Argentina, default e fondi avvoltoio
Margarita Olivera*
(guest blogger)
Si parla molto in questi
giorni della situazione argentina e del potenziale nuovo default a cui andrebbe
incontro dopo la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti di confermare la
sentenza del 2012 del giudice Thomas Griesa di pagare il 100 per cento a un
gruppo di hedge funds speculativi che non sono entrati nelle ristrutturazioni
del debito estero del 2005 e del 2010. Nell’opinione della sottoscritta si
tratta di una decisione più che altro politica. Cominciamo dall’inizio.
L’Argentina
negli anni novanta inseguì le politiche neoliberiste del Washington Consensus, suggerite dal Fondo Monetario Internazionale
e altri organismi multilaterali, che la portarono alla forte crisi del
2001-2002. In particolare, per sostenere la parità con il dollaro, in un
contesto di tasso di cambio favorevole alle importazioni, liberalizzazione commerciale
e dei movimenti di capitale, e riduzione del ruolo dello stato, l’unica via fu
il forte indebitamento con l’estero, fino ad arrivare a tassi d’interessi
usurari. Questo portò non solo a una crescita del debito estero pari al 145 per
cento del Pil, ma anche a un processo di de-industrializzazione e forte
disoccupazione. Alla fine tutto scoppiò nel 2001-2002 e nel mezzo della crisi
si decise il default del debito estero che era pari a 144 miliardi di
dollari.
Dal 2003-2004 incomincia
la ripresa dell’economia, con un giro di 180 gradi nella politica economica. Nel
2004-2005 il governo di Nestor Kirchner iniziò la prima ristrutturazione del
debito, offrendo diversi bond per rimpiazzare quelli in default. Questi nuovi
bond contemplavano un’importante riduzione del debito rispetto ai valori
originali e l’offerta durò fino a febbraio 2005. Il 76% dei bond holders entrarono
nella ristrutturazione.
I problemi cominciarono
con alcuni detentori di titoli, soprattutto statunitensi, conosciuti come fondi
avvoltoio (speculatori), che non erano creditori originari ma che comprarono i
bonds già in default a prezzi stracciati allo scopo di costringere il governo a
ripagarli al 100 per cento. Per loro il solo costo aggiuntivo era quello degli
avvocati e delle “donazioni” ai diversi congressisti americani come parte della
loro strategia di lobby.
Dopo la ristrutturazione,
alcuni di questi fondi intentarono processi contro il governo argentino in
diversi paesi del mondo, persi per la maggior parte. Tuttavia uno dei processi,
iniziato nel 2007 presso il tribunale del giudice Griesa degli Stati Uniti
principalmente dalla NML Capital Ltd. e la EM Ltd ha avuto un esito
diverso.
Il governo argentino dei
Kirchner ha sempre mostrato il suo interesse di ripagare i debiti (cancellando
per esempio il 100% del debito con il FMI nel 2006). Perciò nel 2010 offrì nuovamente
la possibilità ai fondi speculativi di entrare nella ristrutturazione del
debito (alle stesse condizioni del 2005). Alla fine di questo secondo giro di
scambio dei debiti, il 93 per cento dei bond originali furono ristrutturati. Ma
gli avvoltoi non si accontentarono e con il potere di lobby che hanno negli USA
(sono fra i grandi donors del
congresso) la NML pretese la restituzione di tutti i 1,3 miliardi di dollari di
valore nominale dei titoli in suo possesso.
Nel 2012 il giudice Griesa
sentenziò in prima istanza che la NML aveva ragione e che la Argentina dovesse
pagare i 1,3 miliardi. L’Argentina si presentò al processo d’appello con due
proposte di negoziazione che vennero respinte. Non venne neppure considerata la
perorazione “Amicus Curiae” del governo degli Stati Uniti in favore dell’Argentina,
in cui si sosteneva che un creditore individuale non potesse far fallire un
intero processo di ristrutturazione. In effetti, se si accetta la risoluzione
del giudice Griesa questo aprirebbe la possibilità anche per i fondi
ristrutturati di esigere anche per loro il pago del 100 per cento del debito
originale. Nel frattempo in Francia la NML perde un giudizio simile contro l’Argentina.
La pressione degli avvoltoi
è grande e così la loro influenza. Alcuni giorni fa la Corte Suprema degli Stati
Uniti si rifiuta a riesaminare il caso accettando di fatto la sentenza in prima
istanza: la argentina deve pagare 1,3 miliardi alla NML.
Tuttavia il problema non è il miliardo di euro da pagare, bensì che:
1) questo comporta un
precedente per tutti i paesi in crisi che non riescono ad affrontare i loro
debiti e devono ricorrere a un default seguito da un processo di rinegoziazione
del debito (domenica il Corriere della
Sera ne parlava anche a proposito dell’Italia);
2) per l'Argentina questo
è soltanto la punta dell'iceberg. In effetti, dopo questi 1,3 miliardi ci potranno
essere anche le richieste di altri 15 miliardi di dollari da altri fondi
avvoltoio che non coinvolti nella sentenza del giudice Griesa. Dopodiché tutti quelli
che sono entrati nella ristrutturazione del 2005 potrebbero appellarsi a una
clausola (Right upon future offers) per cui se il governo argentino accetta di
rinegoziare a condizioni migliori del 2005 automaticamente anch’essi avrebbero
diritto di esigere il 100 per cento del debito originale, per cui la somma da
pagare arriverebbe a 144 miliardi di dollari circa. Il che è certamente
impossibile per l’Argentina.
Al momento l’Argentina non
rifiuta di pagare, ma a condizioni accettabili. Esigere il 100% del debito
originale da pagare subito sarebbe mettere al paese in ginocchio.
Ma la cosa peggiore, è
che questa decisione del potere giudiziario degli Stati Uniti, allontana di
nuovo l’Argentina dei mercati del credito internazionale. In effetti, dopo la decisione
della Corte Suprema l’agenzia di rating Standard & Poor’s ha comunicato che
la Argentina e’ scesa di due scalini delle loro valutazioni. E’ almeno
sospettoso che quest’avvenga in un momento in cui il governo ha fatto di tutto
per riuscire a rientrare nel mercato del credito internazionale, dopo la firma
10 giorni fa dello storico accordo con il Club de Parigi per il rimborso di 9
miliardi di debito in default i cui tempi sono condizionati all’arrivo di
investimenti esteri nel paese. Infatti, l’accesso al credito oggi è fondamentale
dato che, sebbene finora esso non sia stato necessario grazie all'aumento delle
esportazioni che dal 2003 sono bastate per coprire sia le importazioni sia gli
interessi del debito estero, negli ultimi anni l’espansione dell’industria e
della domanda locale ha provocato un importante aumento delle importazioni (input,
sopratutto energetici e beni di investimento), fino a annullare il surplus di
conto corrente. Senza la possibilità d’accedere al credito internazionale, si
rischia quindi una forte crisi della bilancio dei pagamenti (con il seguito di
svalutazione, caduta dell’attività, perdita del potere di acquisto dei
lavoratori, disoccupazione, ecc.).
La situazione al momento
è la seguente: in seguito alla conferma della sentenza Griesa viene impedito all’Argentina
di pagare gli interessi a coloro che accettarono la ristrutturazione. Se
l’Argentina tentasse di farlo, il giudice Griesa potrebbe sequestrare questi
fondi per devolverli alla NML. L’Argentina viene dunque costretta a non rispettare
i patti sottoscritti e a dichiarare un default sui pagamenti relativi al debito
ristrutturato. Un vero ricatto! Il default a cui andrebbe in contro è naturalmente
diverso da quello di 2002. Si tratta di un default tecnico, dovuto al fatto che
gli interessi sui titoli ristrutturati si pagano attraverso una banca degli
Stati Uniti, fondi che il giudice Griesa potrebbe sequestrare. Il governo
Argentino sta pensando di cambiare la giurisdizione di pagamento degli interessi
ma finora non si è andato avanti in quel senso (per fare ciò, di fatto,
dovrebbe proclamare il default sui bond ristrutturati a scambiarli con nuovi
titoli emessi con sede di regolazione Buenos Aires).
Il 30 giugno sono scaduti
circa 500 milioni di dollari d’interessi del debito ristrutturato. L’Argentina
ha già trasferito i soldi alla Banca americana e Griesa ha deciso non di
sequestrare bensì di bloccare questi fondi in attesa di un compromesso del
Governo argentino sul pagamento dei 1,3 miliardi alla NML. Perciò il governo,
che è già in moratoria, avrà 30 giorni fino al default effettivo. Non è altro
che un’estorsione. Il default tecnico non è un grande problema, ma gli effetti
collaterali lo sono. Le conseguenze sui mercati di credito saranno sicuramente
molto negative, potendo portare al paese sull’orlo della crisi di bilancia dei
pagamenti, come ho segnalato prima. Il che dimostra un'altra volta che il
potere delle finanze internazionali si trova al di sopra dalla sovranità degli
stati nazionali.
*Prof.ssa Economia Internazionale
Universidad Nacional de San Martin, Argentina
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