I draghi
e i focolai della crisi
Sergio
Cesaratto*
Sarà che i draghi eruttano fiamme, ma la mossa del
presidente della BCE di sostenere in maniera illimitata i titoli di stato a
breve dei paesi che sottopongano le proprie finanze pubbliche a un controllo europeo
ricorda quel volontario della protezione civile che da un lato collabora allo
spegnimento dell’incendio, mentre dall’altro attizza altri focolai. Invocato da
molti come misura necessaria per calmare la situazione, l’intervento della BCE non
è certo risolutivo, e per come è congeniato, al pari del volontario spegne un
focolaio per attizzarne un altro. I problemi
europei non derivano infatti dalla dissipatezza fiscale dei paesi
periferici, ma sono conseguenza della perdita di competitività di questi paesi,
del mercantilismo tedesco e dallo scoppio delle bolle immobiliari alimentate
dai flussi di capitali dai paesi più forti verso alcuni periferici, tutti processi
favoriti dall’euro. La crisi si è poi scaricata sulle finanze pubbliche. Il
mancato tempestivo e risoluto intervento della BCE a sostenerle ha fatto sì che
i focolai si trasformassero in un devastante incendio. In aggiunta, le misure di austerità imposte
dall’Europa ai paesi in crisi, mentre erano inutili per assalire le cause di
fondo della crisi, hanno peggiorato con la recessione i problemi di finanza
pubblica. Il crollo della domanda interna ed europea ha ulteriormente aggravato
la situazione delle imprese, mentre il costo del denaro – che segue quello dei
titoli pubblici – si è fatto esorbitante per le aziende della periferia,
svantaggiandole ulteriormente rispetto a quelle tedesche.
La mossa di Draghi rivela quello che gli economisti
eterodossi (e quelli della “Modern Monetary Theory”) hanno sempre sostenuto: i
tassi li fa la BCE e non il mercato. E allora si capisce come gran parte
dell’incendio di questi due anni sia stato appiccato dalla BCE medesima,
ubbidiente al diktat dell’elite europea di spazzar via attraverso una crisi fiscale
welfare state e sindacati - nella periferia in primo luogo, ma come lezione ai
sindacati tedeschi in secondo. Come mi ha sottolineato Alberto Bagnai – ma
questo è Keynes naturalmente – le unioni monetarie nascono col precipuo scopo
di costringere i paesi membri (e le loro classi lavoratrici) a una devastante
concorrenza deflazionista. L’economista conservatore, il “Nobel” Mundell
l’ha chiaramente detto.
Dei tre focolai individuati, quelli creati dallo
stesso euro, quelli creati dal mancato intervento della BCE per due lunghi
anni, e quello dell’austerity, la mossa di Draghi attenua il secondo, ma al
prezzo di alimentare il terzo, e senza far nulla nei confronti del primo.
Siccome a pensar male si fa peccato, ma non si sbaglia, la mossa di Draghi va
interpretata come frutto della paura che l’incendio si portasse via il
presupposto medesimo del discorso, cioè l’euro, e che dunque i popoli dei paesi
periferici potessero di dire basta a questa lenta agonia. Si tiene dunque in
vita il paziente, ma solo quel tanto perché dosi rafforzate dell’altra cura,
l’austerity, facciano effetto nell’annichilirne ogni volontà di reazione. (Non
si dimentichi quando Draghi diede per morto il lo stato sociale europeo – è
penoso che Draghi sia stato poi accostato alla memoria di Federico Caffè).
Sono altre strade erano possibili? Come abbiano
sempre sostenuto, l’intervento risoluto della BCE dovrebbe essere accompagnato
dall’unica condizionalità della stabilizzazione dei rapporti fra debito
pubblico e Pil. La plausibilità di questo obiettivo rassicurerebbe i mercati,
mentre lascerebbe spazio a politiche fiscali espansive. Senza infatti un
rilancio della domanda aggregata non ci sarà mai ripresa, e il rafforzamento
dell’austerity va in direzione opposta. Questo rilancio dovrebbero essere più
forti in Germania che dovrebbe fungere da locomotiva europea, anche sostenendo
i salari mortificati in molti settori dalle riforme della SPD. Poiché
difficilmente tutto ciò basterebbe a ricomporre gli squilibri commerciali
infra-europei, come affermato dal primo rapporto europeo sulla moneta unica Mac
Dougall (1977) si dovrebbe rapidamente anche andare verso un crescente bilancio
pubblico europeo con una forte componente redistributiva centro-periferia,
mentre il ruolo dei bilanci nazionali si ridurrebbe. Questa dell’Europa
Federale è una prospettiva che però tanto somiglia a un’Europa divisa fra
sussidiati e sussidiatori, inaccettabile per entrambi. Soprattutto, la dura
realtà è che l’Europa va in un’altra direzione, l’euro è nato per quello. Forse
gli spread diminuiranno un po’, ma l’agonia dell’occupazione e del reddito non
migliorerà, e a questo la sinistra dovrebbe
guardare.
* e-book "Oltre
l'austerità", a cura di S. Cesaratto e di M.Pivetti
download gratuito da:
http://temi.repubblica.it/micromega-online/oltre-lausterita-un-ebook-gratuito-per-capire-la-crisi/
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