Su richiesta de il manifesto (pubblicato 21 dicembre).
La solidarietà-panettone di
Benedetto XVI°
Sergio Cesaratto
In un articolo natalizio per il Financial
Times, Papa Benedetto XVI – Vescovo di Roma e scrittore come si premura di
presentarlo il quotidiano – si pone la domanda: “Alla fine di un anno che ha significato
difficoltà economiche per molti, che cosa possiamo apprendere dall’umiltà, la
povertà, la semplicità della scena della natività?”. Il Vangelo dovrebbe
ispirare, risponde il Pontefice, il riconoscimento che “Dio creò l’uomo” e
questo spronare i cristiani nel loro “coinvolgimento negli affari mondani –
siano essi nel Parlamento o nella borsa per “combattere la povertà e “lavorare
per una condivisione più equitativa delle risorse della terra”. I cristiani si
oppongono all’”avidità e allo sfruttamento” poiché solo “generosità e amore
disinteressato” conducono alla “pienezza dell’esistenza”. Sono naturalmente
parole impegnative anche per un non credente (come chi scrive) e nel loro aspetto laico – l’insopprimibile
preminenza del rispetto morale e materiale
per ogni singolo essere umano – punto di partenza per ogni donna o uomo di
buona volontà. Come scrisse Croce nel famoso “Perché non possiamo non dirci
‘cristiani’”, la rivoluzione cristiana è un evento unico nella storia
dell'umanità perché essa “operò nel centro dell’anima, nella coscienza morale”.
Visioni più materialistiche possono naturalmente portare a guardare all’impeto solidaristico
come a una possibile strategia di sopravvivenza della specie, o del proprio
gruppo sociale.
Sia come sia, la questione è nel come l’impeto morale si traduce in
azione. Qui il messaggio ammaliante del Pontefice si fa sfuggente, se non
ambiguo. L’articolo chiarisce, infatti, sin dal suo incipit “Date a Cesare
quello che è di Cesare” come il messaggio cristiano si ponga su un piano
diverso e più alto di quello del potere mondano – a delimitare le sfere di
competenze reciproche sì da tutelare la propria. L’impegno mondano dei cristiani, inoltre,
dovrebbe “trascendere ogni forma di ideologia”. Ma una volta sfuggiti da ogni
impegno alla costruzione di un diverso assetto sociale, che cosa rimane
dell’evocata solidarietà per i più deboli? Temiamo quasi nulla, tranne delle
espressioni panettone volte a blandire le anime di chi avrà banchetti natalizi
succulenti, e magari a lenire un po’ quelle di che ha l’angoscia del futuro. Un
po’ poco, e anche reazionario perché la carità non educa ai diritti. Che questo
papa non provi indignazione di fronte a una società che potrebbe dare a tutti nel
rispetto del creato e fa l’opposto, ne mostra i profondi limiti intellettuali e
morali. E inoltre: come si concilia la trascendenza del messaggio della Chiesa
con l’appoggio sfacciato che la curia italiana dà al cartello elettorale
catto-liberista raccolto attorno all’”Agenda Monti”? C’è il sospetto che tale
agenda sia ben funzionale all’aspetto più retrivo del “Date a Cesare”: a voi
potere e finanza, a noi la carità sulle macerie dello stato sociale (e poi
tutti a cena assieme).
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