Qui sotto trovate la traccia della mia conferenza ieri (25 gennaio 2018) a Freiburg (Germania del sud), la bellissima cittadina patria dell'ordoliberismo. Squisiti gli organizzatori (tedeschi) della Società Dante Alighieri e il prof.Oliver Landman della locale Facoltà di economia. Presente il giovane e simpatico console italiano. Sala non pienissima (la conferenza era in italiano) con sia italiani che tedeschi. Buon dibattito. Oliver mi ha riferito che alcuni suoi studenti mi ritenevano un po' "one sided". Capisco. Non è facile accettare critiche al proprio Paese. Ma quante ne dobbiamo subire noi, e di non documentate! Un italiano mi ha infatto riportato nel dibattito che Feld, il principale ordo locale (e ben noto) continuamente definisce spendaccioni gli italiani. Figuretevi la gioia di questi connazionali a vedere i dati sul surplus primario di bilancio dal 1990, altro che scialacquoni. Certo è invece sempre molto imbarazzante dover difendere l'indifendibile, la malavita, i comportamenti incivili e l'assenza di senso della comunità di una parte cospicua del nostro Paese (a cui se vai a dire qualcosa reagisce pure piccato!).
Lunedì carico la presentazione power point (da qui non so entrare nella mia pagina web) e successivamente il paper.
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Freiburg 25 gennaio 2018
Chi non rispetta le regole? Morali e doppie morali nell’Europa dell’euro
(traccia della presentazione – outline of the presentation)
Chi non rispetta le regole? Morali e doppie morali nell’Europa dell’euro
(traccia della presentazione – outline of the presentation)
Sergio Cesaratto
Dipartimento di economia politica e
statistica, Università di Siena
http://docenti.unisi.it/sergiocesaratto/
Programma
presentazione
Premessa. I. L’Italia, un Paese in crisi II. L’euro si doveva fare? III.
Interpretazioni della crisi europea IV. La Germania è un Paese mercantilista? V.
Esempi di doppia morale e di scarsa memoria VI. Il nazionalismo degli
economisti tedeschi. Conclusioni.
Tutto quello che dirò è suffragato dalla migliore letteratura mondiale e,
laddove possibile, da fonti ed economisti tedeschi (le fonti delle figure sono nel WP che sarà diffuso prossimamente).
Premessa
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1. Non sono mai stato così imbarazzato
nel preparare una conferenza. Da un lato lo spirito di questo incontro è quello
dell’amicizia fra Germania e Italia. Ma, purtroppo, dovremo qui oggi parlare
soprattutto di ciò che ci divide.
Dall’altro lato sono molto imbarazzato a esprimere critiche alla
politica europea della Germania quando l’Italia, soprattutto alcune sue parti,
continuano a dare una brutta immagine di sé, in particolare lo scarso senso
civico e di appartenenza alla comunità sia di una parte consistente dei
cittadini che dei politici ed amministratori che essi esprimono. Vorrei d’altra
parte dire che però i confronti “culturali” sono sempre pericolosi in quanto,
anche quando non basati su stereotipi, hanno contorni piuttosto incerti.
2. I fattori
culturali sono stati tirati in gioco anche nel caso della crisi europea: il
rigore nordico contro la flessibilità latina, regole contro furbizia. Trovo
tuttavia questi esercizi alquanto basati su cliché.
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3. Morale e moralismo. Doppie morali. V’è
purtroppo da parte di molti opinion maker tedeschi la tendenza al
giudizio moralista. Il pensiero economico “ordoliberista” - spesso definito
“scuola di Friburgo” - se n’è fatto portatore in economia. In italiano distinguiamo
fra “morale” e “moralismo”, dando alla prima una accezione positiva e al
secondo una negativa. Il moralismo è negativo perché pone chi lo esprime su un
piedistallo, perché è inutile e aiuta poco chi lo subisce, ma soprattutto
perché moralisti sono in genere i peggiori peccatori. Caratteristica del
moralista è la doppia morale, quella che si applica a sé e quella predicata
agli altri.
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4. Regole sì, ma quali? Dando per scontato che in una unione
monetaria delle regole vadano rispettate, dobbiamo chiederci se le regole
scritte nei Trattati europei siano quelle giuste, o non siano il risultato di
rapporti di forza fra Paesi e di una cattiva scienza economica. Il dissenso
sulle regole dunque c’è, ma ha radici profonde nell’analisi economica e da ultimo
negli interessi nazionali che hanno fatto questa Europa, non tanto in
stereotipi culturali. La tesi sostenuta in questa lezione può così essere
riassunta: ci sono delle impressionanti analogie fra l’Unione economica e
monetaria europea (UME) e il gold standard - il sistema monetario basato
sulla parità aurea che prevalse fra il 1870 e il 1914, ripristinato dopo il
primo conflitto mondiale e abbandonato con la prima grande crisi. Il gold standard era basato sulle cosiddette
“regole del gioco” fra le quali la principale era che gli aggiustamenti degli
squilibri esterni dovessero ricadere sia sui Paesi in surplus che sui Paesi in
deficit
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5.
La regola del gioco di una unione monetaria. Una cattiva
scienza economica e gli interessi dei Paesi in surplus hanno fatto in modo che
nell’UME le “regole del gioco” siano state scritte in modo incompleto e
parziale. A rendere la situazione più penosa, le stesse (sbagliate) regole del
gioco scritte nei trattati europei sono state spesso applicate attraverso una
doppia morale: inflitte con rigore ai Paesi in deficit contro scelte a là
carte per i Paesi in surplus. Nella sua versione più ingenua, nel
gold standard l’aggiustamento degli squilibri di bilancia dei pagamenti
avveniva grosso modo così (è una spiegazione dovuta a Hume): il Paese che
presenta disavanzi commerciali vede un deflusso netto di oro (o monete auree)
in quanto ne perde di più per pagare le importazioni di quanto ne incassi dalle
esportazioni; per contro il Paese in surplus ha un incasso netto di oro. La
diminuzione di moneta aurea nel Paese in deficit conduce lì a una diminuzione
dei prezzi, mentre questi aumentano nel Paese in surplus che vede accrescere la
circolazione aurea. Il Paese in disavanzo guadagna così competitività e il
Paese in surplus la perde, e in tal modo meccanismi di mercato
aggiustano gli squilibri esterni. Una regola simile si applica anche a una
moneta unica.
6.
In verità gli aggiustamenti non sono così
automatici, ci vuole la buona volontà politica di applicarli. Se questa non c’è
l’unione monetaria è insostenibile e può sopravvivere solo attraverso forme di
coercizione.
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I.
L’Italia, un Paese in crisi
7.
Al pari della Germania, ma partendo da livelli di
industrializzazione più limitati, l’Italia ebbe il suo miracolo economico nel
periodo 1951-1963. Nel 1959 il Financial Times nominò la lira italiana
la più stabile del mondo. La Dolce vita non era solo appannaggio di una élite,
ma una speranza per milioni di italiani (sebbene ancora tanti dovettero
scegliere la via dell’emigrazione).
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Il paese cercò finalmente di
modernizzare il mezzogiorno.
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8.
Le occasioni mancate. Le menti più illuminate suggerirono
allora che il Paese aveva finalmente le risorse per assalire i gravi problemi
che lo attanagliavano: il divario Nord-Sud, i problemi delle grandi città
(casa, trasporti), una istruzione più moderna e democratica, uno stato sociale adeguato.
Negli anni sessanta la classe dirigente che aveva pur
guidato la ricostruzione e il miracolo si rivelò tuttavia inadeguata a guidare
questo disegno riformista. Sebbene la cooptazione del Partito Socialista nei
governi a guida democristiana puntasse in una direzione socialdemocratica, nel
timore di perdere i propri privilegi i settori più retrivi della borghesia si
opposero a misure incisive di modernizzazione e giustizia sociale.
Il risultato fu l’esplosione del conflitto
sociale, nel 1962-63 e poi con maggiore virulenza nell’autunno caldo del 1969.
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9. Negli anni settanta la risposta della
borghesia fu ancora più retriva... e cominciò
la stagione del sangue col terrorismo sia di destra appoggiato da settori dello
Stato, che “rosso”. Eppure l’economia italiana continuava a crescere, sebbene
non più ai ritmi del miracolo. Frutto dell’elevato conflitto salariale e degli
shock petroliferi, l’inflazione crebbe. La svalutazione della lira consentiva
tuttavia all’Italia di difendere la competitività esterna. Aumentarono la spesa
sociale volta ad attenuare il conflitto e il sostegno alle imprese ma non
l’imposizione fiscale. I debiti dello Stato italiano si accrebbero, ma la Banca
d’Italia non faceva mancare il suo sostegno (seppur critico) “stampando moneta”
(nulla di male mio avviso, date le circostanze) per cui i conti erano sotto
controllo.
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10. Si poteva far meglio? Certamente
sì, prendendo ad esempio i “compromessi socialdemocratici nordici” (o quelli
“renani” se volete). L’incapacità di darsi una risposta da soli portò così il
Paese lungo la vecchia strada di cercarla all’esterno, a riaffermare
l’incapacità storica degli italiani ad auto-governarsi (dopo secoli di
abitudine a servire uno straniero).
Così si spiega l’adesione italiana al Sistema
Monetario Europeo (SME), il padre dell’euro.
Uno degli articoli internazionali più influenti
in merito è proprio di due italiani (bocconiani), Giavazzi e Pagano (1988) e si
intitola “The Advantage of Tying One's Hands” (I vantaggi di legarsi
le mani). Gli accordi di cambio hanno il precipuo scopo di portare
disciplina sociale: il conflitto sociale genera inflazione e quest’ultima
perdita di competitività. La svalutazione del cambio fa recuperare la
competitività. Se quest’ultima possibilità viene meno, si tagliano le ali al
conflitto sociale.
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11. Il sistema monetario europeo (SME
1978-1999) portò a un primo disastro. L’inflazione italiana rimase
superiore a quella dei concorrenti; emersero squilibri con l’estero; con la
progressiva liberalizzazione dei movimenti di capitale la permanenza nello SME
comportò elevati tassi di interesse che fecero (quelli e non la spesa)
esplodere il debito pubblico (nel frattempo la Banca d’Italia, era diventata
«indipendente»).
Il Paese poté “fuggire” dallo SME nel 1992, ma badò
bene di cacciarsi nella trappola dell’euro nel 1999. Il ”far cassa” per
risanare i conti pubblici e l’ottemperanza alle direttive europee che
proibiscono gli aiuti di Stato alle imprese portò i governi dell’epoca a
distruggere l’industria pubblica italiana. Quello che ne sopravvive è oggi
industria di successo (nell’aerospazio e nella cantieristica), a dimostrazione
dell’errore compiuto.
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12. Dai primi anni novanta lo
Stato italiano ha un surplus primario (solo la Germania può vantare
altrettanto). Perché
a Francia e Spagna è stata consentita una costante violazione dei parametri
europei sui saldi? Ecco perché van meglio dell’Italia
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Si può forse argomentare che l’Italia abbia
sprecato l’occasione dei bassi tassi di interesse legati all’euro, ma la figura
mostra come il debito pubblico in percentuale del PIL sia diminuito di 20 punti
percentuali dal 1995 al 2003 rimanendo attorno al 100% sino alla crisi del 2008
e alle successive politiche di austerità che l’hanno fatto aumentare.
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13. Il mancato intervento della BCE. Il debito
pubblico italiano peggiora dal 2008, ma vorrei dire che abbastanza unanimemente
gli economisti – tranne ahinoi quelli tedeschi – ritengono che se vi fosse
stato un tempestivo intervento della BCE dal 2010 a sostegno dei titoli di
Stato italiani e con misure di contenimento della spesa limitate a una stabilizzazione del rapporto
debito/PIL, all’Italia sarebbero state risparmiate sofferenze del tutto
inutili, inclusa la crisi del sistema bancario, e che non sono facilmente
rimarginabili. Non c’è nulla di scandaloso in un intervento di questo tipo
della banca centrale – quale poi si ebbe con Draghi -, le banche centrali sono
nate per questo, per sostenere Stati e banche. Nel resto del mondo è
considerato normale non adottare politiche di austerità nel mezzo di una
recessione. In Europa lo si è fatto.
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14. Chiariamo
subito: dato il rapporto debito/PIL, l’austerità fiscale fa diminuire il
denominatore e poiché diminuiscono le entrate fiscali il numeratore non
migliora (o migliora poco) sicché si produce una fatica di Sisifo
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15. Se poi considerassimo il debito privato accanto a quello
pubblico (figura 4), l’Italia risulterebbe un paese nel complesso non più
indebitato di altri (e così anche persino la povera Grecia!).
Il debito estero italiano è anche contenuto, ci torneremo. (SEMPRE SLIDE
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16. Il noto punto
dolente dell’economia italiana è nell’andamento stagnante della produttività
(del prodotto per ora lavorata) mostrato in figura.
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Due scuole:
Strutturalisti: l’economia italiana (e quelle del Sud in generale) sono
inefficienti
Keynesiani: i tassi di cambio fissi sono stati una scelta sbagliata che
ha minato la competitività di quelle economie; certo esse necessitano di
cambiamento, ma nell’austerità questo è impossibile.
Fondamentalmente credo che la produttività dipenda da fattori dal lato della
domanda aggregata (e solo in subordine da fattori dell’offerta)
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17. “Hard” SME
(1987-92) ed euro hanno qualche responsabilità al riguardo
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II.
L’euro si doveva fare?
18. La teoria economica è famosa per
sbagliare spesso le proprie previsioni: Nel caso dell’euro si sapeva: non si
doveva fare. L’esperienza del gold standard (e dello SME) indicavano che i
Paesi in surplus non rispettano la regola del gioco per cui gli aggiustamenti devono
ricadere sia sui Paesi in surplus che su quelli in disavanzo... Oppure si deve
realizzare un’unione politica con trasferimenti fiscali dagli uni agli altri
(come all’interno degli USA, fra Nord e Sud d’Italia, fra Ovest ed Est
tedeschi).
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L’unione politica e solidale dell’Europa è realistica? No. E’ solo
possibile un’Europa (ordo)liberista.
Mecca del socialista o del cristiano progressista è lo Stato nazionale
che con la massima cooperazione con gli altri Paesi (laddove possibile)
persegue gli obiettivi democraticamente decisi dai propri elettori. L’Europa
ordoliberista è la fine della democrazia. Una volta espropriata la facoltà di
votare per la politica economica – tipicamente scegliere quale peso dare
rispettivamente a inflazione e occupazione – cosa rimane della democrazia?
Rimane il voto sui diritti civili (come eutanasia, il diritti degli immigrati e
così via): tutto nobile e tutto molto coerente col laissez faire; tanto
dell’economia si occupa il mercato.
III.
Origini della crisi
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19. Da sempre i sistemi di cambio fissi finiscono in crisi finanziarie. Questo accadeva regolarmente col
gold standard, e poi dagli anni settanta nei paesi in via di sviluppo che
fissavano la parità col dollaro (e col SME).
La promessa della stabilità del cambio favorisce infatti i prestiti
internazionali: con un cambio stabile i contraenti del prestito sono certi che
qualunque sia la valuta in cui esso è denominato, esso non muterà di valore.
L’esperienza indica che i prestiti internazionali dai Paesi “core” ai Paesi
“periferici” finiscono in crisi di indebitamento di questi ultimi in quanto, in
genere, impiegati per sostenere boom delle costruzioni private o infrastrutture
(ai tempi del gold standard delle ferrovie). Quest’ultimo investimento è una
buona cosa, ma per ripagare i prestiti serve costruire una capacità
esportatrice (i prestiti si pagano con le esportazioni nette), e questa è lenta
a costituirsi, e richiede molto Friedrich List (protezionismo, guida e
intervento pubblico) piuttosto che laissez-faire.
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20. Con la costituzione dell’euro i due
elementi necessari a predisporre una crisi debitoria erano pronti: un cambio
irrevocabilmente fisso e libertà di movimento dei capitali. Un terzo elemento
fu la convergenza dei tassi di interesse a lungo termine verso quelli (più
bassi) tedeschi (figura).
Con una moneta unica e bassi tassi, e la possibilità di approvvigionarsi
di liquidità nel mercato monetario europeo, le banche spagnole e irlandesi (e
tedesche e francesi) espansero il credito fomentando bolle immobiliari. Il
governo greco espanse la spesa pubblica, fra l’altro in armamenti francesi e
tedeschi.
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21. Gli esiti. Le
due figure che seguono mostrano come la situazione italiana sia stata molto più
simile a quella francese che a quella dei Paesi periferici. Si noti (figura)
come la Germania entra nella moneta unica con un disavanzo dei conti con
l’estero (partite correnti) con un segno che si inverte in corrispondenza con
l’emergere dei disavanzi dei partner. L’inversione di segno che si ha dal 2008
con la crisi è dovuta alle misure di austerità che fanno stringere la cinghia
ai Paesi periferici costringendoli a importare meno dall’estero. La Germania
compensa vendendo di più nei Paesi extraeuropei.
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22. Due pesi e due misure. La figura
mostra la grave posizione debitoria verso l’estero della Spagna (che perdura
ancora oggi). Ma alla Spagna tutto è perdonato!
Vorrei infatti far notare che l’Italia in
nessun senso ha contribuito alla crisi, né come creditrice né come debitrice, e
vi è stata trascinata per un assurdo ritardo della BCE a intervenire a suo
sostegno.
In conseguenza di questo ritardo e delle
politiche di austerità l’Italia ha perso un quarto dell’industria
manifatturiera (la seconda in Europa). A qualcuno l’euro va benissimo.
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23. Due interpretazioni: debito come
colpa o ‘vendor finance»’ . La tesi che l’origine della crisi
sia fiscale – come sostenuto al principio della crisi da molti e non solo in
Germania – è ora in discredito.
La crisi è nata nel settore privato, e col
salvataggio delle banche coinvolte è successivamente diventata fiscale. Su
questo vi è consenso.
La tesi degli economisti tedeschi (inclusi
quattro dei cinque saggi del Consiglio tedesco degli esperti economici - Sachverständigenrat)
è che la responsabilità sia dei Paesi debitori che hanno sprecato
l’opportunità di impiegare meglio i prestiti internazionali (e in particolare
tedeschi)
Gli economisti tedeschi dimenticano tuttavia che le scelte di dove
investire le ha fatte il mercato, non siamo certo in economie pianificate,
viste certo da loro come fumo negli occhi. Un giudizio più equilibrato e meno
moralista è implicito in quanto detto sopra: l’unione monetaria, come il gold
standard, crea un humus ideale per le crisi finanziarie da indebitamente
esterno.
Creditori e debitori sono ugualmente responsabili e hanno ambedue beneficiato della
situazione e ambedue dovrebbero essere chiamati a condividerne i costi, senza
ricorrere a doppie morali
Da un lato i creditori hanno aiutato l’indebitamento dai Paesi periferici
per espandere le loro esportazioni (vendor
finance) e, dall’altro, ora violano la regola del gioco di aiutare il
riequilibrio all’interno dell’unione monetaria espandendo le proprie
economie.
IV.
La Germania è un Paese mercantilista?
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24. Il mercantilismo monetario tedesco
(Carl-Ludwig Holtfrerich- Uno dei maggiori storici economici tedeschi). La politica
economica tedesca si orienta dagli anni ‘50 a lasciar fare il keynesismo agli
altri Paesi (con associata maggiore inflazione) sì che essi importino di più
dalla Germania resa competitiva dal rigore interno che dà luogo a un cospicuo surplus
esportabile.
Si tratta di una palese ammissione ufficiale di
violazione delle regole del gioco di un sistema di cambi fissi - allora di
Bretton Woods, successivamente nello SME e nell’euro. Il problema dell’economia
europea (e globale) è la Germania (non l’Italia).
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Wilhelm Vocke della Presidente Bank
deutscher Lander (poi Bundesbank):
“you will see, with satisfaction, that we have
consistently remained below them [the other countries’ inflation rate]. And
this is our chance, that is decisive, for our currency and especially for our
exports. Raising exports is vital for us, and this in turn depends maintaining
a relative low price level and wage level …As I have said, keeping the price
level below that in other countries is the focal point of our efforts at the
central bank, and it is a success of those efforts. That should be born in mind
by those who say to us: your restrictive measures are too tight, are no longer
necessary” (citato da Holtfrerich, 1999: 345).
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Ludwig Erhard :
“A great opportunity for the future of German exports has arisen out of
the current situation. If, namely, through internal discipline we are able to
maintain the price level to a greater extent than other countries, our exports
strength will increase in the long run and our currency will become stronger
and more healthy, both internally and with respect to the dollar” (citato da
Holtfrerich, 1999: 345).
V.
Le doppie morali e le memorie corte
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25. Esempi di doppia morale (1) Il debito
pubblico italiano aumenta dal 2008 (figura). Una delle cause dell’aggravamento
del debito italiano è nel mancato intervento della BCE a sostenere i titoli di
Stato italiani e nelle misure di austerità che il Paese dovette assumere (che
fanno diminuire prodotto ed entrate fiscali).
Adalbert Winkler professore della Frankfurt
School of Finance & Management denuncia come il governo tedesco e i suoi
economisti ordoliberisti abbiano da un lato trasgredito al “principio di
responsabilità” (liability principle) quando si trattò di salvare le banche
tedesche nel 2008 attraverso gli aiuti pubblico diretti, per poi cambiare
atteggiamento quando si trattava di fare lo stesso con i debiti sovrani dei
partner europei. Quando Draghi è intervenuto nel 2012 il taxpayer tedesco non ha pagato nulla.
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26. Esempi di doppia morale (2) La storia
del (primo) “salvataggio” della Grecia nel maggio 2010 è stranota: la Deutsche
Bank e le altre grandi banche tedesche (e francesi) erano state protagoniste
degli eventi che portarono alla crisi finanziaria americana. Le banche tedesche
non potevano subire un ulteriore colpo.
Ma una volta messe in salvo le proprie banche,
nel 2012 il governo tedesco ritornò inflessibile sul principio di
responsabilità sul debito pubblico greco che le banche (greche) (e soprattutto
il popolo) pagarono duramente.
Un istituto di ricerca di Berlino che si è
chiesto dove siano finite i soldi dei salvataggi alla Grecia, e la risposta è:
a restituire i debiti e pagare gli interessi (si indovini a chi?).
Nel caso della Grecia si chiamarono gli altri
Paesi europei a pagare il conto che i greci avevano con le banche tedesche.
l’Italia contribuì con 10 miliardi di euro, per poi partecipare ai successivi
piani di “aiuti” a Grecia e altri Paesi periferici con aggravi notevoli per il
bilancio pubblico.
Ma dopo essere stata chiamata a salvare le
banche tedesche, l’Italia veniva lasciata indifesa di fronte all’attacco dei
mercati finanziari
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Altri esempi di doppia morale.
-
Le banche tedesche hanno continuato a godere di un
trattamento preferenziale da parte delle autorità europee, vigilanti sulle banche
italiane che svolgono il tradizionale ruolo creditizio verso famiglie e
imprese, distratte verso le grandi banche tedesche che operano prettamente nei
mercati speculativi
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-
La fuga dei capitali verso i titoli sovrani ritenuti
più sicuri consentì al governo tedesco simmetrici risparmi di spesa che un
istituto ufficiale tedesco ha quantificati in 100 miliardi fra il 2010 e il
2015.
-
Le esportazioni tedesche hanno beneficiato dell’euro
debole (in generale uno dei vantaggi della Germania di condividere la moneta
con Paesi più fragili è di evitare un super-DM).
La Germania ha sistematicamente guadagnato,
prima, durante e dopo la crisi. Forse è il momento di riflettere su questo?
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27. Dulcis in fundo: i Trattati
asimmetrici. E’ fin troppo facile insistere sulla ripetuta
violazione tedesca del limite fissato dai Trattati (Six pack) ai surplus
esterni – il saldo delle partite correnti del 6% del PIL è peraltro un limite
molto favorevole alla Germania, i deficit sono infatti puniti se superano il 4%
e i debiti netti il 35%, mentre nessuna penalizzazione è prevista per i crediti
netti.
Queste asimmetrie sono una palese conferma che
l’unione monetaria europea si basa regole del gioco a dir poco parziali.
Gli economisti sanno che Keynes si batté a
Bretton Woods perché fossero i Paesi con persistenti surplus a essere
penalizzati, non quelli in disavanzo (ma si sa, Keynes è un immorale).
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28. Le contro-obiezioni degli economisti
tedeschi.
Gli economisti tedeschi giustificano in vari
modi il surplus commerciale. Uno è l’invecchiamento della popolazione per cui
la Germania è legittimata ad accumulare crediti verso l’estero. Si può tuttavia
obiettare che (a) l’invecchiamento riguarda tutti i Paesi (a meno di non
pensare ad anziani di serie A e anziani di serie B); (b) il perseguimento di
cospicui avanzi commerciali è un scelta dell’immediato dopoguerra quando il
problema dell’invecchiamento non c’era. Si tratta dunque di una
spiegazione molto ad hoc.
Una seconda obiezione è che Berlino non controlla
il surplus commerciale. Si fa qui finta di ignorare le relazioni
macroeconomiche, molto precise, che legano i saldi esteri ai saldi interni
pubblico e privato.
Un governo intenzionato a ridurre un surplus
esterno può ad esempio portare in passivo bilancio pubblico. Il pareggio di
bilancio della Germania è una violazione delle regole del gioco di un’unione
monetaria.
Inoltre accumulare crediti portando le economie
debitrici sull’orlo del fallimento non è una strategia molto saggia.
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29. Memorie corte (1). Nel 1953 fu
firmata a Londra la temporanea sospensione del 50% del debito estero
tedesco fino a una eventuale riunificazione . L’origine del debito era nelle
riparazioni di guerra imposte dal Trattato di Versailles e dei successivi
debiti contratti dalla Germania fino alla moratoria sul debito nel 1931, alla
successiva sospensione nel 1932 e, infine, al blocco dei pagamento da parte del
regime nazista. Il pagamento del primo 50% fu completato nel 1983, dunque con
una ampia dilazione. Come da accordi, il restante 50% fu versato all’atto della
riunificazione, ma a quel punto l’onere economico su un prodotto nazionale
enormemente cresciuto era irrilevante. Il caso è stato spesso evocato, e per
evidenti ragioni, soprattutto dai greci, ma non solo.
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30. Memorie corte (2) La salita
al potere dei nazisti, ebbe molto a che fare col rifiuto americano e francese
di espandere le loro economie (disubbidendo così alle regole del gioco del gold
standard) costringendo la Germania alla deflazione.
Ricerche recentissime confermano come la
vittoria di Hitler sia stata dovuta alle politiche di austerità fiscale del
Cancelliere Brüning che spostarono il voto della classe media verso i nazisti
con la loro piattaforma anti-austerità (i lavoratori disoccupati votavano
invece per i comunisti).
L’iperinflazione del 1923 poco ebbe a che vedere
con l’ascesa del nazismo. Studiosi tedeschi e non avanzano l’ipotesi che il
nesso iperinflazione-nazismo sia una “invenzione della memoria” opera della
Bundesbank.
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31. Memorie corte (3). L’anti-Keynesismo
tedesco sembra incomprensibile alla luce delle posizioni che Keynes assunse
alla conferenza di Versailles, premonitrici delle disgrazie che le misure
punitive imposte al popolo tedesco avrebbero avuto su destini dell’Europa
VI.
Il nazionalismo degli economisti tedeschi
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32. Gli economisti tedeschi: un mondo a
parte? A parte alcune eccezioni, sì. Gli economisti tedeschi non si identificano
necessariamente con l’ordoliberismo (OL), ma è indubbio che quest’ultima ideologia
sia piuttosto influente sul modo di pensare di economisti, giornalisti e
politici tedeschi
Dubbie credenziali democratiche dell’OL (il
mercato domina sulla democrazia sociale, comunque quest’ultima funzionale al
mercato)
Gli economisti tedeschi hanno fiducia estrema
nei meccanismi di mercato quali affermati dalla teoria neoclassica dominante.
Sebbene questa fiducia non li distingua dal tradizionale pensiero liberista
anglosassone, quest’ultimo è certamente più pragmatico e delega a un ipotetico
“lungo periodo” certe virtù del mercato ammettendo in pratica una gestione più
keynesiana della politica economica
• Forte
nazionalismo degli economisti tedeschi: ridurre i surplus non è nell’interesse
tedesco (ma la Merkel accusa gli americani di reagire col protezionismo!) .
Non ho nulla da obiettare, ma è un punto di
vista politico: gli economisti tedeschi difendono il diritto della Germania di
violare le regole del gioco di una unione monetaria.
Conclusioni
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33. La Germania non offre leadership. Le regole
del gioco impongo che il Paese più forte eserciti leadership politica ed
economica assicurando soprattutto il sostegno della domanda aggregata
(Kindelberger 1973). In Europa la potenza dominante non solo non agisce da
“egemone benevolo” e fissa regole vessatorie per i Paesi più deboli, ma ha
anche una doppia morale.
Essere potenza egemone vuole dire aver
assimilato i valori della romana humanitas: precisione e rigore, ma
flessibilità; severità ma comprensione e tolleranza.
Non sono qui, tuttavia, per
incolpare la Germania di nulla. La Germania fa apertamente i
propri interessi.
Se qualcuno incolpo è la classe politica
italiana che in nome di una illusoria importazione della “disciplina tedesca”
ha condotto il paese in una trappola di cui oggi molti si pentono
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34. Un futuro fosco (almeno per
l’Italia). Il futuro dell’Eurozona non promette nessun
cambiamento se non nella direzione di un irrigidimento dell’attuale assetto
istituzionale. Le proposte di Macron, dell’accordo Merkel-Schulz, il documento
dei 14 economisti franco-tedeschi sono surreali e lontane anni luce da
un assetto keynesiano e progressista dell’Europa. Le proposte sono volte a un
irrigidimento ulteriore delle regole fiscali da affidarsi a organismi
tecnocratici e all’arbitrio dei mercati (Bofinger 2016).
SLIDE 44
35. Per concludere, non penso
che dobbiamo criticare singoli Paesi per le difficoltà dell’euro. Probabilmente
i tempi non erano maturi, e i Paesi europei troppo differenti fra loro, persino
per una unificazione monetaria meglio disegnata. Purtroppo uscire dall’euro è
un passaggio difficile per l’Italia a meno di una forte comprensione da parte
dei partner europei (che però non mi aspetto). La crisi non è mai passata in
Italia, se essa dovesse aggravarsi come nel 2012 penso (e spero) che il Paese
non accetti un nuovo governo Monti imposto dall’Europa.
Vorrei dare atto al prof. Cesaratto di avere portato a Freiburg le proprie tesi (che conosciamo bene, e che per quanto mi riguarda condivido) senza fare sconti agli ospiti tedeschi. Quantomeno, questi ultimi si saranno resi conto che stavolta non avevano a che fare col solito intellettuale italiano grato alla Germania di "insegnarci la virtu". Grazie professore.
RispondiEliminaGrandissima presentazione . Complimenti prof Cesaratto. Lei ha fatto un riassunto dei storia e un ottimo escursus di Economia Politica. Complimenti per la lucidità. tristezza per l'Italia (io scrivo cose analoghe da molti anni ma saremo un centinaio di amici a condividerle) spero che le sue conclusioni si avverino e che alla prossima crisi avremo un governo che non si piega alla svendita del nostro paese incolpando noi stessi dell'errore.
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