Il manifesto, dopo qualche esitazione, ha pubblicato questo mio intervento. Mi era stato richiesto come editoriale, ma la redazione dissentiva con i contenuti. Apprezzo comunque assai che l'abbiano pubblicato come opinione. Aggiungo solo che le dichiarazioni di Draghi di ieri (giovedì 7/8) sono sbalorditive: l'Italia dovrebbe cedere praticamente tutta la sua sovranità democratica - quel poco che le è rimasta - all'Europa. Sono terrorizzati di una crisi verticale dell'Italia. Noi ci stiamo suicidando da soli con una clase dirigente imbelle. Ma attenzione. Anche una classe dirigente mediocre se sovrana (vale a dire col controllo della moneta) le cose le fa. Qui hai una classe dirigente accartocciata a parlare di tagli, da un lato, e di fantomatiche riforme dall'altro lato. Ma riforme senza i soldi sopra sono come le nozze coi fichi secchi (come si fa per esempio a riformare lo Stato, la giustizia, le carceri ecc. se non qualifichi e assumi decine di migliaia di giovani in gamba). Allora anche la crisi politica, a ben vedere, deriva dallo svuotamento dei poteri effettivi di questa classe politica che brancola così nel vuoto. Nel titolo del manifesto non mi ci ritrovo completamente (Fuori dall'euro). Io mi limito a cercare di capire come potranno andare le cose. Ma le tenteranno tutte per impedire che il Paese si trovi costretto a uscire. Cioè il commissariamento del Paese. Draghi l'ha detto, probabilmente d'accordo con la Merkel: cara Italia vi terremo dentro costi quel che costi, ma da voi comanderà la Troika (del resto l'OMT si può attivare solo con la cessione della sovranità di bilancio). Ma altro che bagagli di Fiumicino poi!
Fuori dall'euro, fuori dalla recessione (titolo redazionale)
di Sergio
Cesaratto
Facili
Cassandre, molti economisti eterodossi avevano giudicato troppo ottimistiche le
pur modeste previsioni di crescita formulate dal governo Renzi.
Questo sulla
base della semplice verità keynesiana che la crescita del prodotto dipende nel
breve come nel lungo periodo dalla crescita della domanda aggregata. E nessuno
aveva mostrato, tantomeno il governo, da dove tale incremento della domanda
sarebbe dovuta scaturire. Questo se lo dimenticano persino alcuni economisti
vicini alla sinistra quando invocano improbabili politiche industriali, impraticabili
nel breve periodo e complicate - sebbene necessarie - nel lungo periodo.
L’unica politica industriale efficace nel breve periodo, e presupposto di un
intervento dal lato dell’offerta, è il rilancio della domanda aggregata. Come
mi scriveva in una mail Antonella Palumbo, valente collega di Roma 3: “è vero
che il potenziale si contrae se la domanda rimane bassa per troppo tempo e la
capacità produttiva si distrugge. Ma da qui a ritenere di non avere
margini di espansione ci corre. In realtà la produzione è molto elastica, e con
politiche appropriate, fortemente espansive ma anche mirate a eliminare
eventuali strozzature, i margini di aumento della produzione sono altissimi”. Ça va sans dire
che un aumento della domanda nel breve periodo può solo consistere di un
aumento della spesa pubblica. Non avrei dubbi,
se fossimo un paese sovrano dotato di una propria moneta, che una svalutazione
sarebbe necessaria per recuperare la competitività esterna. Con la sovranità
monetaria ci siamo tuttavia svenduti la possibilità di una politica economica
minimamente autonoma. Nelle condizioni attuali di un quadro europeo mantenuto
recessivo dalle politiche di austerità, la sfida all’Europa di una politica di
bilancio espansiva si tradurrebbe in forti disavanzi esteri, andando così soprattutto
a beneficio altrui. Tale politica verrebbe probabilmente giudicata avventurista
dai mercati finanziari che ci negherebbero i necessari prestiti portandoci
rapidamente a una nuova crisi degli spread. Certo, potremmo almeno allinearci a
Francia e Spagna che da anni non rispettano i vincoli sul disavanzo pubblico e
per questo hanno risultati tanticchia migliori dei nostri. Probabilmente
giocoforza lo faremo, ma si tratta di misure al margine. Sul chiacchiericcio
sulle riforme, una vera buffonata, neppure merita tornare (l’abbiamo fatto
recensendo per questo giornale l’ottimo studio di Maurizio Zenezini, lo trovate
sul mio blog).
I mercati
finanziari sono intanto in allerta. L’abbondante liquidità creata dalle grandi
banche centrali e le rassicurazioni di Draghi nel famoso discorso del luglio
2012 che avrebbe difeso a tuti i costi l’euro hanno condotto a una forte
riduzione degli spread. Ma con la crisi tuttora in corso potrebbe presto
terminare quella che il mio amico Giancarlo Bergamini chiama l’infatuazione dei
mercati finanziari per i titoli di Stato dell’Europa periferica. I segni già si
sono visti ieri col balzo degli spread. E allora saranno dolori, o forse no.
Forse il redde rationem con l’Europa avrà finalmente luogo. Infatti, sebbene
concordi con Fassina e altri (v. il
manifesto di ieri) che Renzi e Padoan non abbiano avuto né l’intelligenza
né la capacità di andare in Europa con le idee chiare su cosa si dovesse
veramente fare, ho molti dubbi che il fatidico pugno sul tavolo possa smuovere
di un millimetro la Cancelliera tedesca e il suo impero di Stati satelliti. Né
ho molta fiducia che possa sorgere un movimento sociale di opposizione tale da
smuovere la situazione, sebbene appoggi in pieno il referendum sul fiscal
compact, un’occasione importante. La verità è che solo un drammatico
aggravamento della crisi oltre il livelli conosciuti nel 2011/2, che renda
manifesta l’impossibilità di questo Paese di rimanere nella moneta unica, potrà
cacciarci fuori da questo pantano. Che dio ci eviti poi la vendetta
dell’impero.
Il manifesto 8/8/2014
Nessun commento:
Posta un commento