Pubblico una breve e sgrammaticata cronaca dell'incontro alla Camera dei deputati, il sonoro è qui. Segue una traccia del mio intervento (letto solo in parte). Infine una postilla su ciò che penso.
Cronaca dell’evento
Il mio intervento ha un
audio pessimo, colpa mia che ho parlato con troppa veemenza e vicino al
microfono. Non è molto importante. Un commento più serio riguarda gli
interventi finali. Mentre D'Antoni è stato più problematico Guerrieri è stato
di nuovo
totalmente arroccato nella difesa non solo dell'Europa (passi) ma dell'euro.
Fino a che mi si dice che una rottura sarebbe complicata e rischiosa sono
d'accordo, ma una difesa sperticata dell'euro con argomenti triti (cosa
farebbero 17 piccoli paesi con la Cina lupo cattivo... come se non si potesse
ricostituire una forma di unità europea senza euro con cambi fissi ma
aggiustabili ecc.) Fassina che ci aveva promesso il piano B ha anche parlato di
una rottura dell'euro come sconfitta storica, che se si rompe si sfascia tutto,
il baricentro del mondo si è spostato, insomma il trito e ritrito.
Ancor più
grave è che il Piano B (quello che si adotta se Bruxelles-Berlino dicono nein
al mutamento radicale delle poitiche europee), beh si tratta di sforare dello
0,5 (si zerovirgolacinque) il disavanzo. Insomma, se non mi dai la torta
guarda, stai attenta Europa che mi rubo il pasticcino. Su Cuperlo si tratta di
stendere un velo pietoso. Presentarsi col dire, sapete io non sono competente
su questi temi sarebbe cosa che in un paese serio ti caccerebbero via a pedate.
Il senso della giornata è che dopo Hollande e Steinmaier ora siamo appesi alla
speranza Schulz. Facile indovinare come andrà a finire. Aggiungo che elementi
di analisi condivisibili nell'introduzione di Fassina e di altri c'erano:
l'assurdo eccesso di rigore dei governi italiani e gli effetti recessivi di una
manovra che tagli la spesa pubblica per ridurre l'imposizione fiscale. Ma è un
po' poco (e tardi come al solito) per compensare proposte che si riduconoa
violare di na 'nticchia i vincoli (con l'Europa che peraltro non te lo permette)
e sperare in Schulz. Deprimente Gualtieri (teorico dell'nticchia). Piga che
denuncia l'ultrarigorismo propone di rimediare 30 miliardi da appalti più
puliti per fare investimenti. A parte che sarebbero noccioline, egli stesso
nega effetti a breve dalla spending review, figurati da una riforma degli
appalti. La mia previsione è che a breve col fallimento di Renzi questo paese
entrerà in una crisi politico-istituzionale con conseguente crisi finanziaria.
A quel punto o entriamo nell'OMT, cioè la troika, o si porrà la questione di
una uscita. La sinistra sarà completamente impreparata. Belli gli interventi di
Giacché, Stirati e Bagnai. Nel mio intervento ho duramente criticato anche il federalismo, che
naturalmente solo i sognatori immaginano all'ordine del giorno (vedi Lista Tsipras), a cui la
sinistra dovrebbe guardare con sospetto laddove svuoti lo stato nazionale come
terreno in cui si esplica la dialettica democratica e sociale.
Intervento: Un passo avanti e due indietro
In due articoli su il manifesto
– uno con Turci – ho denunciato nei giorni scorsi le assurdità della politica
economica italiana ossessionata dal rispetto del vincolo sul disavanzo, mentre
Francia e Spagna l’hanno eluso crescendo un poco più di noi. Una politica
ossequiosa verso l’accanimento europeo nei nostri confronti culminato nella
procedura per squilibri eccessivi di mercoledì scorso.
All’Italia viene imputato il
livello elevato del debito pubblico e la fragile competitività estera la cui
causa ultima sarebbe il protrarsi di una debole crescita della produttività.
Simili rimbrotti vengono rivolti alla Francia, mentre il tono si fa più dolce
con la Spagna (dimenticando i suoi dati paurosi su disoccupazione e il debito
estero). Persino all’osservatore esperto è complicato commentare affermazioni
sgangherate quali si ritrovano nel rapporto della Commissione. Come si fa da un
lato a lamentare che uno dei problemi europei sia la scarsa crescita della
domanda e degli investimenti, e per l’Italia della produttività, e poi imporre
ulteriori misure di restrizione fiscale? Tutti sanno che investimenti e
produttività dipendono dalla domanda aggregata e quest’ultima dalle politiche
di bilancio. La Commissione è all’opposto piena di soggezione verso i surplus
commerciali tedeschi e la loro politica fiscale ultra-restrittiva tale da averli
condotto al superamento degli obiettivi di aggiustamento fiscale (lasciando da
parte il loro persistente gioco sporco sull’inflazione, ora fanno deflazione in
linea con la periferia annullandole i pur effimeri effetti sulla competitività).
Berlino dovrebbe essere sul banco degli accusati. E invece no.
La reazione dei mass media di
regime – esclusi ahimè quelli della destra - e del governo sono stati
improntati al solito servilismo di fatto: faremmo di più anche se l’Europa non
ce lo chiedesse. Faremmo cosa? Ecco il mantra delle riforme. Su questo Maurizio
Zenezini - economista del lavoro dell’Università di Trieste, uno dei migliori
economisti critici della “vecchia scuola” modenese e dintorni - ha curato un
volume di una rivista dell’IRES regionale veneta sull’inutilità di questo
chiacchiericcio ossessivo. Traggo liberamente dalla chiusa del suo saggio
introduttivo:
“Nel 2003 l’Ocse
[sì quella del ministro Padoan] registrava l’ampiezza delle riforme economiche
realizzate in Italia nel decennio precedente, ma doveva constatare che esse si
erano accompagnate ad un progressivo indebolimento delle prospettive di
crescita dell’economia: ‘è ironico che un prolungato periodo di crescita
modesta e ostinata inflazione abbia coinciso con un periodo di continue riforme’(Ocse,
2003, p. 12). Dieci anni dopo, la discussione è ferma allo stesso punto.
E nel 2013 si dice:
‘L’Italia ha sperimentato negli ultimi 15 anni un miglioramento negli indici di
regolamentazione del mercato dei prodotti più forte della maggior parte dei
paesi Ocse’ (Ocse, 2013, p.), ma l’economia ha smesso di crescere ...Così
l’Ocse ricorre ad argomenti metafisici: ‘senza le riforme passate, attualmente
il tasso potenziale di crescita dell’Italia sarebbe significativamente
negativo’ (Ocse, 2013, p. ). …
Sarebbe impossibile
fornire un’immagine più precisa dell’irresponsabilità che costituisce la cifra latente
della politica economica degli ultimi decenni. Nessun riesame delle riforme
effettuate è permesso, è impedita la discussione su politiche economiche
alternative: se le riforme non funzionano, si può sempre dire che senza di esse
le cose sarebbero andate peggio, se gli indici di deregolamentazione non sono correlati
con la desiderata performance potremo denunciare l’insufficienza degli indici,
se le riforme hanno effetti trascurabili, si chiederà comunque di rafforzarle e
di aumentare la flessibilità.
E’ la stessa
irresponsabilità che Keynes denunciava nel 1925 esaminando le conseguenze della
politica economica
del governo Churchill:
‘Poiché il pubblico
afferra sempre meglio le cause particolari che le cause generali, la
depressione verrà attribuita alle tensioni industriali che l’accompagneranno,
al piano Dawes, alla Cina, alle inevitabili conseguenze della grande guerra, ai
dazi, alle tasse, a qualunque cosa al mondo fuorché alla politica monetaria
generale, che è stata il motore di tutto.’”
Su questa denuncia del mantra delle riforme si dovrà
tornare con un’iniziativa ad hoc a Roma.
In questo quadro di ossequio
all’austerità europea e di mantra pseudo-riformista, la sinistra non riesce a
esprimere una reazione convincente. Se da un lato la costituzione di una lista
a sinistra del PD renziano è un fatto positivo poiché essa colma un vuoto, v’è
a mio avviso un pericolo che essa agisca da soporifero, almeno temporaneamente,
alla maturazione di una seria protesta popolare. Nella lista la cifra
prevalente è quella espressa da Marco Buscetta su il manifesto dove leggiamo:
Tanto maggiore sarà il valore della lista Tsipras
quanto più riuscirà ad essere «non italiana» e, per certi versi, «antitaliana»….
Pensare la ricostruzione «sociale» e democratica dell’Europa come una
sommatoria di successi delle sinistre nazionali (…), è un punto di
vista che contraddice in pieno la dimensione globale e internazionalista
nella quale la rivoluzione sociale era stata pensata prima che lo statalismo
e il nazionalismo le imponessero il loro guinzaglio. Dopo le catastrofi
che ne sono conseguite è a quella dimensione che dovremmo cercare di
fare ritorno. Rileggendo in questa chiave la necessità dell’Unione europea.
Quindi “statalismo” e “nazionalismo”
come avversari, per giunta fallimentari. Pannella e Bonino sottoscriverebbero,
o no? Sfugge completamente a questa posizione la natura dello Stato nazionale
come spazio prioritario, come playing
field in cui si esprime la democrazia e la dialettica sociale. In un saggio
pubblicato sul mio blog in cui riconducevo il confronto fra le due anime internazionalista
e nazionalista della sinistra alla controversia fra Marx e Friedrich List,
citavo in proposito dei passi di un altro maestro dell’economia critica,
Massimo Pivetti, che scrive:
Il problema
è che da parte della sinistra e dei sindacati dei lavoratori non vi è stata in
Italia nel corso degli ultimi trent’anni alcuna riflessione sul processo di
ridimensionamento dei poteri dello Stato-nazione nel controllo dell’attività
economica come possibile base di un processo di crisi della nostra unità
nazionale. Nella sinistra continua a prevalere l’idea che non vi sia alcuna
alternativa al continuare ad assumere fino in fondo l’orizzonte politico
dell’Europa, coûte que coûte. Si ragiona come se l’influenza esercitata
nell’ultimo trentennio da monetarismo e neoliberismo sul progetto
d’integrazione europeo potrebbe dopo tutto finire per dissolversi; dall’Europa
dei vincoli si potrebbe finire per passare all’Europa della crescita e
l’integrazione monetaria potrebbe dopo tutto finire per tradursi effettivamente
in vera e propria integrazione politica. Eppure, i continui allargamenti dei
‘confini europei’ dovrebbero aver reso a tutti evidente come quello
dell’unificazione politica sia sempre stato solo uno specchietto per le
allodole, avente lo scopo di facilitare l’accettazione da parte dei popoli
europei degli svantaggi derivanti dalla rinuncia alla sovranità monetaria e a
buona parte di quella fiscale da parte dei rispettivi governi. E poi …la
reazione dei governi alla crisi economico-finanziaria ha reso evidente che
perfino un semplice coordinamento delle politiche fiscali e di bilancio,
finalizzato alla difesa dei redditi e dell’occupazione, è di fatto fuori gioco
in Europa” (ibid: 58).
Certamente l’utopismo ha una nobile
funzione mobilitante ed è in questo imprescindibile alla sinistra. L’obiezione,
tuttavia, non riguarda solo la speranza che quest’Europa cambi in una direzione
federalista, sfido a citare uno studioso storico-sociale che coltivi
quest’illusione. Se gli intellettuali della Lista Tsipras conoscessero un po’
la teoria delle aree valutarie ottimali saprebbero che una Europa federale
implica quella tax-transfer union tanto temuta dai tedeschi.
Ci dovremmo chiedere se la
prospettiva federale sarebbe poi davvero desiderabile per la sinistra. Lasciando
da parte la prospettiva umiliante di essere area sussidiata, ma non stiamo
compiendo un errore esiziale nel demandare spazi di democrazia a livelli
sovranazionali in cui necessariamente essi vengono fagocitati da altre logiche,
piaccia o non piaccia? Perché altri popoli sono gelosi della propria
indipendenza che vedono sinonimo di tutela della democrazia dal basso? Non solo
la Svizzera o gli scandinavi, ma anche il popolo francese che federalista non
è. Non dovrebbe un vero utopismo internazionalista pensare a un’associazione di
popoli liberi e indipendenti con la democrazia mantenuta al livello più basso
possibile? Questo doppio errore su Europa e federalismo, sia nel tattico che strategico,
può condurre la Lista Tsipras a un ruolo di alibi al prolungamento dell’agonia
europea. L’ennesimo errore storico della sinistra dopo quello, con cui non ha
ancora fatto i conti, di essere stata madrina dell’euro. Non voglio
naturalmente entrare nel merito delle liste, altri ben più autorevoli l’hanno
fatto. Quello che va denunciato è che non è stato certamente fatto uno sforzo
di inclusione di posizioni più radicali, significativa la mancata inclusione di
economisti critici da anni sulla breccia.
Non so come andrà a finire. Il prossimo anno entra
in vigore il fiscal compact con
l’obbligo di ridurre il rapporto debito pubblico/Pil di un ventesimo all’anno
sino al livello del 60%, con tanto di sanzioni quasi-automatiche per gli
inadempienti. Questo ci imporrebbe surplus di bilancio tali da far impallidire
l’austerità sinora subita. Non se ne farà nulla. Ma ben vengano le sanzioni se
esse portassero, finalmente, a una grave crisi politica-istituzionale europea
che accelerasse il redde rationem di questa vicenda. Ma la crisi potrebbe anche
venire quando, molto presto, le illusioni renziane verranno al pettine, molto
velocemente dato che non sta neppure provando a cambiare qualcosa in Europa, anche
perché si è scelto consiglieri beoti. Ben venga dunque una crisi in cui
l’Europa finalmente scelga fra una strada federale o una separazione
consensuale. Ma non illudetevi ché l’opzione federale non sarà quella che
alcuni di voi sognano. Una volta in qualche modo risolta la crisi del debito
(dopo un po’ di ristrutturazione alla greca), sarà creata una feroce unione
fiscale in cui quel poco della sovranità economica sarà ceduta a Bruxelles.
Meglio dunque la seconda strada. Il punto è che con questa sinistra che non
riflette sugli errori storici, tattici e strategici dell’europeismo, anzi lo
coltiva, a governare i processi qualsiasi essi siano sarà la destra con un
semi-autoritarismo populista. Su questo vi chiamo a meditare.
Postilla
A chiarificazione delle
miei idee e perché non mi va di passare per un avventurista, ho scritto a un
partecipante queste righe:
"... non parto lancia in resta dicendo usciamo o rompiamo l'euro. Sono pienamente consapevole che a fronte di una uscita "a freddo" Europa e mercati ci farebbero c... tanto. Ciò detto.
a) a fronte di un possibile e probabile aggravamento della situazione l'alternativa fra OMT + troika oppure uscita si potrebbe porre. Vale la pena dunque rifletterci sopra e preparaci a questo tipo di eventi.
b) non si tratterebbe certo di un evento leggero, questo è assodato. Quello che però rifiuto è la tesi che fuori dall'euro (ammesso e non concesso naturalmente che ci si arrivi vivi) sarebbe la catastrofe, 17 piccoli paesi in balia delle grandi potenze globali e quant'altro. A parte che elementi di cooperazione europea, anche monetaria, potrebbero e dovrebbero ancora esistere, non vedo la Corea del sud o tanti altri paesi medio-piccoli preoccuparsi di questo. Noi continueremmo a essere una mezza Argentina (non mi illudo) ma certo più vivi di ora, converrai con me che stiamo morendo.
Naturalmente quello che anche ci differenzia radicalmente è la speranza che l'Europa cambi, che per me è zero, e persino che un'Europa federale sia auspicabile sia sotto il profilo economico che democratico.
Ne discuteremo ancora, ma ci tengo a non passare per un ingenuo avventurista "usciamo dall'euro". Penso che il problema si porrà da sé. Forse, naturalmente. Nessuno ha la verità in tasca."
"... non parto lancia in resta dicendo usciamo o rompiamo l'euro. Sono pienamente consapevole che a fronte di una uscita "a freddo" Europa e mercati ci farebbero c... tanto. Ciò detto.
a) a fronte di un possibile e probabile aggravamento della situazione l'alternativa fra OMT + troika oppure uscita si potrebbe porre. Vale la pena dunque rifletterci sopra e preparaci a questo tipo di eventi.
b) non si tratterebbe certo di un evento leggero, questo è assodato. Quello che però rifiuto è la tesi che fuori dall'euro (ammesso e non concesso naturalmente che ci si arrivi vivi) sarebbe la catastrofe, 17 piccoli paesi in balia delle grandi potenze globali e quant'altro. A parte che elementi di cooperazione europea, anche monetaria, potrebbero e dovrebbero ancora esistere, non vedo la Corea del sud o tanti altri paesi medio-piccoli preoccuparsi di questo. Noi continueremmo a essere una mezza Argentina (non mi illudo) ma certo più vivi di ora, converrai con me che stiamo morendo.
Naturalmente quello che anche ci differenzia radicalmente è la speranza che l'Europa cambi, che per me è zero, e persino che un'Europa federale sia auspicabile sia sotto il profilo economico che democratico.
Ne discuteremo ancora, ma ci tengo a non passare per un ingenuo avventurista "usciamo dall'euro". Penso che il problema si porrà da sé. Forse, naturalmente. Nessuno ha la verità in tasca."
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