Abbattere
il rapporto debito/PIL, anzi stabilizzarlo. Per crescere.
Sergio
Cesaratto
Come molti ritengo che il programma
M5S-Lega abbia luci ed ombre.
Gli effetti redistributivi a favore dei più
benestanti della flat tax sono inquietanti (e sennò perché la si adotta), così
come gli elementi di assistenzialismo del reddito minimo; prospettare la
chiusura dell’Ilva è perlomeno irresponsabile; il tema della giustizia in
chiave repressiva e così via. In ogni caso tutto questo costa molto, inclusa la
misura più benvenuta, quella di non spremere la vita delle persone sino a età
in cui è più giusto si riposi. Può darsi che per ragioni propagandistiche (o
pre-elettorali) i due partiti abbiano preferito anteporre obiettivi apparentemente
troppo ambiziosi all’individuazione delle politiche macroeconomiche volte a consentirli,
o forse si ritiene l’opinione pubblica incapace di comprendere discorsi
economici complessi. Sia come sia, qual è dunque lo spazio di manovra per il
nuovo governo? Nel quadro delle prescrizioni di politica economica che ci
vengono dall’Europa tale spazio è nullo (o limitato al famoso zero virgola): lo
sarebbe per qualsiasi governo intenzionato a tirar fuori il Paese dalla crisi.
Al centro delle prescrizioni europee c’è la riduzione del rapporto debito
pubblico/Pil. Il documento programmatico (DEF) predisposto del governo uscente
ritiene che la prosecuzione del
percorso di riduzione del disavanzo porterà alla diminuzione del rapporto
debito/PIL dal 131,8% del 2017 al 122 per cento del PIL nel 2021 attraverso avanzi di bilancio primari (avanzi al
netto della spesa per interessi) che dall’1,9% del Pil nel 2018 salirebbero
progressivamente al 3,7 % nel 2021, implicando dunque un’austerità crescente.
Tuttavia, l’esperienza e la letteratura economica (ultimamente Boitani
e Perdichizzi della Cattolica)
mostrano ampiamente come abbattere il debito a colpi di austerità fiscale sia
una controproducente fatica di Sisifo. Recentemente altri studiosi come Bagnai, D’Antoni, De Novellis e Lenzi e persino il FMI hanno ricordato
come la riduzione di quel rapporto dipende invece da due grandezze: i tassi di
interesse che si pagano sul debito (che incidono sulla crescita del numeratore)
e il tasso di crescita dell’economia (che incide sul denominatore). In verità il
numeratore lo si abbatte anche coi surplus primari, ma questi incidono
negativamente sulla crescita. Meglio allora una politica di rientro basata su bassi
tassi di interesse e robusti tassi di crescita. E poiché i tassi di crescita
implicano il ripudio dell’austerità fiscale, si devono perseguire disavanzi primari, non surplus. Se
l’obiettivo diventasse poi quello di stabilizzare il rapporto debito/Pil (non
ridurlo), la crescita possibile sarebbe ancora maggiore. Questo dovrebbe essere
l’obiettivo di un nuovo governo orientato a far recuperare al Paese il
benessere perduto e ad estenderlo a chi non ne ha mai goduto: stabilizzare il
debito e crescere. La memoria dei lettori e lettrici di questa rivista risalirà
alla Lettera
degli economisti del giugno 2010 dove questo obiettivo era già
indicato con chiarezza.
Il problema è che il nuovo governo non
sarebbe tuttavia autonomo in queste scelte: i tassi dipendono fondamentalmente
da quello che fa (o non fa) la BCE. Le scelte fiscali sono vincolate dai
parametri europei. Ma la novità vera del nuovo governo è che si dichiara disponibile
a sfidare l’Europa sulle politiche macroeconomiche, e che si è dotato (soprattutto
la Lega) delle competenze economiche necessarie per sostenere le proprie
scelte. La sfida va affrontata in primis con la proposta ragionevole sopra
avanzata. L’impegno a stabilizzare il rapporto debito/Pil potrebbe essere persino
accompagnato da clausole di salvaguardia (che scattano in caso di violazione). Circa
i tassi di interesse la proposta che la BCE si tenga in pancia i titoli di
Stato italiani (rinnovandone l’acquisito man mano che scadono) è del tutto
ragionevole ed è stata avanzata già nel 2013 da uno dei più noti economisti
europei, Wyplosz (oltre che più
recentemente da Boitani
e Minenna). Il proseguimento della politica monetaria espansiva e
una rassicurazione della BCE sui titoli di Stato italiani consentirebbero
all’Italia una ulteriore discesa dei tassi. Non nascondiamoci che, a quel
punto, a non capire potrebbero essere non già i temuti mercati, quanto il
partner europeo più influente, la cui classe dirigente unisce arroganza a ottusità.
E’ la Germania che deve decidere se intende rendere l’euro sostenibile o meno!
Si sente spesso parlare da pulpiti
disinformati che solo un’Italia obbediente alle regole potrebbe avere voce in
capitolo nelle riforme europee in discussione. Purtroppo delle timide proposte
di Macron per una minimo di politica fiscale federale non rimane più nulla a
fronte dei nein tedeschi, ed è un bene che non si parli delle proposte tedesche
volte a lasciare il debito pubblico italiano alla mercé dei mercati: l’Europa
non è la priorità tedesca. Il nuovo ministro delle finanze tedesco, il
socialista Scholz, ha presentato un bilancio fiscale basato sullo schwarze Eins, un avanzo di bilancio, in
palese violazione delle regole di un’unione monetaria sostenibile che
richiedono che il Paese leader sia traino e non zavorra (come sostenuto nel mio
nuovo
libro). La medesima Germania che ci trascina allo scontro sui
dazi con Trump. Persino su proposte ragionevoli uno scontro duro con l’Europa è
probabile. Per quello che conta, è tuttavia plausibile che a fronte di proposte
progressiste più nette da parte del nuovo governo, un consenso di una parte
significativa della comunità internazionale degli economisti non verrebbe a
mancare.
Chiarissimo, come sempre.
RispondiEliminaLa ringrazio di cuore: negli ultimi tre anni ho letto il suo blog e le bellissime Sei Lezioni di economia che sono stato un balsamo contro i luoghi comuni. Purtroppo la leggeranno in circa 7.000 persone, mentre in TV ì, in questi giorni di caos e dilettantismo, sfilano pensosi e accigliati i vari giornalisti, di diverse opinioni politiche, ma tutti accumunati da una caratteristica incontestabile: capire poco o nulla di economia politica.
Niente di male, se non che a sentirli vi sono milioni di persone.
Per il resto leggo molti civili bocconiani sui giornali per i quali, non mi stupisco, spesa pubblica e intervento dello stato sono tabu. Se non altro scrivono in buon italiano.
Ho votato 'Potere al popolo' perché il PD fa politiche di destra spacciandosi per difensore del popolo.
Qualcuno ha cuore chi i risparmi NON li ha?
Grazie
Marco Grilli C.
Bologna