Tragico ma non serio: il surreale
documento dei 14 economisti franco-tedeschi
Sergio Cesaratto
C’è un solo tema
che sembra veramente ossessionare i vertici tedeschi ed europei: come
costringere l’Italia a ridurre il suo debito pubblico, costi quello che costi
(all’Italia). Prima abbiamo avuto il non-paper di Schauble, ora abbiamo il
paper di 14 economisti franco-tedeschi radunati allo scopo da Merkel e Macron
(AAVV 2018). Leggerlo è un viaggio nel surreale. I nostri economisti partono
invero col piede giusto giudicando le attuali istituzioni e regole della
politica fiscale europea macchinose, arbitrarie e pro-cicliche. Fatto è che le
proposte avanzate nel paper sono ancor di più cervellotiche e vessatorie, con
lo sguardo rivolto esclusivamente a mettere l’Italia sotto scacco. Se applicate
probabilmente destabilizzerebbero i mercati. Dei veri problemi, crescita e
occupazione, il documento non fa menzione. Keynes non è mai esistito.
Nello specifico
il paper si pone l’obiettivo di rafforzare la disciplina fiscale in cambio di
una qualche “condivisione dei rischi” fra i partner. Il rigore non basta mai,
evidentemente. E per non sbagliarsi i Paesi ad alto debito dovranno avere più
disciplina e meno “risk sharing” degli altri, non sia mai che se ne
approfittino. Il documento si compone di tre parti, la prima dedicata al
completamento dell’unione bancaria, la seconda alle regole di bilancio, la
terza al quadro istituzionale. Quest’ultimo, in sostanza, riguarda
fondamentalmente il modo più efficace di attribuire i ruoli, rispettivamente,
dell’accusatore e del giudice nelle procedure di violazione, ruoli al momento
troppo soggetti alle scelte politiche. La Francia sembra aver abbandonato
l’idea coltivata anni fa di trasformare l’Eurogruppo (il consiglio dei ministri
finanziari) in un luogo di coordinamento delle politiche fiscali anticicliche,
ora si è abbandonata completamente al rigore tedesco.
Sulle banche la
vicenda è nota: la costituzione di un'assicurazione europea sui depositi a
completamento dell’unione bancaria, che già prevede sorveglianza e procedure di
risoluzione delle crisi bancarie comuni (il famoso bail-in), è subordinata allo smaltimento da parte delle banche
(leggi italiane) dei titoli pubblici e delle sofferenze bancarie in loro
possesso sotto una certa soglia (pena sanzioni). Qui il paper dimentica che nel
2011-12 le banche italiane furono spinte a impiegare la liquidità della BCE per
accollarsi i titoli di Stato italiani di cui le banche franco-tedesche si
stavano sbarazzando, evitando il crollo dell’euro. Se la BCE fosse intervenuta
prima questo non sarebbe accaduto. Così come dimenticano che le sofferenze sono
in gran parte dovute alle (controproducenti) politiche di austerità. Ci si
scorda anche dell’ammontare spaventoso di titoli speculativi che gravano sulle
banche tedesche e francesi, come documentato dalla Banca d’Italia lo scorso
dicembre. Per gli economisti franco-tedeschi i titoli di stato sono considerati
un problema, i derivati no. Si tratta comunque di misure destabilizzanti per il
debito pubblico e per il sistema bancario italiani. E circa la promessa garanzia
sui (vostri) depositi, l’assicurazione europea interverrà solo se una crisi
bancaria in uno o più Paesi esaurisce la quota del fondo assicurativo comune
che è di loro pertinenza (e che essi avranno versato attraverso “premi
assicurativi” commisurati al rischio-Paese), dunque una condivisione dei rischi
limitata a crisi sistemiche.
Ma è nella parte
fiscale che il surrealismo dà il meglio di sé. Qui si propone di sostituire al
pareggio di bilancio (aggiustato per il ciclo secondo con regole economicamente
arbitrarie) un obiettivo di crescita della spesa pubblica che dovrebbe essere
in linea con la crescita di lungo periodo del PIL, ma minore di quest’ultima
nei Paesi ad alto debito di modo che lentamente rientrino nel rapporto
debito/PIL (smantellando progressivamente il welfare). La carota sarebbe che il
trend fissato per la spesa è indipendente dal ciclo sicché nella fase di bassa
quando le entrate fiscali diminuiscono si farà deficit spending in automatico,
compensato da surplus di bilancio nella fase alta.
Dio solo sa
quanta arbitrarietà teorica e pratica v’è tuttavia nel calcolare la crescita di
lungo periodo del PIL di un Paese. Inoltre alla luce di un modello Keynesiano
di lungo periodo è la spesa pubblica, fra le altre spese autonome, a guidare il
PIL. Se quest’ultimo sta crescendo al 2% e fissiamo la crescita della spesa
all’1%, la crescita del PIL probabilmente diminuirà (e con essa le entrate
fiscali mortificando l’aggiustamento dei conti). Siamo così alle solite fatiche
di Sisifo impostici degli apprendisti stregoni di Bruxelles. E se ci trovassimo
a violare la (nuova) regola, ogni nuovo indebitamente lo dovremmo finanziare
emettendo dei titoli di serie B (junior
bonds) che sarebbero i primi a soffrire in caso di ristrutturazione del
debito e sui quali dovremo dunque pagare tassi più elevati.
La logica
punitiva offre il massimo di sé nel cavallo di battaglia tedesco per cui ogni
assistenza finanziaria da parte del fondo salva-Stati European Stability Mechanism, assistenza che può rendersi
indispensabile nel caso che per uno Stato fosse proibitivo rifinanziarsi sul
mercato a tassi accettabili, andrebbe subordinata a una ristrutturazione del
debito (che ne allunghi le scadenze e se necessario ne cancelli una quota, per
esempio relativa alle junior bond di
cui sopra). Il passaggio chiave dell’intero documento e rappresentativo della
posizione tedesca è l'affermazione che in seguito alla riforma proposta “i
Paesi insolventi perdono accesso ai mercati finanziari più rapidamente se la
clausola di non-salvataggio è credibile che se non lo è” (p.12). Vale a dire,
sotto la spada di Damocle di una ristrutturazione dei debiti saranno i mercati
a vigilare sul rigore fiscale dei Paesi ad alto debito, che saranno così
automaticamente sotto controllo, senza bisogno di applicare sanzioni,
operazione politicamente sempre complicata. Nella prospettiva della dismissione
dell’ombrello protettivo della BCE (Draghi scade nel 2019), l’ESM rimarrà come
il solo scudo e così congeniato è evidente che esso destabilizzerà (più che
stabilizzare) il mercato dei titoli italiani. Ça va sans
dire che, invece, i Paesi che avranno dato prova di virtù fiscale sono
premiati e avranno accesso incondizionato all’ESM per affrontare, presumibilmente,
temporanei rialzi dei tassi di interesse sui loro titoli di Stato ricorrendo ai
più vantaggiosi tassi sui prestiti erogati dal fondo. L’Europa c’è quando v’è meno
bisogno.
Lo specchietto
per le allodole del documento è nella creazione di un (piccolo) fondo di
stabilizzazione del ciclo a cui potrebbero ricorrere i Paesi il cui tasso di
disoccupazione superasse determinate soglie. I caveat sono così vessatori da rendere la proposta offensiva. Il
sostegno è una tantum, quindi non volto a contrastare la disoccupazione
strutturale, e disponibile solo ai Paesi che si attengono scrupolosamente alle
regole. Alla faccia del “risk sharing”, la contribuzione al fondo sarà maggiore
per gli Stati che più probabilmente vi ricorreranno. Infine cultori di Keynes
non mancheranno di notare come la costituzione stessa nel tempo del fondo
attraverso contributi dagli Stati sia una misura deflativa. Ci si può consolare
pensando che tanto si tratta di poca cosa.
Da dove uno
degli esponenti di punta di Liberi e
Uguali (Fratoianni su Huffington Post)
abbia potuto dedurre che nel documento si propone il superamento dei vincoli
europei non è dato sapere, a ulteriore testimonianza che il surrealismo è il
tratto dominante della vicenda europea.
Riferimenti
Bénassy-Quéré,
A, M Brunnermeier, H Enderlein, E Farhi, M Fratzscher, C Fuest, P-O Gourinchas,
P Martin, J Pisani-Ferry, H Rey, I Schnabel, N Véron, B Weder di Mauro and J
Zettelmeyer (2018), “Reconciling
risk sharing with market discipline: A constructive approach to euro area
reform”, CEPR Policy Insight
No. 91.
Fratoianni, N. (2018)
L'Europa dei pochi e quella dei molti, http://www.huffingtonpost.it/nicola-fratoianni/leuropa-dei-pochi-e-quella-dei-molti_a_23336780/
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