giovedì 15 marzo 2012

E’ arrivato l’ambasciatore: cronache di un dibattito

Più sotto trovate l’intervento che il vostro blogger ha svolto al dibattito di martedì (v. post precedente). Non moltissima gente, ma livello piuttosto alto. Dai miei appunti di vostro cronista ricavo queste note che seguono (scusate il disordine). Walter Cerfeda, padrone di casa a nome della CGIL dichiara che ha firmato un documenti lì presentato da due associazioni, una italiana e l’altra tedesca, il quale esordisce dicendo che va bene il “fiscal compact”, ma bisogna andar oltre. [Orbene, il fiscal compact non funzionerà (neppure nella rigorosissima Olanda!), ma se funzionasse al di là di esso c’è solo la morte. Brava la CGIL (o questa CGIL) a condividerlo!] Cerfeda ha anche sostenuto la tassa europea sulle transazioni finanziarie [su cui diremo].

 Michael Braun, altro padrone di casa per la Fondazione Ebert, assai avanzata nelle sue posizioni, esprime un punto di vista di buon senso di sinistra sulla crisi. Il prof. Paolo Guerrieri, che era relatore, posizione a noi negata sebbene richiesta dal prof.Paggi primo promotore dell’iniziativa, è intervenuto esordendo che molto è stato fatto in questi due anni [vero, una bella recessione]. Il suo discorso è stato assai cerchiobottista, sì all’austerità (“inevitabile”), però no perché la domanda ne soffre; la crisi non è nata dai debiti pubblici, però questi della periferia europea che scialacquatori di risorse; più liquidità per sostenere i debiti, ma meno sovranità fiscale. L’ambasciatore tedesco ha ripetuto concetti che ben conosciamo: noi tedeschi abbiamo fatto i nostri compiti, ora tocca a voi; il rigore getta le basi di una crescita solida e amenità del genere. A quel punto è intervenuto brevemente l’Ambasciatore Cangelosi rappresentante della menzionato documento. Sino a quel momento si respirava così un clima di grande unità: che bravi i tedeschi, su, basta imitarli un poco. Così è intervenuto il vostro blogger [vedi sotto]. Paolo Leon ha caratterizzato il modello USA e quello europeo come li abbiamo conosciuti, il primo per il perseguimento della piena occupazione e il secondo del modello sociale europeo. Ora l'Europa non segue né l’uno né l’altro. Rileva poi come il pensiero di Keynes non sia mai penetrato in Germania, paese il quale ha goduto di ripetuti atti di generosità da parte degli altri paesi (Piano Dawes e Piano Marshall). Mario Nuti (qui) ha ricordato gli errori di economisti come Blanchard padrini dell’idea di “expansionary fiscal austerity” (politiche di austerità che portano alla crescita) nel 1990, anche se poi ha cambiato idea, sostituito da Alesina e compagni. Ha poi passato in rassegna le diverse possibili soluzioni della crisi su cui concordiamo. Il saggio del prof.Leonardo Paggi (chi mi conosce sa che Paggi è un mio mito) lo pubblichiamo in un post separato.

Nella replica l’Ambasciatore tedesco risponde ha chi (incluso Guerrieri) ha chiesto un maggiore intervento della BCE chiedendosi: ma dove va la liquidità? [abbiamo spiegato molte volte che, o neppure viene creata perché i mercati si sentono rassicurati e non vendono i titoli sovrani, oppure se li vendono e la BCE li compra, banche e risparmiatori deterranno più liquidità, che finisce ridepositata preso la BCE, e meno titoli: lo spieghiamo di solito in macroeconomia. Semplicemente la BCE asseconderebbe un cambiamento del portafoglio degli investitori che vogliono più moneta, di cui si fidano di più, e meno titoli, di cui si fidano di meno. La moneta non verrebbe spesa! Ma vallo a spiegare a chi non vuol capire e fa pure finta di conoscere meglio di te l’economia!]. L’Ambasciatore conclude che si deve prima diventare più competitivi e poi spendere il denaro [sono questi pensieri facili, che non significano niente, ma hanno un effetto, pensare è faticoso!]. Va reso atto a Guerrieri [io son corretto nel render merito laddove c’è] di aver sottolineato come è difficile diventare più competitivi nel mezzo di una recessione. [Questo è un punto importante: recessioni prolungate per anni distruggono anche quello che di buono hai, tessuto sociale, istruzione, ricerca, tecnologia. Questo va riposto all’obiezione standard che mi viene mossa di dare tutta la colpa ai tedeschi: non do la colpa a nessuno, dico solo che loro con la sola efficienza che ammiriamo senza la domanda proveniente dal sud europeo non sarebbero cresciuti, ed è ora il loro turno a dover generare domanda per far riprendere il sud, che naturalmente deve importare molte loro istituzioni].

Intervento Sergio Cesaratto (in parte ripreso da saggio qui pubblicato).

Nel mio intervento ho in primo luogo criticato due punti di Cerfeda e Guerrieri, rispettivamente.

A) Cerfeda ha sostenuto la tassa sulle transazioni finanziarie. [Mito della sinistra. Non la faranno mai, pure la Merkel a parole la vuole, tanto le serve a isolare il Regno Unito]. Ma prima di quello, c’è una speculazione condotta o incentivata dagli Stati da fermare. La Germania si indebita all’1% e presta ai PIIGS al 5%,  non è speculazione. All’Italia accade l’opposto, e per giunta concediamo prestiti ai PIG per salvare le banche tedesche e francesi. Ma soprattutto, la LTRO della BCE, quella che ha fatto abbassare gli spread, bene, la BCE presta alle banche all’1% e queste ci comprano titoli di stato al 5%: una speculazione (detto anche carry trade) finanziata dalla BCE solo perché i tedeschi si oppongono all’intervento diretto della banca centrale. [Si legga bene a tal proposito De Grauwe. Ma la sinistra movimentista ha le sue fisse (la Tobin Tax)].

B) Guerrieri ha un po’ evocato la tesi che è stata la liberalizzazione finanziaria a stimolare le bolle nei paesi periferici, quindi ci dovevano essere maggiori controlli, più disciplina. In questa posizione non si coglie che senza la spesa nella periferia europea finanziata dai flussi di capitale dal nord, la core-Europe sarebbe stata in recessione, e alla Germania il modello andava benissimo (altro che successo del modello tedesco! Non sarebbe bastato quello senza bella domanda proveniente dai PIGS.) Un modello di crescita balordo? Certo, lo si è visto. Ma Guerrieri non ha certo evocato un quadro keynesiano, specie nella core-Europe, che doveva dall’inizio sostituire questo modello.

La situazione europea è ora assai seria e non s’intravedono vie d’uscita. Non che queste in via di principio non esistano, e questo è il grottesco della situazione. Un percorso di crescita basato sulla domanda aggregata e di riproposizione del modello sociale europeo sarebbe possibilissimo e alla portata. Ad esso si frappongono tuttavia scelte nazionali che solo gli sciocchi definiscono egoistiche.

Nelle relazioni internazionali non valgono valori morali, tantomeno fra economie capitalistiche. La stabilità internazionale, politica ed economica, non può essere garantita che dalle potenze egemoni, come il grande Charles Kindleberger insegnava, il quale alla mancanza di un hegemon attribuiva la responsabilità della prima grande crisi. Tale leadership implica fra l’altro apertura e sostegno del proprio mercato domestico agli altri paesi in caso di crisi. Quindi il giudizio sui paesi è politico, non morale. Ciò a cui assistiamo oggi in Europa è che se la potenza che dovrebbe assicurare crescita e stabilità non lo fa, essa da soluzione diventa il problema.

La decisione italiana di aderire all’UME, per esempio, è stata frutto del disegno di portare a compimento il cosiddetto processo di “risanamento” dei conti pubblici e della dinamica dei prezzi intrapreso negli anni 1990. La scommessa ‘disciplinante’ dell’UME è stata comunque perduta, come fu per lo SME (da cui si poté però fuggire). Quando i mercati hanno cominciato ad accorgersi che, nonostante anni di stagnazione, i dati mostravano un andamento progressivamente negativo delle partite correnti e crescente del debito estero, a cui simmetricamente si accompagnava una crescente incapacità del risparmio privato domestico di finanziare il disavanzo pubblico, gli spread sovrani sono esplosi.

Questa è, tuttavia, una storia italiana, come recita la pubblicità della banca. Tutto questo per dire che non si può certo imputare la Germania dell’esistenza dell’UME a cui, anzi, ha aderito in maniera riluttante. Che poi lo abbia fatto cercando di trarne il maggior vantaggio possibile, dettando i termini del patto, neanche glielo si può addossare: perché mai avrebbe dovuto fare altrimenti? D’altronde è la sua la disciplina che si voleva importare. Naturalmente quei vantaggi che la Germania ha ritenuto di poter trarre si sono alla lunga rivelati di carta (letteralmente). Quel paese ha oggi una scelta davanti: fra la speranza di cavarsela da sola con un’Europa che va in malora, o l’assunzione di una leadership progressista (chiamiamola così). Ho pochi dubbi sulla scelta. dopo che all’opinione pubblica tedesca sono stati propinati moltissimi stereotipi – timore come quello dell’inflazione, secondo alcuni una invenzione della Buba. Ad essa non viene invece raccontato che il nazismo, lungi dall’essere un risultato dell’iper-inflazione del principio degli anni ’20, fu il frutto di assurde politiche francesi verso la Germania la cui natura non è dissimile da quelle che quest’ultimo paese sta imponendo ai suoi partner europei. Keynes, che questo vide nel 1919 e contro cui si batté, dovrebbe essere idolo studiato a scuola in Germania, fa tristezza che invece questo paese sia storicamente anti-keynesiano.

Ma è l’opinione prevalente in Germania, in particolare nella sua classe dirigente, frutto di mera ingnoranza o c’è dell’altro? Come scrisse Kalecki – il grande economista polacco che anticipò Keynes – dietro l’ignoranza c’è sempre un interesse.

Secondo alcuni la Germania si era ben preparata a vincere la battaglia dei mercati dell’UME attraverso una decisa riforma del mercato del lavoro sotto il governatorato Schroeder, la quale aveva impresso un deciso orientamento moderato alla dinamica dei salari (v. Giacché qui)  e dei consumi interni. Si è tentati di vedere qui una riedizione del “mercantilismo monetario”, una strategia inaugurata al principio degli anni ’50 con la benedizione del potente ministro delle finanze Erhard, il padre del miracolo economico tedesco: se ci sono cambi fissi, come nel sistema di Bretton Woods, l’importante è tenere l’inflazione un po’ più bassa dei concorrenti per sostenere le proprie esportazioni, pur continuando a godere di un cambio forte. Negli anni 1950 le critiche alla Germania sono così un de te fabula narratur di quelle odierne, così come quelle rivoltele unitamente al Giappone sul finire degli anni ’70 affinché essi agissero da “locomotiva” dell’economia mondiale assieme agli Stati Uniti.

E’ anche opinione generalmente condivisa che la costituzione dell’UME abbia favorito flussi di capitale dai paesi centrali verso i paesi della periferia europea, e che questi flussi siano stati alla base della crisi (flussi che altro non rappresentano se non le anticipazioni finanziarie che i paesi mercantilisti devono concedere ai paesi non-mercantilisti). Si ritiene che a partire da questi flussi si sia generata una crescita effimera dei paesi periferici, basata sull’edilizia in Spagna e Irlanda o sulla spesa pubblica in Grecia. Effimera perché si è tradotta, più che in uno sviluppo dell’industria nazionale, in imponenti importazioni dai paesi centrali. Questo anche dovuto al fatto che alla crescita si è accompagnata una inflazione ben superiore a quella tedesca con una conseguente perdita di competitività, a detrimento dell’industria nazionale e a favore di quella dei paesi centrali. Il corrispettivo contabile dei disavanzi esteri dei paesi periferici è nell’indebitamento dei settori privato e/o pubblico della periferia verso la Germania e gli altri paesi centrali. In Spagna e Irlanda, la crisi nasce nel settore privato e solo in conseguenza della crisi il settore pubblico ne è risultato coinvolto. Tutto questo si è svolto con una “benevola disattenzione” del governo tedesco che ben sapeva cosa stava accadendo e anzi, come nel caso dell’amico governo greco, benediceva i cospicui acquisti di armamenti dalla Germania (peraltro proseguito anche dopo la crisi).

Si badi bene che qui non si sta accusando la Germania, o meglio l’establishment tedesco, di perseguire i propri interessi. Siamo nel capitalismo, bellezza! Sebbene non sia accettabile, almeno intellettualmente, il giustificare i propri comportamenti con tesi palesemente insostenibili, come ho altrove dimostrato fa il più ascoltato economista tedesco Werner Sinn. Ma il punto principale è quello di capire se tali scelte siano o meno compatibili con un’unione monetaria. Munchau ha sempre sostenuto l’elite tedesca non capisce o non vuole capire come funziona un’unione monetaria. Si smetta di far finta di non saperlo, e ciascun paese si prenda le proprie responsabilità. L’UME è una sorta di gold standard. A iosa i commentatori internazionali hanno ricordato alla Germania la logica elementare per cui i paesi con disequilibri esteri negativi possono rientrare da questi solo se i paesi con disequilibri esteri positivi compiono uno sforzo simmetrico.

Le “soluzioni” sinora adottate dall’Europa si son contraddistinte per la loro inefficacia. I fondi europei (EFSF, ESM) sono uno strumento ridicolo in quanto in buona parte finanziati dai medesimi paesi indebitati. Gli interventi diretti della BCE nel sostegno ai titoli di Stato sono stati too little and too late – molti economisti hanno sostenuto che la minaccia di un intervento illimitato a sostegno dei titoli e volto a ridurre i rendimenti di tutti i titoli di stato europei a livelli sostanzialmente tedeschi avrebbe invece tranquillizzato i mercati, e la BCE non avrebbe dovuto acquistare neppure un titolo. Il LTRO che Draghi ha responsabilmente adottato per aggirare i veti tedeschi è un surrogato costoso di un intervento diretto. Delle sciagurate politiche di austerity, nefaste economicamente e socialmente si è già detto molto. La Germania non potrà che soffrire in questa situazione, ma è probabile che essa stia già guardando altrove, a un ruolo di Svizzera dell’economia mondiale. Non è, in fondo, una fine gloriosa.

La strada dell’Europeizzazione dei debiti pubblici sarebbe percorribile, ma richiederebbe anch’essa una BCE che apertamente sostenesse un debito pubblico europeo. Non v’è dubbio che ciò comporterebbe inoltre un’europeizzazione delle politiche di bilancio e l’accrescimento dei trasferimenti fra le regioni ricche e quelle più sfavorite. V’é oggi troppa sfiducia reciproca in Europa per pensare tale utopistica strada come percorribile. E d’altro canto: chi si sente di scommettere in un’ulteriore cessione di sovranità all’Europa?

Più percorribile sarebbe una strada di concertazione delle politiche fiscali espansive, con una BCE con uno statuto simile a quello della FED. Il sostegno della domanda aggregata dovrebbe essere riconosciuto come la chiave della crescita. La stabilizzazione, non la riduzione, del rapporto debito pubblico/PIL costituirebbe un obiettivo plausibile.  Paesi in surplus commerciale dovrebbero impegnarsi al loro rapido pareggio o essere altrimenti obbligati a trasferimenti compensativi verso i paesi in disavanzo. Questi ultimi dovrebbero essere obbligati a politiche di modernizzazione importando le istituzioni dei paesi più efficienti. Le politiche distributive dovrebbero essere improntate all’equità. Su questo rimandiamo a un documento firmato da 300 economisti italiani e stranieri.

1 commento:

  1. Da Tiziano Cavalieri:

    Sergio, ho letto l'intervento di Paggi e mi è
    sembrato di grande interesse in primo luogo perchè mette bene in
    evidenza con i riferimenti a Monti come questa unione europea e questa
    unione monetaria sia stata voluta da tutti i governi, conservatori o
    socialdemocratici, e da tutte le opposizioni parlamentari, sono state le
    scelte di tutte le borghesie con la dichiarata intenzione di mettere al
    loro posto i salariati europei. Sarebbe interessante rintracciare la
    posizione delle dirigenze sindacali, ma credo che ne furono complici. Se
    questo ha fondamento dobbiamo concludere che questa Europa è
    nell'interesse di tutte le borghesie europee: anche in Europa un operaio
    costerà sempre meno, si assisterà al costituirsi di grandi agglomerati
    industriali e finanziari in grado di proiettarsi sui mercati
    internazionali alla pari delle multinazionali americane. Forse sono
    fantasie poco attendibili, ma mi rifiuto di credere che non ci sia una
    logica nell'attuale politica europea, e non credo che governi
    socialdemocratici sfuggiranno al potere dei grandi gruppi industriali e
    finanziari. Detto questo, la tua relazione è molto interessante ed apre
    domande a cui non è facile rispondere. Nello specifico scrivi "quando i
    mercati hanno cominciato ad accorgersi" del crescente indebitamento
    netto con l'estero a cui " simmetricamente si accompagnava una crescente
    incapacità del risparmio privato domestico di finanziare il disavanzo
    pubblico" sono esplosi gli spread. Per l'Italia gli spread balzano se
    non ricordo male nel giugno 2011, il sospetto è che sia il risultato di
    una manovra che si proponeva un cambio di governo e la realizzazione di
    una politica che si ritrova in quella del governo Monti, si può vedere
    la mano di banche italiane e di altri soggetti? Il debito italiano era
    ad alti livelli da molti anni senza che nulla accadesse,
    l'indebitamento netto con l'estero secondo i vecchi modi di calcolarlo
    (sulla base dei movimenti finanziari) non era rilevante ed
    irrecuperabile, ad ogni scadenza non c'erano problemi di ricollocazione
    e risottoscrizione del debito in scadenza, ossia per quello esistente
    non era necessario nuovo risparmio, ed anche la nuova spesa in
    disavanzo non dovrebbe trovare il limite dei risparmi a meno che la
    spesa non si rivolga direttamente o indirettamente ad importazioni tali
    da aggravare il disavanzo. A me non riescono chiari i motivi di fuga dal
    debito italiano ricomprato ad alti tassi di interesse, quei tassi sono
    stati riportati oggi ai livelli di un anno addietro. Si fugge dal debito
    quando si teme una sua svalutazione (possibile con una paventata uscita
    dall'euro) ma non mi sembra che tale ipotesi sia fondata, si fugge per
    comprare altre attività? per ricapitalizzare e sostenere crisi bancarie?
    Sono domande che non so quanto fondate, un saluto Tiziano

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