venerdì 26 gennaio 2018

Morali e doppie morali a Freiburg



 Qui sotto trovate la traccia della mia conferenza ieri (25 gennaio 2018) a Freiburg (Germania del sud), la bellissima cittadina patria dell'ordoliberismo. Squisiti gli organizzatori (tedeschi) della Società Dante Alighieri e il prof.Oliver Landman della locale Facoltà di economia. Presente il giovane e simpatico console italiano. Sala non pienissima (la conferenza era in italiano) con sia italiani che tedeschi. Buon dibattito. Oliver mi ha riferito che alcuni suoi studenti mi ritenevano un po' "one sided". Capisco. Non è facile accettare critiche al proprio Paese. Ma quante ne dobbiamo subire noi, e di non documentate! Un italiano mi ha infatto riportato nel dibattito che Feld, il principale ordo locale (e ben noto) continuamente definisce spendaccioni gli italiani. Figuretevi la gioia di questi connazionali a vedere i dati sul surplus primario di bilancio dal 1990, altro che scialacquoni. Certo è invece sempre molto imbarazzante dover difendere l'indifendibile, la malavita, i comportamenti incivili e l'assenza di senso della comunità di una parte cospicua del nostro Paese (a cui se vai a dire qualcosa reagisce pure piccato!).
Lunedì carico la presentazione power point (da qui non so entrare nella mia pagina web) e successivamente il paper.


SLIDE 1
Freiburg 25 gennaio 2018

Chi non rispetta le regole? Morali e doppie morali nell’Europa dell’euro
(traccia  della presentazione – outline of the presentation)
Sergio Cesaratto
Dipartimento di economia politica e statistica, Università di Siena

http://docenti.unisi.it/sergiocesaratto/

Programma presentazione
Premessa. I. L’Italia, un Paese in crisi II. L’euro si doveva fare? III. Interpretazioni della crisi europea IV. La Germania è un Paese mercantilista? V. Esempi di doppia morale e di scarsa memoria VI. Il nazionalismo degli economisti tedeschi. Conclusioni.
Tutto quello che dirò è suffragato dalla migliore letteratura mondiale e, laddove possibile, da fonti ed economisti tedeschi (le fonti delle figure sono nel WP che sarà diffuso prossimamente).



Premessa
SLIDE 2
1.      Non sono mai stato così imbarazzato nel preparare una conferenza. Da un lato lo spirito di questo incontro è quello dell’amicizia fra Germania e Italia. Ma, purtroppo, dovremo qui oggi parlare soprattutto di ciò che ci divide.  Dall’altro lato sono molto imbarazzato a esprimere critiche alla politica europea della Germania quando l’Italia, soprattutto alcune sue parti, continuano a dare una brutta immagine di sé, in particolare lo scarso senso civico e di appartenenza alla comunità sia di una parte consistente dei cittadini che dei politici ed amministratori che essi esprimono. Vorrei d’altra parte dire che però i confronti “culturali” sono sempre pericolosi in quanto, anche quando non basati su stereotipi, hanno contorni piuttosto incerti.
2.      I fattori culturali sono stati tirati in gioco anche nel caso della crisi europea: il rigore nordico contro la flessibilità latina, regole contro furbizia. Trovo tuttavia questi esercizi alquanto basati su cliché.

SLIDE 3 e 4
3.      Morale e moralismo. Doppie morali. V’è purtroppo da parte di molti opinion maker tedeschi la tendenza al giudizio moralista. Il pensiero economico “ordoliberista” - spesso definito “scuola di Friburgo” - se n’è fatto portatore in economia. In italiano distinguiamo fra “morale” e “moralismo”, dando alla prima una accezione positiva e al secondo una negativa. Il moralismo è negativo perché pone chi lo esprime su un piedistallo, perché è inutile e aiuta poco chi lo subisce, ma soprattutto perché moralisti sono in genere i peggiori peccatori. Caratteristica del moralista è la doppia morale, quella che si applica a sé e quella predicata agli altri.

SLIDE 5
4.      Regole sì, ma quali? Dando per scontato che in una unione monetaria delle regole vadano rispettate, dobbiamo chiederci se le regole scritte nei Trattati europei siano quelle giuste, o non siano il risultato di rapporti di forza fra Paesi e di una cattiva scienza economica. Il dissenso sulle regole dunque c’è, ma ha radici profonde nell’analisi economica e da ultimo negli interessi nazionali che hanno fatto questa Europa, non tanto in stereotipi culturali. La tesi sostenuta in questa lezione può così essere riassunta: ci sono delle impressionanti analogie fra l’Unione economica e monetaria europea (UME) e il gold standard - il sistema monetario basato sulla parità aurea che prevalse fra il 1870 e il 1914, ripristinato dopo il primo conflitto mondiale e abbandonato con la prima grande crisi.  Il gold standard era basato sulle cosiddette “regole del gioco” fra le quali la principale era che gli aggiustamenti degli squilibri esterni dovessero ricadere sia sui Paesi in surplus che sui Paesi in deficit

SLIDE 6
5.      La regola del gioco di una unione monetaria. Una cattiva scienza economica e gli interessi dei Paesi in surplus hanno fatto in modo che nell’UME le “regole del gioco” siano state scritte in modo incompleto e parziale. A rendere la situazione più penosa, le stesse (sbagliate) regole del gioco scritte nei trattati europei sono state spesso applicate attraverso una doppia morale: inflitte con rigore ai Paesi in deficit contro scelte a là carte per i Paesi in surplus. Nella sua versione più ingenua, nel gold standard l’aggiustamento degli squilibri di bilancia dei pagamenti avveniva grosso modo così (è una spiegazione dovuta a Hume): il Paese che presenta disavanzi commerciali vede un deflusso netto di oro (o monete auree) in quanto ne perde di più per pagare le importazioni di quanto ne incassi dalle esportazioni; per contro il Paese in surplus ha un incasso netto di oro. La diminuzione di moneta aurea nel Paese in deficit conduce lì a una diminuzione dei prezzi, mentre questi aumentano nel Paese in surplus che vede accrescere la circolazione aurea. Il Paese in disavanzo guadagna così competitività e il Paese in surplus la perde, e in tal modo meccanismi di mercato aggiustano gli squilibri esterni. Una regola simile si applica anche a una moneta unica.
6.      In verità gli aggiustamenti non sono così automatici, ci vuole la buona volontà politica di applicarli. Se questa non c’è l’unione monetaria è insostenibile e può sopravvivere solo attraverso forme di coercizione.
SLIDE 7
SLIDE 8


I.                   L’Italia, un Paese in crisi
7.      Al pari della Germania, ma partendo da livelli di industrializzazione più limitati, l’Italia ebbe il suo miracolo economico nel periodo 1951-1963. Nel 1959 il Financial Times nominò la lira italiana la più stabile del mondo. La Dolce vita non era solo appannaggio di una élite, ma una speranza per milioni di italiani (sebbene ancora tanti dovettero scegliere la via dell’emigrazione).
SLIDE 9
Il paese cercò finalmente di modernizzare il mezzogiorno.

SLIDE 10
8.      Le occasioni mancate. Le menti più illuminate suggerirono allora che il Paese aveva finalmente le risorse per assalire i gravi problemi che lo attanagliavano: il divario Nord-Sud, i problemi delle grandi città (casa, trasporti), una istruzione più moderna e democratica, uno stato sociale adeguato.
Negli anni sessanta la classe dirigente che aveva pur guidato la ricostruzione e il miracolo si rivelò tuttavia inadeguata a guidare questo disegno riformista. Sebbene la cooptazione del Partito Socialista nei governi a guida democristiana puntasse in una direzione socialdemocratica, nel timore di perdere i propri privilegi i settori più retrivi della borghesia si opposero a misure incisive di modernizzazione e giustizia sociale.
Il risultato fu l’esplosione del conflitto sociale, nel 1962-63 e poi con maggiore virulenza nell’autunno caldo del 1969.
SLIDE 11

9.      Negli anni settanta la risposta della borghesia fu ancora più retriva... e cominciò la stagione del sangue col terrorismo sia di destra appoggiato da settori dello Stato, che “rosso”. Eppure l’economia italiana continuava a crescere, sebbene non più ai ritmi del miracolo. Frutto dell’elevato conflitto salariale e degli shock petroliferi, l’inflazione crebbe. La svalutazione della lira consentiva tuttavia all’Italia di difendere la competitività esterna. Aumentarono la spesa sociale volta ad attenuare il conflitto e il sostegno alle imprese ma non l’imposizione fiscale. I debiti dello Stato italiano si accrebbero, ma la Banca d’Italia non faceva mancare il suo sostegno (seppur critico) “stampando moneta” (nulla di male mio avviso, date le circostanze) per cui i conti erano sotto controllo.

SLIDE 12
10.  Si poteva far meglio? Certamente sì, prendendo ad esempio i “compromessi socialdemocratici nordici” (o quelli “renani” se volete). L’incapacità di darsi una risposta da soli portò così il Paese lungo la vecchia strada di cercarla all’esterno, a riaffermare l’incapacità storica degli italiani ad auto-governarsi (dopo secoli di abitudine a servire uno straniero).
Così si spiega l’adesione italiana al Sistema Monetario Europeo (SME), il padre dell’euro.
Uno degli articoli internazionali più influenti in merito è proprio di due italiani (bocconiani), Giavazzi e Pagano (1988) e si intitola “The Advantage of Tying One's Hands” (I vantaggi di legarsi le mani). Gli accordi di cambio hanno il precipuo scopo di portare disciplina sociale: il conflitto sociale genera inflazione e quest’ultima perdita di competitività. La svalutazione del cambio fa recuperare la competitività. Se quest’ultima possibilità viene meno, si tagliano le ali al conflitto sociale.

SLIDE 13
11.  Il sistema monetario europeo (SME 1978-1999) portò a un primo disastro. L’inflazione italiana rimase superiore a quella dei concorrenti; emersero squilibri con l’estero; con la progressiva liberalizzazione dei movimenti di capitale la permanenza nello SME comportò elevati tassi di interesse che fecero (quelli e non la spesa) esplodere il debito pubblico (nel frattempo la Banca d’Italia, era diventata «indipendente»).
Il Paese poté “fuggire” dallo SME nel 1992, ma badò bene di cacciarsi nella trappola dell’euro nel 1999. Il ”far cassa” per risanare i conti pubblici e l’ottemperanza alle direttive europee che proibiscono gli aiuti di Stato alle imprese portò i governi dell’epoca a distruggere l’industria pubblica italiana. Quello che ne sopravvive è oggi industria di successo (nell’aerospazio e nella cantieristica), a dimostrazione dell’errore compiuto.

SLIDE 14
12.  Dai primi anni novanta lo Stato italiano ha un surplus primario (solo la Germania può vantare altrettanto). Perché a Francia e Spagna è stata consentita una costante violazione dei parametri europei sui saldi? Ecco perché van meglio dell’Italia



SLIDE 15
Si può forse argomentare che l’Italia abbia sprecato l’occasione dei bassi tassi di interesse legati all’euro, ma la figura mostra come il debito pubblico in percentuale del PIL sia diminuito di 20 punti percentuali dal 1995 al 2003 rimanendo attorno al 100% sino alla crisi del 2008 e alle successive politiche di austerità che l’hanno fatto aumentare.



SLIDE 16
13.  Il mancato intervento della BCE. Il debito pubblico italiano peggiora dal 2008, ma vorrei dire che abbastanza unanimemente gli economisti – tranne ahinoi quelli tedeschi – ritengono che se vi fosse stato un tempestivo intervento della BCE dal 2010 a sostegno dei titoli di Stato italiani e con misure di contenimento della spesa limitate a una  stabilizzazione del rapporto debito/PIL, all’Italia sarebbero state risparmiate sofferenze del tutto inutili, inclusa la crisi del sistema bancario, e che non sono facilmente rimarginabili. Non c’è nulla di scandaloso in un intervento di questo tipo della banca centrale – quale poi si ebbe con Draghi -, le banche centrali sono nate per questo, per sostenere Stati e banche. Nel resto del mondo è considerato normale non adottare politiche di austerità nel mezzo di una recessione. In Europa lo si è fatto.

SLIDE 17
14.  Chiariamo subito: dato il rapporto debito/PIL, l’austerità fiscale fa diminuire il denominatore e poiché diminuiscono le entrate fiscali il numeratore non migliora (o migliora poco) sicché si produce una fatica di Sisifo

SLIDE 18
15.  Se poi considerassimo il debito privato accanto a quello pubblico (figura 4), l’Italia risulterebbe un paese nel complesso non più indebitato di altri (e così anche persino la povera Grecia!).

Il debito estero italiano è anche contenuto, ci torneremo. (SEMPRE SLIDE 18)

SLIDE 19
16.  Il noto punto dolente dell’economia italiana è nell’andamento stagnante della produttività (del prodotto per ora lavorata) mostrato in figura.


SLIDE 20
Due scuole:
Strutturalisti: l’economia italiana (e quelle del Sud in generale) sono inefficienti
Keynesiani: i tassi di cambio fissi sono stati una scelta sbagliata che ha minato la competitività di quelle economie; certo esse necessitano di cambiamento, ma nell’austerità questo è impossibile.
Fondamentalmente credo che la produttività dipenda da fattori dal lato della domanda aggregata (e solo in subordine da fattori dell’offerta)

SLIDE 21
17.  “Hard” SME (1987-92) ed euro hanno qualche responsabilità al riguardo



SLIDE 22
II.                 L’euro si doveva fare?
18.  La teoria economica è famosa per sbagliare spesso le proprie previsioni: Nel caso dell’euro si sapeva: non si doveva fare. L’esperienza del gold standard (e dello SME) indicavano che i Paesi in surplus non rispettano la regola del gioco per cui gli aggiustamenti devono ricadere sia sui Paesi in surplus che su quelli in disavanzo... Oppure si deve realizzare un’unione politica con trasferimenti fiscali dagli uni agli altri (come all’interno degli USA, fra Nord e Sud d’Italia, fra Ovest ed Est tedeschi).

SLIDE 23
L’unione politica e solidale dell’Europa è realistica? No. E’ solo possibile un’Europa (ordo)liberista.
Mecca del socialista o del cristiano progressista è lo Stato nazionale che con la massima cooperazione con gli altri Paesi (laddove possibile) persegue gli obiettivi democraticamente decisi dai propri elettori. L’Europa ordoliberista è la fine della democrazia. Una volta espropriata la facoltà di votare per la politica economica – tipicamente scegliere quale peso dare rispettivamente a inflazione e occupazione – cosa rimane della democrazia? Rimane il voto sui diritti civili (come eutanasia, il diritti degli immigrati e così via): tutto nobile e tutto molto coerente col laissez faire; tanto dell’economia si occupa il mercato.

III.              Origini della crisi

SLIDE 24
19.  Da sempre i sistemi di cambio fissi finiscono in crisi finanziarie. Questo accadeva regolarmente col gold standard, e poi dagli anni settanta nei paesi in via di sviluppo che fissavano la parità col dollaro (e col SME).
La promessa della stabilità del cambio favorisce infatti i prestiti internazionali: con un cambio stabile i contraenti del prestito sono certi che qualunque sia la valuta in cui esso è denominato, esso non muterà di valore. L’esperienza indica che i prestiti internazionali dai Paesi “core” ai Paesi “periferici” finiscono in crisi di indebitamento di questi ultimi in quanto, in genere, impiegati per sostenere boom delle costruzioni private o infrastrutture (ai tempi del gold standard delle ferrovie). Quest’ultimo investimento è una buona cosa, ma per ripagare i prestiti serve costruire una capacità esportatrice (i prestiti si pagano con le esportazioni nette), e questa è lenta a costituirsi, e richiede molto Friedrich List (protezionismo, guida e intervento pubblico) piuttosto che laissez-faire.

SLIDE 25
20.  Con la costituzione dell’euro i due elementi necessari a predisporre una crisi debitoria erano pronti: un cambio irrevocabilmente fisso e libertà di movimento dei capitali. Un terzo elemento fu la convergenza dei tassi di interesse a lungo termine verso quelli (più bassi) tedeschi (figura).


Con una moneta unica e bassi tassi, e la possibilità di approvvigionarsi di liquidità nel mercato monetario europeo, le banche spagnole e irlandesi (e tedesche e francesi) espansero il credito fomentando bolle immobiliari. Il governo greco espanse la spesa pubblica, fra l’altro in armamenti francesi e tedeschi.

SLIDE 26
21.  Gli esiti. Le due figure che seguono mostrano come la situazione italiana sia stata molto più simile a quella francese che a quella dei Paesi periferici. Si noti (figura) come la Germania entra nella moneta unica con un disavanzo dei conti con l’estero (partite correnti) con un segno che si inverte in corrispondenza con l’emergere dei disavanzi dei partner. L’inversione di segno che si ha dal 2008 con la crisi è dovuta alle misure di austerità che fanno stringere la cinghia ai Paesi periferici costringendoli a importare meno dall’estero. La Germania compensa vendendo di più nei Paesi extraeuropei. 


SLIDE 27
22.  Due pesi e due misure. La figura mostra la grave posizione debitoria verso l’estero della Spagna (che perdura ancora oggi). Ma alla Spagna tutto è perdonato!
Vorrei infatti far notare che l’Italia in nessun senso ha contribuito alla crisi, né come creditrice né come debitrice, e vi è stata trascinata per un assurdo ritardo della BCE a intervenire a suo sostegno.


In conseguenza di questo ritardo e delle politiche di austerità l’Italia ha perso un quarto dell’industria manifatturiera (la seconda in Europa). A qualcuno l’euro va benissimo.

SLIDE 28
23.  Due interpretazioni: debito come colpa o ‘vendor finance»’ . La tesi che l’origine della crisi sia fiscale – come sostenuto al principio della crisi da molti e non solo in Germania – è ora in discredito.
La crisi è nata nel settore privato, e col salvataggio delle banche coinvolte è successivamente diventata fiscale. Su questo vi è consenso.
La tesi degli economisti tedeschi (inclusi quattro dei cinque saggi del Consiglio tedesco degli esperti economici - Sachverständigenrat) è che la responsabilità sia dei Paesi debitori che hanno sprecato l’opportunità di impiegare meglio i prestiti internazionali (e in particolare tedeschi)
Gli economisti tedeschi dimenticano tuttavia che le scelte di dove investire le ha fatte il mercato, non siamo certo in economie pianificate, viste certo da loro come fumo negli occhi. Un giudizio più equilibrato e meno moralista è implicito in quanto detto sopra: l’unione monetaria, come il gold standard, crea un humus ideale per le crisi finanziarie da indebitamente esterno.
Creditori e debitori sono ugualmente responsabili e hanno ambedue beneficiato della situazione e ambedue dovrebbero essere chiamati a condividerne i costi, senza ricorrere a doppie morali
Da un lato i creditori hanno aiutato l’indebitamento dai Paesi periferici per espandere le loro esportazioni (vendor finance) e, dall’altro, ora violano la regola del gioco di aiutare il riequilibrio all’interno dell’unione monetaria espandendo le proprie economie. 

IV.              La Germania è un Paese mercantilista?

SLIDE 29
24.  Il mercantilismo monetario tedesco (Carl-Ludwig Holtfrerich- Uno dei maggiori storici economici tedeschi). La politica economica tedesca si orienta dagli anni ‘50 a lasciar fare il keynesismo agli altri Paesi (con associata maggiore inflazione) sì che essi importino di più dalla Germania resa competitiva dal rigore interno che dà luogo a un cospicuo surplus esportabile.
Si tratta di una palese ammissione ufficiale di violazione delle regole del gioco di un sistema di cambi fissi - allora di Bretton Woods, successivamente nello SME e nell’euro. Il problema dell’economia europea (e globale) è la Germania (non l’Italia).

SLIDE 30
Wilhelm Vocke della Presidente Bank deutscher Lander (poi Bundesbank):
“you will see, with satisfaction, that we have consistently remained below them [the other countries’ inflation rate]. And this is our chance, that is decisive, for our currency and especially for our exports. Raising exports is vital for us, and this in turn depends maintaining a relative low price level and wage level …As I have said, keeping the price level below that in other countries is the focal point of our efforts at the central bank, and it is a success of those efforts. That should be born in mind by those who say to us: your restrictive measures are too tight, are no longer necessary” (citato da Holtfrerich, 1999: 345).

SLIDE 31
Ludwig Erhard :
“A great opportunity for the future of German exports has arisen out of the current situation. If, namely, through internal discipline we are able to maintain the price level to a greater extent than other countries, our exports strength will increase in the long run and our currency will become stronger and more healthy, both internally and with respect to the dollar” (citato da Holtfrerich, 1999: 345).

V.                Le doppie morali e le memorie corte

SLIDE 32
25.  Esempi di doppia morale (1) Il debito pubblico italiano aumenta dal 2008 (figura). Una delle cause dell’aggravamento del debito italiano è nel mancato intervento della BCE a sostenere i titoli di Stato italiani e nelle misure di austerità che il Paese dovette assumere (che fanno diminuire prodotto ed entrate fiscali).
Adalbert Winkler professore della Frankfurt School of Finance & Management denuncia come il governo tedesco e i suoi economisti ordoliberisti abbiano da un lato trasgredito al “principio di responsabilità” (liability principle) quando si trattò di salvare le banche tedesche nel 2008 attraverso gli aiuti pubblico diretti, per poi cambiare atteggiamento quando si trattava di fare lo stesso con i debiti sovrani dei partner europei. Quando Draghi è intervenuto nel 2012 il taxpayer tedesco non ha pagato nulla.

SLIDE 33
26.  Esempi di doppia morale (2) La storia del (primo) “salvataggio” della Grecia nel maggio 2010 è stranota: la Deutsche Bank e le altre grandi banche tedesche (e francesi) erano state protagoniste degli eventi che portarono alla crisi finanziaria americana. Le banche tedesche non potevano subire un ulteriore colpo.
Ma una volta messe in salvo le proprie banche, nel 2012 il governo tedesco ritornò inflessibile sul principio di responsabilità sul debito pubblico greco che le banche (greche) (e soprattutto il popolo) pagarono duramente.
Un istituto di ricerca di Berlino che si è chiesto dove siano finite i soldi dei salvataggi alla Grecia, e la risposta è: a restituire i debiti e pagare gli interessi (si indovini a chi?).
Nel caso della Grecia si chiamarono gli altri Paesi europei a pagare il conto che i greci avevano con le banche tedesche. l’Italia contribuì con 10 miliardi di euro, per poi partecipare ai successivi piani di “aiuti” a Grecia e altri Paesi periferici con aggravi notevoli per il bilancio pubblico.
Ma dopo essere stata chiamata a salvare le banche tedesche, l’Italia veniva lasciata indifesa di fronte all’attacco dei mercati finanziari

SLIDE 34
Altri esempi di doppia morale.
-          Le banche tedesche hanno continuato a godere di un trattamento preferenziale da parte delle autorità europee, vigilanti sulle banche italiane che svolgono il tradizionale ruolo creditizio verso famiglie e imprese, distratte verso le grandi banche tedesche che operano prettamente nei mercati speculativi


SLIDE 35

-          La fuga dei capitali verso i titoli sovrani ritenuti più sicuri consentì al governo tedesco simmetrici risparmi di spesa che un istituto ufficiale tedesco ha quantificati in 100 miliardi fra il 2010 e il 2015.
-          Le esportazioni tedesche hanno beneficiato dell’euro debole (in generale uno dei vantaggi della Germania di condividere la moneta con Paesi più fragili è di evitare un super-DM).
La Germania ha sistematicamente guadagnato, prima, durante e dopo la crisi. Forse è il momento di riflettere su questo?

SLIDE 36
27.  Dulcis in fundo: i Trattati asimmetrici. E’ fin troppo facile insistere sulla ripetuta violazione tedesca del limite fissato dai Trattati (Six pack) ai surplus esterni – il saldo delle partite correnti del 6% del PIL è peraltro un limite molto favorevole alla Germania, i deficit sono infatti puniti se superano il 4% e i debiti netti il 35%, mentre nessuna penalizzazione è prevista per i crediti netti.
Queste asimmetrie sono una palese conferma che l’unione monetaria europea si basa regole del gioco a dir poco parziali.
Gli economisti sanno che Keynes si batté a Bretton Woods perché fossero i Paesi con persistenti surplus a essere penalizzati, non quelli in disavanzo (ma si sa, Keynes è un immorale).

SLIDE 37
28.  Le contro-obiezioni degli economisti tedeschi.
Gli economisti tedeschi giustificano in vari modi il surplus commerciale. Uno è l’invecchiamento della popolazione per cui la Germania è legittimata ad accumulare crediti verso l’estero. Si può tuttavia obiettare che (a) l’invecchiamento riguarda tutti i Paesi (a meno di non pensare ad anziani di serie A e anziani di serie B); (b) il perseguimento di cospicui avanzi commerciali è un scelta dell’immediato dopoguerra quando il problema dell’invecchiamento non c’era. Si tratta dunque di una spiegazione molto ad hoc.
Una seconda obiezione è che Berlino non controlla il surplus commerciale. Si fa qui finta di ignorare le relazioni macroeconomiche, molto precise, che legano i saldi esteri ai saldi interni pubblico e privato.
Un governo intenzionato a ridurre un surplus esterno può ad esempio portare in passivo bilancio pubblico. Il pareggio di bilancio della Germania è una violazione delle regole del gioco di un’unione monetaria.
Inoltre accumulare crediti portando le economie debitrici sull’orlo del fallimento non è una strategia molto saggia.

SLIDE 38
29.  Memorie corte (1). Nel 1953 fu firmata a Londra la temporanea sospensione del 50% del debito estero tedesco fino a una eventuale riunificazione . L’origine del debito era nelle riparazioni di guerra imposte dal Trattato di Versailles e dei successivi debiti contratti dalla Germania fino alla moratoria sul debito nel 1931, alla successiva sospensione nel 1932 e, infine, al blocco dei pagamento da parte del regime nazista. Il pagamento del primo 50% fu completato nel 1983, dunque con una ampia dilazione. Come da accordi, il restante 50% fu versato all’atto della riunificazione, ma a quel punto l’onere economico su un prodotto nazionale enormemente cresciuto era irrilevante. Il caso è stato spesso evocato, e per evidenti ragioni, soprattutto dai greci, ma non solo.

SLIDE 39
30.  Memorie corte (2) La salita al potere dei nazisti, ebbe molto a che fare col rifiuto americano e francese di espandere le loro economie (disubbidendo così alle regole del gioco del gold standard) costringendo la Germania alla deflazione.
Ricerche recentissime confermano come la vittoria di Hitler sia stata dovuta alle politiche di austerità fiscale del Cancelliere Brüning che spostarono il voto della classe media verso i nazisti con la loro piattaforma anti-austerità (i lavoratori disoccupati votavano invece per i comunisti).
L’iperinflazione del 1923 poco ebbe a che vedere con l’ascesa del nazismo. Studiosi tedeschi e non avanzano l’ipotesi che il nesso iperinflazione-nazismo sia una “invenzione della memoria” opera della Bundesbank.

SLIDE 40
31.  Memorie corte (3). L’anti-Keynesismo tedesco sembra incomprensibile alla luce delle posizioni che Keynes assunse alla conferenza di Versailles, premonitrici delle disgrazie che le misure punitive imposte al popolo tedesco avrebbero avuto su destini dell’Europa

VI.              Il nazionalismo degli economisti tedeschi

SLIDE 41
32.  Gli economisti tedeschi: un mondo a parte? A parte alcune eccezioni, sì. Gli economisti tedeschi non si identificano necessariamente con l’ordoliberismo (OL), ma è indubbio che quest’ultima ideologia sia piuttosto influente sul modo di pensare di economisti, giornalisti e politici tedeschi
Dubbie credenziali democratiche dell’OL (il mercato domina sulla democrazia sociale, comunque quest’ultima funzionale al mercato)
Gli economisti tedeschi hanno fiducia estrema nei meccanismi di mercato quali affermati dalla teoria neoclassica dominante. Sebbene questa fiducia non li distingua dal tradizionale pensiero liberista anglosassone, quest’ultimo è certamente più pragmatico e delega a un ipotetico “lungo periodo” certe virtù del mercato ammettendo in pratica una gestione più keynesiana della politica economica
      Forte nazionalismo degli economisti tedeschi: ridurre i surplus non è nell’interesse tedesco (ma la Merkel accusa gli americani di reagire col protezionismo!) .
Non ho nulla da obiettare, ma è un punto di vista politico: gli economisti tedeschi difendono il diritto della Germania di violare le regole del gioco di una unione monetaria.

Conclusioni

SLIDE 42
33.  La Germania non offre leadership. Le regole del gioco impongo che il Paese più forte eserciti leadership politica ed economica assicurando soprattutto il sostegno della domanda aggregata (Kindelberger 1973). In Europa la potenza dominante non solo non agisce da “egemone benevolo” e fissa regole vessatorie per i Paesi più deboli, ma ha anche una doppia morale.
Essere potenza egemone vuole dire aver assimilato i valori della romana humanitas: precisione e rigore, ma flessibilità; severità ma comprensione e tolleranza.
Non sono qui, tuttavia, per incolpare la Germania di nulla. La Germania fa apertamente i propri interessi.
Se qualcuno incolpo è la classe politica italiana che in nome di una illusoria importazione della “disciplina tedesca” ha condotto il paese in una trappola di cui oggi molti si pentono

SLIDE 43
34.  Un futuro fosco (almeno per l’Italia). Il futuro dell’Eurozona non promette nessun cambiamento se non nella direzione di un irrigidimento dell’attuale assetto istituzionale. Le proposte di Macron, dell’accordo Merkel-Schulz, il documento dei 14 economisti franco-tedeschi sono surreali e lontane anni luce da un assetto keynesiano e progressista dell’Europa. Le proposte sono volte a un irrigidimento ulteriore delle regole fiscali da affidarsi a organismi tecnocratici e all’arbitrio dei mercati (Bofinger 2016).


SLIDE 44
35.  Per concludere, non penso che dobbiamo criticare singoli Paesi per le difficoltà dell’euro. Probabilmente i tempi non erano maturi, e i Paesi europei troppo differenti fra loro, persino per una unificazione monetaria meglio disegnata. Purtroppo uscire dall’euro è un passaggio difficile per l’Italia a meno di una forte comprensione da parte dei partner europei (che però non mi aspetto). La crisi non è mai passata in Italia, se essa dovesse aggravarsi come nel 2012 penso (e spero) che il Paese non accetti un nuovo governo Monti imposto dall’Europa.




2 commenti:

  1. Vorrei dare atto al prof. Cesaratto di avere portato a Freiburg le proprie tesi (che conosciamo bene, e che per quanto mi riguarda condivido) senza fare sconti agli ospiti tedeschi. Quantomeno, questi ultimi si saranno resi conto che stavolta non avevano a che fare col solito intellettuale italiano grato alla Germania di "insegnarci la virtu". Grazie professore.

    RispondiElimina
  2. Grandissima presentazione . Complimenti prof Cesaratto. Lei ha fatto un riassunto dei storia e un ottimo escursus di Economia Politica. Complimenti per la lucidità. tristezza per l'Italia (io scrivo cose analoghe da molti anni ma saremo un centinaio di amici a condividerle) spero che le sue conclusioni si avverino e che alla prossima crisi avremo un governo che non si piega alla svendita del nostro paese incolpando noi stessi dell'errore.

    RispondiElimina