Un articolo su il manifesto
L’economia
critica in programma
Sergio Cesaratto e Stefania Gabriele
Che fine hanno fatto gli economisti di sinistra?
Qualcosa del genere qualcuno si chiedeva su il
manifesto di qualche secolo fa. Nonostante il grande sforzo profuso in
questi anni sul web, in e-book (come “Oltre l’austerità”) e assemblee, il loro
impatto sui programmi elettorali delle formazioni della sinistra appare assai
lieve. Per non parlare dell’idea di portare in Parlamento le competenze
necessarie per condurre a livello adeguato la battaglia contro l’austerità e
per un’Europa diversa. Per questi economisti critici non giungono certo come
una novità le conclusioni a cui arriva il working
paper, firmato nientemeno che dal capo della ricerca del FMI Oliver
Blanchard e richiamati da il manifesto di
giovedì, per cui gli effetti delle politiche di austerità sulla crescita sono
state sottostimate. Questa è gente che ha sempre sbagliato tutto, sin da quando
Blanchard e Giavazzi guardavano ai flussi di capitale dai paesi europei più
ricchi verso la periferia come un fenomeno che ne avrebbe sostenuto la crescita,
e non come l’alimento di bolle immobiliari e di una crisi del debito. Eppure
l’esperienza dei paesi emergenti doveva insegnarglielo. Eppure sul testo di
Blanchard-Giavazzi i nostri studenti continuano a essere indottrinati. Eppure
il PD candida Giampaolo Galli come per ribadire una sorta di allineamento del
partito all’economia politica “volgare” e di prossimità ai gangli dominanti del potere
economico.
Al di là dell’esito elettorale, sono Monti e quest’Europa
che rischiano di dettare l’agenda. Dietro il fumo, la sostanza dell’Agenda
Monti è un progetto di rilancio del paese attraverso la riduzione di salari e
diritti e dello stato sociale. Una sorta di ritorno agli anni ’50, ma in un contesto
internazionale che, a differenza di allora, molto difficilmente trainerà una
ripresa delle esportazioni italiane. Alla ricerca di un accreditamento
internazionale e di un ravvedimento operoso di quella che il PD amabilmente
chiama la “famiglia socialista europea”, l’agenda Bersani può definirsi come un
“togli qui e metti lì”. Una modesta agenda di redistribuzione di risorse che
vanno scemando a fronte dell’austerità e che assomiglia al raschiare il fondo
del barile. La centralità che l’opposizione all’austerità e la questione
europea hanno assunto nelle posizioni espresse dagli esponenti di Cambiare si può rappresenta invece un
fatto importante, e su questo Rifondazione
è certamente solidale. Al momento, tuttavia, le dichiarazioni economiche di Antonio
Ingroia appaiono principalmente riferirsi ai poteri taumaturgici della lotta
alla corruzione e alle mafie. Che questa sia una priorità non v’è dubbio, così
come quella del riequilibrio dell’imposizione fiscale e della lotta
all’evasione. Ma l’idea che il recupero dei capitali mafiosi, o un’efficace
lotta alla corruzione portino risorse e investimenti esteri sufficienti alla
ripresa è a dir poco ingenua. E comunque è un lavoro di lunga lena. Manca
dunque nei programmi del PD (e di SEL) e per ora in quello di Ingroia un
puntuale riferimento a un quadro di politiche europee volte alla crescita. L’auspicio
è che questo lavoro cominci, possibilmente non come sgangherate liste della
spesa con proposte più o meno fumose, ma con un convincente sforzo di
approfondimento, anche tecnico, che dovrebbe ben andare oltre le elezioni. Una
proposta solo menzioniamo (e risale all’Appello
degli economisti del 2006): un impegno della BCE a diminuire i tassi ai
livelli pre-crisi - la BCE lo può fare- può essere scambiato con quello a
stabilizzare il rapporto debito pubblico/Pil, sì da tranquillizzare Germania e
mercati che non si tratta di populismo. Se condotta a livello europeo, tale
politica renderebbe possibili politiche fiscali di sostegno della domanda
aggregata e la ripresa. Reuters cita
un sondaggio che dà la Linke tedesca al
9%, dunque forza e coraggio.
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