Domani (venerdì 30 settembre) il manifesto ha promesso di pubblicare un articolo a più firme (incluso il sottoscritto) che risponde all'allarmismo del prof. Lunghini circa la rottura dell'euro e la sua ineluttabilità. Intanto alcune mie considerazioni.
PS a breve il primo Post che segue al libro: Conoscenze necessarie 1: Il vincolo estero è irrilevante, anzi fondamentale.
Hot€l California
di Sergio Cesaratto
Il problemi che solleva il prof. Lunghini nei
riguardi di una rottura dell’euro sono molto importanti e vanno discussi sia
sotto il profilo quantitativo che storico-politico. Cominciando da quest’ultimo
aspetto, che è quello più rilevante, Lunghini esamina il caso di un’uscita
unilaterale, “a freddo”, del nostro paese. Quella della rottura unilaterale è
naturalmente solo una delle possibilità.
Un’altra potrebbe essere quella che
l’Hotel California in cui si entra ma non si esce, secondo la metafora del
professore, prenda fuoco, per cui certamente bruciacchiati si debba scappare
fuori un po’ tutti. Ma la stessa uscita unilaterale non potrà che risultare dall’incendio
nella stanza dove alloggia il nostro Paese, probabilmente non appiccato da
qualche sconsiderato economista, ma piuttosto da una grave crisi bancaria che,
dati gli attuali meccanismi europei, porti qualche milione di risparmiatori in
piazza. Certo, i pompieri europei in un qualche modo arriveranno con dei
prestiti e qualche condizionalità in più sul bilancio pubblico. Ma questo
potrebbe portare a ulteriori proteste popolari. O magari no. Ma se accadesse, un
governo, metti a guida 5 Stelle, potrebbe essere tentato di chiedere alla
Germania una sospensione della partecipazione italiana alla moneta unica. Ma
anche qualche stanza contigua potrebbe prender fuoco, per esempio quella
francese, se madame Le Pen decidesse di fare i bagagli dimenticandosi la candela
accesa. O, perché no, potrebbe essere il gestore tedesco ad andarsene, stanco
del chiasso che viene dal piano sud (senza dimenticare di bruciare tutto,
secondo abitudine). Oh, una responsabilità di qualche scriteriato economista ci
sta sempre, per esempio per aver suggerito ai risparmiatori che il fallimento
delle banche non è dovuto alla corruzione bensì alle politiche europee e alla
perdita di sovranità monetaria, o che l’euro costituisce un attacco alla
Costituzione ben più grave di quello della Boschi. Ma non credo che il prof.
Lunghini ci stia suggerendo di nascondere queste verità. O no? Perché, per come
la mette, il professore sembra suggerire che sarebbe bene non dir nulla alla
gente, se non che l’euro è un destino ineluttabile che ci meritiamo, in modo non
suscitare cattive idee. E invece questi scriteriati economisti instillano l’avventurismo
nelle masse, lontani dalla tradizionale responsabilità europeista della
“sinistra”, invece di educarle alla remissione e alla cristiana pazienza.
A mio avviso, è dunque sbagliato collocare la
tematica della rottura dell’euro fuori da un contesto storico-politico in cui
un’eventuale break-up si collocherebbe, quando tutto verrebbe rimesso in
discussione in un quadro internazionale non necessariamente ostile, dato l’interesse
generale al ripristino della stabilità. Il prof. Lunghini è purtroppo
preoccupato a prescindere, avendo fondamentalmente timore che l’Italia torni a
qual disordine monetario stile anni settanta di cui, diciamocelo, proprio in
virtù della cara moneta ci si era dimenticati. Scriteriati economisti costoro
che vagheggiano ancora l’epoca in cui, che vuole Contessa, anche l’operaio
voleva il figlio dottore. Non ha tutti i torti il professore. Questi sciagurati
economisti hanno studiato storia economica e sanno che le monete uniche (come i
gold standard) si fanno per mortificare la lotta di classe e la democrazia.
Per rafforzare il suo monito, il professore spara
cifre e scenari da apocalisse, che verranno altrove spemtiti. Noi, inguaribili riformisti,
vogliamo credere che con una riacquistata sovranità monetaria il Paese saprà
dotarsi di istituzioni volte a conciliare conflitto distributivo, crescita e
controllo dei prezzi. Circa il debito pubblico denominato in euro – ammesso che
questa moneta ancora esista – seri contenziosi potranno sorgere. In particolare
dopo che con decisione irresponsabile l’Italia ha accettato nel 2012 una
clausola che ne può impedire la ridenominazione in una nuova-lira (almeno
relativamente alle nuove emissioni). Ma, ripeto, se si arriva a uno stadio di
rottura sarà un aprile 1945, quando si ridiscute tutto. E comunque la scelta è
politica: fra il rispetto di una “collective action clause” e la democrazia,
lei che sceglie professore? Circa il debito privato, nessun cataclisma si
verificò nel 1992 di fronte a una svalutazione del 30% (che non si vede perché
debba essere superata).
Insomma, non si può sfuggire all’impressione che il
prof. Lunghini si presti, suo malgrado, a una strategia dell’allarmismo
economico volta a tacitare le voci che possono suscitare una reazione popolare
contro l’euro/pa; che si battono per un governo che, se v’è il sostegno
popolare, persegua piena occupazione, stato sociale e istruzione pubblica con
ogni mezzo (incluso il ripristino della sovranità monetaria e un’economia di
controlli di caffeiana memoria); che non ritengono ineluttabile un destino di
incertezza per i nostri figli e nipoti.
Buongiorno professore, ho letto con piacere il suo (e degli altri suoi colleghi) articolo in risposta al prof. Lunghini. Grazie per l'atto di chiarezza, buon lavoro ed..incrociamo le dita!
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