Rilanciamo un breve articolo di Massimo Pivetti pubblicato su
Costituzionalismo.it (FASCICOLO 3 | 2017, 16 gennaio 2018) sull'anti-statalismo della sinistra che ha purtroppo radici intellettuali profonde (anche se storicamente comprensibili). Naturalmente il ruolo insopprimibile dello Stato in una socialdemocrazia e a maggior ragione nel socialismo pone problemi molto rilevanti relativi alla sua democraticità (dal punto di vista dei lavoratori naturalmente). La sinistra è però sfuggita ai problemi al suo solito modo, con scorciatoie quali l'anti-autoritarismo anarcoide.
Sulla dottrina marxista dello Stato. Una nota nel centenario della Rivoluzione d’ottobre
di Massimo Pivetti
Sommario: 1. Due compiti della sinistra; 2. Una cultura borghese illuminata e la sua
estinzione; 3. Sulle basi culturali dell’azione politica della sinistra; 4. La tesi
dell’incompatibilità tra “Stato” e “libertà”; 5. Dottrina marxista dello Stato ed
esperienza storica; 6. Influenza negativa della dottrina.
1. Due compiti della sinistra
Fino a una quarantina di anni fa, all’interno del capitalismo industrialmente avanzato,
nella sinistra era ancora diffusa la consapevolezza che ciò che poteva indurre i capitalisti e
i loro rappresentanti a fare delle concessioni importanti sul terreno economico era solo il
timore di perdite maggiori, o addirittura il timore di perdere tutto. In generale, dunque, che
i suoi compiti avrebbero dovuto essere sostanzialmente due: riuscire a tenere sempre vivo
questo timore; sapere di volta in volta come sfruttarlo, ossia avere chiari i programmi e le
misure necessarie a migliorare, attraverso l’intervento dello Stato, le condizioni di vita e
di lavoro dei salariati e delle masse popolari – in pratica, le misure necessarie a migliorare
il funzionamento stesso del capitalismo. Veniva al riguardo tenuto presente, da un lato,
che a fronte di livelli di attività stabilmente elevati, quindi anche di una massa di profitti
stabilmente elevata, i capitalisti e i loro rappresentanti avrebbero potuto col tempo
abituarsi a considerare come normale un minor saggio di rendimento del capitale, finendo
per accettare margini di profitto più contenuti e una minore quota dei redditi da capitale e
impresa nel prodotto; dall’altro, che una parte della borghesia, la parte più istruita e
socialmente sensibile, avrebbe anch’essa ricavato senso di tranquillità e di benessere da un
contesto culturale e sociale non eccessivamente degradato e sufficientemente coeso;
quindi, che avrebbe potuto essere indotta a sostenere, piuttosto che a contrastare, misure di
riformismo socialdemocratico.