"In breve, Willem Buiter sostiene che i mercati si trovano a livelli grotteschi di sopravvalutazione, in buona parte grazie alle politiche monetarie ultra-accomodative delle banche centrali. Ora che queste ultime stanno considerando di cessare, quando non ritirare, tali stimoli monetari, i mercati sono a rischio di significative correzioni (cali). La mia presentazione si riferisce al caso italiano, nel quale masse enormi di risparmiatori in fuga dal rischio di bail-in delle loro banche tradizionali (che ora possono fallire) si rifugiano nella "sicurezza" del risparmio gestito (si vedano le classifiche dei risparmi che affluiscono mensilmente agli operatori di tale settore) e si vedono assegnare attività finanziarie indiscriminatamente sopravvalutate. In altre parole, ci troviamo di fronte ad una sostituzione del rischio di controparte col rischio di mercato, con la benedizione delle banche centrali (BCE e BCN [banche centrali nazionali]). Per una riflessione più organica rimando al breve testo allegato. "
A proposito del breve scritto di Giancarlo, credo che la BCE abbia condotto col QE il solo gioco in città possibile, in assenza della politica fiscale, per dare respiro, in particolare, all'economia italiana (e dunque alle banche). Andrebbe dimostrato, magari sulla base di qualche studio, che la politica dei bassi tassi abbia inciso davvero così negativamente sulla redditività del sistema bancario. Ma Giancarlo ne sa molto più di me...
I lettori sapranno anche dello studio della Banca d'Italia sulle attività finanaziarie "opache" in mano soprattutto a banche d'Oltralpe (circa 6,8 trilioni di euro, considerando attivi e passivi), una frecciata pesante a chi in Europa punta dito solo sui crediti deteriorati (NPL) delle banche italiane: "L’analisi evidenzia che tali strumenti presentano alcune caratteristiche in comune con gli NPLs (illiquidità, opacità) e che anche i relativi rischi potrebbero essere considerati comparabili".
BANCHE ITALIANE E MODELLO DI BUSINESS
Leggende e realtà
di Giancarlo Bergamini
Bancocentrismo.
Tutti sappiamo che il modello pre-crisi era focalizzato principalmente sull’
erogazione dei prestiti - anche dovuto alla scarsa dotazione di mezzi propri di
buona parte delle imprese italiane (circostanza alla quale non è estraneo un
regime fiscale che tende a favorire l’indebitamento rispetto al capitale di
rischio).
Effetti devastanti
della crisi sull’attività delle imprese. Le istituzioni
dell’eurozona sono in buona parte responsabili
dell’avvitamento verificatosi nell’attività
economica del Paese: se fossero intervenute prontamente e concretamente ai
primi segni del precipitare della cosiddetta “crisi del debito sovrano” (cioè
sin dal 2010) con quel “whatever it takes” pronunciato da Draghi due anni dopo
e compiutamente implementato solo nel 2015, è plausubile ritenere che la crisi
non sarebbe stata così grave e prolungata. L’Italia è stata invece costretta a
praticare una politica di restrizione fiscale mentre era ancora in corso una
stretta creditizia dovuta al prosciugarsi del canale di finanziamento
interbancario; la conseguente, inevitabile recessione ha prodotto il
concomitante ingigantirsi dei crediti deteriorati (alla perdita di circa un
quarto del patrimonio industriale corrisponde grosso modo una pari incidenza
dei crediti inesigibili sul totale dei prestiti) nei bilanci delle banche
commerciali.
A loro volta, le politiche
di allentamento monetario (QE e tassi a zero o negativi), messe in pratica
con cinque anni di ritardo e quando ormai gli attivi bancari erano oberati
dall’enorme macigno dei crediti ammalorati, hanno privato le banche dell’unico
modo che hanno di assorbire le perdite accumulate, la possibilità di realizzare
sull’intermediazione creditizia profitti sufficienti ad effettuare i necessari
congrui accantonamenti.
Enter
il fatidico “nuovo modello di business”
predicato in primis dalla BCE ** (Draghi in testa). Le banche dovrebbero fare
minore (anzi, per niente) affidamento sulla tradizionale erogazione di prestiti
e diventare attori nei mercati finanziari, dovrebbero in altre parole adottare
un modello più affine a quello delle investment banks, adoperandosi per
accompagnare le imprese nella raccolta di fondi sul mercato in forma di equity
e bonds (più o meno mini), facendo consulenza nelle operazioni di mergers &
aquisitions e altre simili piacevolezze.
Tutto chiaro quindi? Tutto chiaro un corno! Tanto per
cominciare si parla di modello di
business delle banche come se questo non implicasse un analogo shift nel comportamento delle imprese,
le quali ultime, lato passività, si portano dietro da sempre un atteggiamento
bancocentrico. Ebbene, di punto in bianco, quando le banche non sanno che pesci
pigliare per alleggerirsi dei fatidici NPL, voila,
si cambiano le carte in tavola e quello che poteva essere un percorso virtuoso
se intrapreso gradualmente e di comune accordo diventa improvvisamente una
procedura d’urgenza perchè si è scoperto che il prestito bancario è diventato
un frutto avvelenato (salvo poi lamentarsi che i fondi affluiti gratuitamente
alle banche non traspirano all’economia reale).
In altre parole, dopo aver dato un contributo determinante
alla demolizione del sistema bancario italiano, le stesse ineffabili
istituzioni (quelle europee in testa – Commissione Europea, BCE, EFSF, ESM e
così via acronimando – seguite dai loro mansueti esecutori italiani) ora
invitano le banche superstiti a cambiare “modello di business”!
Invece di esortare le
banche a “cambiare discorso” sarebbe opportuno mettere in pratica tutte le
misure di politica economica idonee a sostenere la crescita (che non significa
necessariamente mantenere indefinitamente tassi a zero), così da riportare in
bonis l’attività creditizia e consentire alle banche di risanare
progressivamente i propri bilanci.
Ho lasciato l’altro stakeholder, il risparmiatore, per ultimo perchè pare proprio che i suoi
interessi non stiano a cuore a nessuno. Sicuramente non alle autorità europee
che non si sono fatte scrupolo di gettarlo nelle fauci dei bail in, nè a quelle
italiane (a partire da Bankitalia) che non hanno “visto” il danno che la
normativa europea avrebbe inflitto alla tutela del risparmio (vide art. 47 Costituzione). Risultato? I
risparmiatori, comprensibilmente terrorizzati dal monito che ora le banche
possono fallire, si stanno trasferendo in massa (un vero e proprio esodo
biblico) verso i campioni del risparmio gestito. Tutto bene? Tutto bene un corno!
Le masse enormi di fondi riposizionate sui mercati finanziari vanno ad
alimentare l’acquisto di attività che si trovano a livelli grotteschi di
sopravvalutazione, livelli determinati in buona parte dalle misure di
allentamento monetario di cui parlavo. Sarebbe veramente paradossale che i
milioni di ignari risparmiatori portatisi in salvo dalla Scilla del bail in
bancario si trovassero fra un anno o due a schiantarsi su Cariddi per il crollo
dei mercati finanziari (dove cali del 50% si sono verificati meno di dieci anni
fa)! I risparmiatori sono perfettamente informati (i “campioni del risparmio
gestito” in questo hanno fatto veramente un buon lavoro) dei rischi di bail in;
quanto siano consapevoli di quello che rischiano coi prodotti finanziari che
vengono loro dispensati è tutto da vedere...
** Occorre dare atto ai
regolatori di una certa coerenza fra inviti pronunciati e normative realizzate.
Agli attivi delle Investment Banks, anche quelli meno liquidi, viene assicurato
un trattamento più favorevole rispetto agli NPL delle banche commerciali in
termini di assorbimento di capitale di vigilanza.
©
Giancarlo Bergamini, 2017
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