelliti. - vivono un mondo artefatto, fra ignoranza e miope difesa di interessi nazionali, in cui non si capisce che "prestatore di ultima istanza" sono le banche centrali e non i governi. E, invece, l’accordo europeo assegna tale ruolo all’European Facility Stability Fund, un fondo sostenuto dai governi. Il che significa che l'Italia si deve indebitare a tassi altissimi per aiutare la Grecia avvicinandosi a sua volta al fallimento; la Francia dovrà aiutare l'Italia, avviandosi a sua volta al fallimento e così via.

L'obiezione che viene fatta all'intervento della BCE, sostenuto ora da molti autorevoli economisti come De Grauwe sul Financial Times del 4 agosto, è che facilitare la vita ai paesi fiscalmente in disordine li esenterebbe da rimettere in ordine i propri conti.

Qui dobbiamo essere chiari. L'elevato debito pubblico italiano nulla ha a che vedere con una spesa pubblica eccessiva, anzi la spesa sociale italiana è notoriamente sottodimensionata. Esso è frutto piuttosto di scelte scellerate fatte nel lontano passato, fra il 1979 e il 1981: l’adesione al sistema monetario europeo (SME), a cui il PCI si oppose, e il cosiddetto "divorzio" fra Banca d'Italia e Tesoro dello Stato - un vero "golpe" extra-parlamentare perpetrato da Andreatta e Ciampi. La necessità di mantenere la parità col marco tedesco, e il mancato sostegno della Banca d’Italia ai titoli di Stato fece schizzare verso l'alto la spesa pubblica per interessi. Tutto questo nel mentre i governi del CAF lasciavano correre l'evasione fiscale.  Gli elevati interessi ed evasione generarono il rapido accumulo del debito. I cambi fissi col marco tedesco ci fece drammaticamente perdere competitività a cui tuttavia rimediammo con la svalutazione del 1992, per ricacciarci poi in un guaio peggiore con l’Unione Monetaria Europea nel 1999, questa volta ad opera del centro-sinistra. Ora siamo come nel 1992, ma non possiamo più scappare. Il combinato disposto dell'assenza di una banca centrale sovrana italiana - o di una BCE facente funzioni - e del disavanzo strutturale dei conti con l'estero sono alla base della sfiducia dei mercati, altro che speculazione! Siamo diventati un paese indebitato con l'estero (infatti attorno al 40% del debito pubblico è posseduto da stranieri), un paese che dipende in sostanza da un flusso di risorse esterne per mantenere il proprio livello di reddito - risorse esterne la cui necessità aumenterebbe se il paese cercasse di stimolare la propria domanda interna per crescere di più.

Certo che l’Italia deve cambiare. In primo luogo cacciare un governo indegno sotto ogni punto di vista; riformare (non ridurre) la spesa pubblica; rendere più efficiente lo stato; colpire gli evasori con misure straordinarie poiché sono essi a detenere la gran parte dei titoli pubblici, acquistati con i proventi dell’evasione; ripristinare la legalità a ogni livello. Pensare invece di correggere la situazione a colpi di ulteriori tagli sarebbe folle. In via teorica un forte dimagrimento del nostro reddito nazionale porterebbe a "raddrizzare" conti con l'estero e pubblici. Ma il crollo del prodotto nazionale sarebbe così forte che ne seguirebbe una disoccupazione così devastante - ed è già intollerabilmente elevata – tale da generare una inesorabile disgregazione sociale (una delinquenza diffusa per esempio) oltre a degrado di scuola, ricerca, università, sanità, servizi ecc. Queste non sono fantasie, tutto ciò è già in atto, e Berlusconi ne è più conseguenza che causa. Il centro-sinistra ha le proprie responsabilità storiche nell’averci condotto a questo punto.

Intervento serio della BCE per spegnere l'incendio e una diversa politica economica europea volta alla piena occupazione sono gli altri passaggi inderogabili. I governi europei ritennero vent'anni fa che l'UME sarebbe stata la premessa dell'unione politica. Fu un calcolo folle: l'UME è un surrogato di un sistema aureo (gold standard). In quel sistema la quantità di moneta dipende, diciamo, dalla quantità d'oro prodotta dalle miniere sudafricane. E’ dunque una semplice abdicazione collettiva alla sovranità monetaria e alla possibilità di aggiustamenti della competitività relativa dei paesi via tassi di cambio. Ciò sta conducendo alla disgregazione europea, altro che a maggiore unità! Un intervento deciso della BCE a favore di Italia e Spagna sarebbe un passaggio politico epocale in quanto significherebbe che l’Europa decide di avere una vera banca sovrana. Per i tedeschi vedere l’erede della amata Bundesbank finanziare il debito italiano sarebbe sì uno shock. Ma preferirebbero una irrimediabile rottura dell’UME? Comunque anche la Germania ha i suoi compiti a casa: correggere un modello neo-mercantilista - vendere molto agli altri e comprare poco - fonte di problemi globali. Ma è solo per l’opposizione dei rappresentanti della Bundesbank che la BCE non interviene? Una interpretazione più benevola è che essa attenda segnali di forte di discontinuità da parte del governo italiano. Ma quali?

L’Italia avrebbe un potere contrattuale, se solo i nostri politici fossero meno provinciali o non avessero una venerazione a prescindere dell’Europa, Napolitano in primis, non capendo che questa Europa si sta suicidando. Bersani avrebbe potuto benissimo sostenere che solo un governo autorevole si può presentare in Europa con proposte ragionevoli non solo per l’Italia, ma per tutti. Non avrebbe concesso alcun alibi al governo, anzi avrebbe viepiù sottolineato quanto la sua sola presenza danneggi gli interessi del paese. Sciaguratamente ha invece lasciato il ruolo di sollevare la questione BCE a Berlusconi in un battibecco con Tremonti. Che Berlusconi se ne vada è il primo segnale da dare all’Europa. Il secondo è che le manovre per crescere non sono né quelle indicate da Bruxelles né il chiacchiericcio vacuo dei tavoli delle parti sociali. Bersani se ne convinca.

(intervento pubblicato su Terra quotidiano il 6 agosto 2011)




* http://politicaeconomiablog.blogspot.com

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