venerdì 8 agosto 2014

Facili Cassandre - un articolo su il manifesto



Il manifesto, dopo qualche esitazione, ha pubblicato questo mio intervento. Mi era stato richiesto come editoriale, ma la redazione dissentiva con i contenuti. Apprezzo comunque assai che l'abbiano pubblicato come opinione. Aggiungo solo che le dichiarazioni di Draghi di ieri (giovedì 7/8) sono sbalorditive: l'Italia dovrebbe cedere praticamente tutta la sua sovranità democratica - quel poco che le è rimasta - all'Europa. Sono terrorizzati di una crisi verticale dell'Italia. Noi ci stiamo suicidando da soli con una clase dirigente imbelle. Ma attenzione. Anche una classe dirigente mediocre se sovrana (vale a dire col controllo della moneta) le cose le fa. Qui hai una classe dirigente accartocciata a parlare di tagli, da un lato, e di fantomatiche riforme dall'altro lato. Ma riforme senza i soldi sopra sono come le nozze coi fichi secchi (come si fa per esempio a riformare lo Stato, la giustizia, le carceri ecc. se non qualifichi e assumi decine di migliaia di giovani in gamba). Allora anche la crisi politica, a ben vedere, deriva dallo svuotamento dei poteri effettivi di questa classe politica che brancola così nel vuoto. Nel titolo del manifesto non mi ci ritrovo completamente (Fuori dall'euro). Io mi limito a cercare di capire come potranno andare le cose. Ma le tenteranno tutte per impedire che il Paese si trovi costretto a uscire. Cioè il commissariamento del Paese. Draghi l'ha detto, probabilmente d'accordo con la Merkel: cara Italia vi terremo dentro costi quel che costi, ma da voi comanderà la Troika (del resto l'OMT si può attivare solo con la cessione della sovranità di bilancio). Ma altro che bagagli di Fiumicino poi!

Fuori dall'euro, fuori dalla recessione (titolo redazionale)
di Sergio Cesaratto
Facili Cassandre, molti economisti eterodossi avevano giudicato troppo ottimistiche le pur modeste previsioni di crescita formulate dal governo Renzi.
Questo sulla base della semplice verità keynesiana che la crescita del prodotto dipende nel breve come nel lungo periodo dalla crescita della domanda aggregata. E nessuno aveva mostrato, tantomeno il governo, da dove tale incremento della domanda sarebbe dovuta scaturire. Questo se lo dimenticano persino alcuni economisti vicini alla sinistra quando invocano improbabili politiche industriali, impraticabili nel breve periodo e complicate - sebbene necessarie - nel lungo periodo. L’unica politica industriale efficace nel breve periodo, e presupposto di un intervento dal lato dell’offerta, è il rilancio della domanda aggregata. Come mi scriveva in una mail Antonella Palumbo, valente collega di Roma 3: “è vero che il potenziale si contrae se la domanda rimane bassa per troppo tempo e la capacità produttiva si distrugge. Ma da qui a ritenere di non avere margini di espansione ci corre. In realtà la produzione è molto elastica, e con politiche appropriate, fortemente espansive ma anche mirate a eliminare eventuali strozzature, i margini di aumento della produzione sono altissimi”. Ça va sans dire che un aumento della domanda nel breve periodo può solo consistere di un aumento della spesa pubblica. Non avrei dubbi, se fossimo un paese sovrano dotato di una propria moneta, che una svalutazione sarebbe necessaria per recuperare la competitività esterna. Con la sovranità monetaria ci siamo tuttavia svenduti la possibilità di una politica economica minimamente autonoma. Nelle condizioni attuali di un quadro europeo mantenuto recessivo dalle politiche di austerità, la sfida all’Europa di una politica di bilancio espansiva si tradurrebbe in forti disavanzi esteri, andando così soprattutto a beneficio altrui. Tale politica verrebbe probabilmente giudicata avventurista dai mercati finanziari che ci negherebbero i necessari prestiti portandoci rapidamente a una nuova crisi degli spread. Certo, potremmo almeno allinearci a Francia e Spagna che da anni non rispettano i vincoli sul disavanzo pubblico e per questo hanno risultati tanticchia migliori dei nostri. Probabilmente giocoforza lo faremo, ma si tratta di misure al margine. Sul chiacchiericcio sulle riforme, una vera buffonata, neppure merita tornare (l’abbiamo fatto recensendo per questo giornale l’ottimo studio di Maurizio Zenezini, lo trovate sul mio blog).
I mercati finanziari sono intanto in allerta. L’abbondante liquidità creata dalle grandi banche centrali e le rassicurazioni di Draghi nel famoso discorso del luglio 2012 che avrebbe difeso a tuti i costi l’euro hanno condotto a una forte riduzione degli spread. Ma con la crisi tuttora in corso potrebbe presto terminare quella che il mio amico Giancarlo Bergamini chiama l’infatuazione dei mercati finanziari per i titoli di Stato dell’Europa periferica. I segni già si sono visti ieri col balzo degli spread. E allora saranno dolori, o forse no. Forse il redde rationem con l’Europa avrà finalmente luogo. Infatti, sebbene concordi con Fassina e altri (v. il manifesto di ieri) che Renzi e Padoan non abbiano avuto né l’intelligenza né la capacità di andare in Europa con le idee chiare su cosa si dovesse veramente fare, ho molti dubbi che il fatidico pugno sul tavolo possa smuovere di un millimetro la Cancelliera tedesca e il suo impero di Stati satelliti. Né ho molta fiducia che possa sorgere un movimento sociale di opposizione tale da smuovere la situazione, sebbene appoggi in pieno il referendum sul fiscal compact, un’occasione importante. La verità è che solo un drammatico aggravamento della crisi oltre il livelli conosciuti nel 2011/2, che renda manifesta l’impossibilità di questo Paese di rimanere nella moneta unica, potrà cacciarci fuori da questo pantano. Che dio ci eviti poi la vendetta dell’impero.
Il manifesto 8/8/2014

Nessun commento:

Posta un commento