La situazione economica deve peggiorare prima che quella politica migliori, ma dobbiamo prepararci con un pensiero economico pienamente eterodosso. L’esempio dell’Argentina.
1. Nonostante l’apparente bonaccia, la situazione economica rimane preoccupante. Non c’è ragione per cui gli spread scendano sotto i 300 punti, e semmai risaliranno se la situazione delle altre economie periferiche si aggraverà, com’è presagibile. Solo un quadro di politiche economiche assai diverse – rinnovato ruolo della BCE e politiche espansive in primis in Germania – potrebbe raddrizzare la situazione. In questo ambito, le politiche adottate in Italia sono non solo inutili, ma controproducenti.
Loro risultato è la prevedibile caduta del PIL nei prossimi anni e questo creerà disoccupazione e impoverimento a livelli sconosciuti da generazioni. Va detto chiaramente che ne sono responsabili l’Europa e il governo Monti. La speranza di costoro è che la definitiva flessibilizzazione del mercato del lavoro conduca a una ripresa degli investimenti, di origine interna ed estera, e delle esportazioni. Ma in una fase in cui tutti i paesi europei perseguono le medesime politiche recessive con una caduta generalizzata della domanda, è illusorio che ciò accada. Sia ben chiaro, mille cose vanno fatte dal lato dell’offerta per rilanciare la competitività della nostra economia e mille sono le inefficienze da assalire. Ma di emergenze come le mafie dilaganti non si parla, mentre per attaccare quelle inefficienze servono risorse e non tagli. Dovrebbe anche essere chiara la nostra (la mia per lo meno) opzione per un sindacato cooperativo e non aprioristicamente conflittuale. Si parla a tal proposito di modello tedesco. Ma lì i sindacati sono fatti pienamente partecipi del modello. Ma quale fiducia si può avere qui da noi in un padronato che ha sorretto decenni di berlusconismo? Quale fiducia in un Presidente del Consiglio che ha dichiarato la fine della concertazione? Ha persino affermato che la mamma gli ha suggerito di diffidare della politica. Dopa mamma Rosa ecco un’altra brava mamma che ha insegnato ai figli i valori della democrazia e della partecipazione. Quello che costoro cercano è la cancellazione del sindacato, non l’importazione di un modello cooperativo che pur tanto si evoca, mentre tale modello implica una borghesia illuminata, aperta, moderna. Ancora una volta quella italiana rivela la sua anima storicamente anti-popolare.
2. L’Europa e Monti sono dunque da ritenere responsabili della crisi. Eppure a sinistra si è a lungo subita la logica di Napolitano secondo la quale l’Italia era responsabile della crisi, in particolare il suo debito pubblico che era però lì già da tre decenni (essendo stato peraltro il frutto anche del divorzio fra Tesoro e Banca l‘Italia e dell’adesione allo SME). Deprimente è al riguardo la vicenda della riforma dell’articolo 81 della Costituzione, riforma attraverso la quale si intende imporre il pareggio di bilancio per legge “come ci impone l’Europa”. Lanfranco Turci ha cercato di creare un consenso perché in Parlamento l’approvazione avvenisse non con una maggioranza bulgara, ma tale (inferiore ai due terzi) per cui i cittadini potessero chiamare un referendum abrogativo nel futuro. Il risultato è stato di una solidarietà quasi zero, segno di ordini di scuderia ben precisi perché nulla si tocchi o faccia oppure di mera ignoranza. Le incrostazioni del pensiero economico dominante nella sinistra sono peraltro tenaci. In un volumetto recentemente edito dalla casa editrice della CGIL l’incipit recita: “ Il Presidente Napolitano l’aveva detto che il debito pubblico era il problema numero uno del paese. … I fatti hanno dimostrato che l’appello del Capo dello Stato è stato quanto mai profeticamente necessario” (S.Piccolo, La battaglia del debito pubblico [sic], 2011). Non l’occupazione, non un migliore stato sociale e istruzione, non l’ammodernamento dell’industria, no, il debito pubblico è il primo problema per il quale, anzi, sacrifichiamo il resto. Ognuno creda quello che vuole, ma non è accettabile che sia la Eddiesse a pubblicare queste cose.
3. Abbiamo l’impressione che se da un lato v’è a sinistra un vago sentore che siamo in un passaggio epocale, ve ne sia assai meno circa le conseguenze catastrofiche che tale passaggio avrà ben presto sulle nostre economie. In verità, temo, solo se le cose peggioreranno seriamente, potranno migliorare. E’ evidente che in un paese solo, che per giunta ha perduto la sovranità monetaria, relativamente poco si può fare senza un mutamento del quadro europeo. Certo, d’incanto potremmo diventare tedeschi e persino scandinavi, efficienti, egualitari e competitivi, e rilanciare le esportazione in un modello alla tedesca. Ma questo incantesimo è impossibile, e in recessione da quegli esempi ci si allontana, non avvicina. E non molto v’è da attendere dalla solidarietà politica fra partiti socialisti o sindacati europei. Ciascuno tira la carretta di quelli che sono gli interessi veri o presunti del proprio paese. In particolare poco mi attendo dalla socialdemocrazia tedesca che non certo si prenderà la responsabilità di modificare il modello mercantilista di quel paese, vera fonte dei problemi europei. Solo quando la recessione morderà in maniera impressionante, e se e quando la recessione colpirà in Germania - oltre che in Francia e Olanda - allora le cose potranno cambiare, talmente sfacciato sarà il fallimento delle attuali politiche. Non credo ci possiamo illudere: le cose dovranno peggiorare per migliorare.
4. Nel frattempo è chiaro che le nostre saranno battaglie di resistenza, ma questo è importante non solo per difendere dignità e principi, ma perché da questa difesa strenua dipende l’esserci e l’essere pronti quando spazi nuovi e diversi si apriranno. Dal mio punto di vista sento la necessità di aria nuova con riguardo al pensiero economico condiviso a sinistra. C’è bisogno di rompere con gli schemi del passato, c’è bisogno di eterodossia. Questo sembra importante perché la resistenza non è sufficiente se non si delinea la possibilità di qualcosa di diverso che dica alla gente che la crisi non è qualcosa di ineluttabile, che le leggi dell’economia li fanno donne e uomini e non cieche (non tanto cieche in realtà) forze di mercato.
Si guardi per esempio al successo dell’iniziativa del giornalista Barnard che ha convocato in Italia i maggiori esponenti della cosiddetta Modern Monetary Theory. Si tratta di una banda di economisti, pochi quelli accademici, guardati con qualche sospetto persino fra gli economisti eterodossi accademici. In effetti il loro stile è spesso apodittico e frettoloso, con la tecnica di ripetere ad nauseam affermazioni semplici (quali quella che il governo può spendere senza prima tassare o emettere titoli). Ma, come diceva un sommo cantante, “se non tutto giusto, quasi niente sbagliato” e, come interpretava Antonella Stirati, sono evidenti le ragioni del successo di qualcuno che offre alla gente l’idea che “si può fare”, che quello che accade non è ineluttabile. Quello di cui abbiamo bisogno è un pieno e totale “endorsment” della sinistra verso idee economiche eterodosse, ma quelle vere, tenendosi a distanza anche dalla zona grigia dei Krugman e degli Stiglitz, che mainstream sono nel profondo del cuore, e dai tanti economisti di area PD “cerchio-bottisti”: l’austerità certo è cattiva, ma noi siamo anche discoli e il debito pubblico è così brutto e via cantando.[1]. Un nuovo e più fresco pensiero economico può dare dunque un senso politico alla resistenza e alla speranza.
5. Quello che sostengo riflette la mia recente visita in Argentina dove, con l’occhio benevolo del governo, è stato organizzato un mega-evento, come l’han definito, con una serie di conferenze che un gruppo di noti economisti eterodossi, fra i quali ho avuto l’onore di essere inserito, hanno tenuto di fronte a centinaia di studenti e docenti interessati e che si battono per qualcosa di nuovo in economia. Questi studenti sono consapevoli di cosa il loro paese ha attraversato come risultato del Washington Consensus, quello che Europa e Monti stanno imponendo a noi per capirci.
Lì l’aria che si respira è assolutamente diversa. Abbiamo incontrato una straordinaria governatrice della Banca Centrale avendo con lei un dibattito serrato: ebbene da venerdì scorso la Banca Centrale Argentina ha fra i propri compiti istituzionale quello di cooperare con la politica fiscale per perseguire piena occupazione e sviluppo. Il capo della ricerca economica della Banca è un economista sraffiano, Matias Vernengo, che naturalmente, come la Governatrice, se la deve fare con un personale frutto di decenni di liberismo. Certo, l’Argentina è stata fortunata, e la crescita è assai dovuta alle esportazioni di soja per alimentazione animale che soddisfano la crescente domanda di carne da parte dei consumatori cinesi. Al riguardo speriamo di documentare nelle prossime settimane i pro e in contro del modello argentino. Ma, in fondo, la fortuna premia i coraggiosi, e in ogni caso si parla lì, di nuovo, di politiche industriali attive, è ripreso il sostegno a università e ricerca dopo decenni di devastazioni neo-liberiste, la gente ha speranze (e lavoro).
Per concludere, siamo oggi sulla difensiva e mentre la battaglia è di legittima e importante resistenza, le prospettive non miglioreranno se prima la situazione non peggiorerà, in particolare in Germania. A quel punto non dobbiamo farci trovare impreparati, e una battaglia di resistenza è fondamentale proprio per essere lì al momento giusto. Ma fin d’ora dobbiamo accompagnare tale resistenza allo sviluppo di un pensiero economico eterodosso e più coraggioso scrollandoci di dosso la polvere neo-liberista.
[1] Chi volesse capire come il cuore di Krugman rifiuti il nucleo di Keynes, che gli investimenti precedano il risparmio, veda qui e qui, mentre un esempio di perfetto cerchio-bottismo è nelle posizioni che al convegno CGIL ha espresso Vincenzo Visco affermando che l’austerity non va bene, ma che quello che sta facendo Monti l’avrebbe dovuto fare il centro-sinistra.
Un altro esempio di come Krugman (e non solo) abbia il rapporto temporale un po' sfasato lo descrivono bene qui:
RispondiEliminahttp://www.bis.org/publ/work346.pdf
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complimenti per il blog!
In realtà il contributo delle esportazioni alla crescita dell'Argentina è molto limitato, come questo documento mette in luce:
RispondiEliminahttp://www.cepr.net/documents/publications/argentina-success-2011-10.pdf
Egregio prof.
RispondiEliminacosa ne pensa dell'idea di Warren Mosler riguardo ai "btp a valenza fiscale", potrebbero essere un'alternativa all'euro aggirando così l'impossibiltà che hanno gli stati dell'area-euro a creare moneta?
La leggo sempre con estremo piacere, continui così;
con ossequi, Roberto
E' una idea buona. Le provincie argentine prima del default emettevano i patacones, ma meglio della fame!
EliminaGrazie per l'incoraggiamento