Il manifesto mi ha chiesto un pezzo sull'Argentina. Eccolo (registrazione richiesta). Forse non sono d'accordo sulla mia stessa conclusione che fa sembrare il debito pubblico italiano a rischio default (ha prevalso il trovare una frase finale a effetto). In verità con differenti politiche europee il debito pubblico italiano sarebbe sostenibile. E fuori dall'euro potrebbe essere ridenominato in lire, cioè nella nostra moneta (per cui non si può fallire per definizione, il che non vuol dire che l'uscita sia una passeggiata). Il problema della ristrutturazione si pone per chi emette titoli del debito in moneta estera. In questo senso, rimanendo nell'euro con queste politiche un problema di ristrutturazione si potrebbe porre anche per noi e qualcuno ne ha parlato. Ma mi sembra via assai complicata.
Argentina: doccia fredda su un paese sovrano
Sergio Cesaratto
La crisi del
debito argentino riporta l’orologio della storia indietro di 13 anni. A tutti
gli effetti il default di Buenos Aires del 2001 fu l’ultimo di una serie di
fallimenti sovrani cominciata al principio degli anni 1980.
Essi furono in
genere frutto di politiche di liberalizzazione dei movimenti di capitale e di
stabilizzazione dei tassi di cambio volti a favorire prestiti esteri
considerati essenziali per accelerare la crescita. Boom effimeri sono spesso
seguiti all’indebitamento estero culminati in drammatiche crisi e feroci
politiche di austerità imposte dal Fondo Monetario Internazionale per assicurare
la restituzione del debito, sebbene con tempi più lunghi. Notoriamente lo
stesso FMI benedì l’Argentina di Menem quando negli anni 1990 perseguì la crescita-via-indebitamento
culminata nel default del 2001. Storie simili erano già accadute nel gold standard (famosa la crisi argentina
del 1890), in cui i tassi di cambio erano tutti vincolati all’oro, ma meno
percepito è che l’indebitamento estero dei paesi della periferia dell’eurozona
verso quelli centrali ha anche radici simili: liberalizzare i movimenti di
capitale e adottare una moneta unica coi paesi centrali per potersi indebitare
a costi bassi. Lo stato di semi-default in cui siamo e le politiche della
Troika li sperimentiamo sulla nostra pelle.
Fatto è che,
mentre i paesi relativamente avanzati della periferia europea si cacciavano
nella trappola della moneta unica e dell’indebitamento, dopo il 2001 nessun
paese emergente vi è ricaduto. Controllo dei movimenti di capitale e tassi di
cambio competitivi sono diventate le chiavi di volta delle politiche di questi
paesi. L’Argentina coraggiosamente pretese una rinegoziazione drastica del
debito estero a cui nel 2005 aderì il 90% dei creditori. Il cambio competitivo
e la domanda estera per i prodotti primari argentini fecero riprendere
velocemente l’economia con importanti effetti redistributivi a favore dei
lavoratori. Naturalmente non tutto è oro quello che luccica, e l’economia
argentina ha incontrato serie difficoltà negli anni recenti quando la domanda
estera è calata. Il governo ha puntato molto su politiche industriali volte a
ridurre la dipendenza dall’estero per esempio sul fronte energetico cercando di
non comprimere la domanda interna.
La decisione del giudice americano Griesa di
obbligare il pagamento integrale dei titoli del debito ai “fondi avvoltoio” che
avevano fatto incetta dei titoli della minoranza che non aderì all’accordo è
una doccia fredda su un paese che, comunque, aveva ripreso a marciare. Anche se
la dimensione del pagamento (1,3 miliardi di dollari) non è cospicua, a cascata
altri fondi avvoltoio potrebbero a quel punto reclamare la restituzione
integrale (15 miliardi), e ancora a cascata anche quel 90% dei creditori che accettò
un taglio dei 2/3 del credito, per cui la somma da pagare arriverebbe a 144
miliardi, qualcosa di inimmaginabile. Si comprende l’esitazione del governo
argentino ad adempiere alla decisione del giudice USA. Ma questo ha comportato
l’impossibilità per il governo argentino di servire regolarmente il debito
rinegoziato, e dunque il default. Tutto questo ha dell’assurdo, e persino il
governo americano si era adoperato per evitare la sentenza Griesa.
Cosa accadrà
ora? Per quanto nessun paese emergente intenda ripercorrere la via
dell’indebitamento estero, l’Argentina ha bisogno del mercato finanziario
internazionale e, dopo una fase decennale di quarantena, lentamente questo si
muoveva verso un nuovo accoglimento del paese latino-americano. L’Argentina si
vede costretta dunque a una autarchia finanziaria che può rivelarsi distruttiva
per le sue prospettive di sviluppo. Più in generale si afferma il potere della
finanza internazionale al di sopra dei diritti degli Stati e popoli sovrani.
Questo è inaccettabile. Al riguardo il FMI, che qualche autocritica l’ha fatta
(anche se, attenzione, il lupo perde notoriamente solo il pelo) ha da tempo
avanzato l’idea di una legge fallimentare che si applichi ai debiti sovrani sul
modello della bankrupt law americana
che antepone il salvataggio dell’impresa ai diritti dei creditori,
ripristinando dunque la priorità degli Stati e dei popoli nella rinegoziazione
dei debiti. E se pensiamo alla situazione corrente del nostro paese, de te
fabula narratur.
(il manifesto 1 agosto 2014)
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