Manovre più eque? Prima cambi la politica europea
Sergio Cesaratto e Lanfranco Turci
Su Il Riformista di qualche giorno fa Roberto Gualtieri aveva criticato Enrico Morando per la sua difesa dell’entità della manovra del governo. Le motivazioni più pregnanti di difesa della manovra Morando le trovava nella necessità di rendere credibile ai mercati la sostenibilità del nostro debito pubblico, sì da non essere ulteriormente penalizzati sui tassi di interesse. L’abbarbicamento al governo di una compagine ormai allo sbando, persino col suo timoniere economico indebolito, ha fatto balzare all’insù gli spread dei BPT rispetto ai Bund tedeschi, e questo ha ieri rinvigorito Morando nella sua richiesta di una manovra ancora più rigorosa per entità e contenuti. Ma gli spread, a ben vedere, erano già saliti nelle scorse settimane, e indipendentemente dal rigore o meno della manovra in discussione.
Gualtieri aveva infatti perfettamente ragione: è la poca credibilità delle politiche economiche europee per gli stessi mercati a causare quegli aumenti, come il declassamento del debito portoghese da parte di Moody ha ulteriormente dimostrato. L’aumento degli spread sui nostri tassi è frutto di questa scarsa credibilità, dovuta alla natura di “fatica di Sisifo” dei piani nazionali di rientro dal debito (una vera “mission impossible” in queste condizioni). L’Europa sta applicando infatti le catastrofiche ricette seguite dopo la grande crisi del 1929, i mercati lo sanno e fiutano sangue. Noi siamo molto preoccupati. A nostro avviso:
Gualtieri aveva infatti perfettamente ragione: è la poca credibilità delle politiche economiche europee per gli stessi mercati a causare quegli aumenti, come il declassamento del debito portoghese da parte di Moody ha ulteriormente dimostrato. L’aumento degli spread sui nostri tassi è frutto di questa scarsa credibilità, dovuta alla natura di “fatica di Sisifo” dei piani nazionali di rientro dal debito (una vera “mission impossible” in queste condizioni). L’Europa sta applicando infatti le catastrofiche ricette seguite dopo la grande crisi del 1929, i mercati lo sanno e fiutano sangue. Noi siamo molto preoccupati. A nostro avviso:
(a) non è vero che rigore e crescita vadano assieme, come sostiene Morando. La sostenibilità di lungo periodo dei debiti pubblici (e privati) è solo ottenibile se l’Unione, nel suo insieme, persegue un cammino di crescita e di riequilibrio della competitività fra i paesi membri. Questo implica sostegno alla domanda aggregata soprattutto nei paesi forti, attraverso l’abbandono delle loro politiche neomercantiliste di moderazione salariale. Implica inoltre una politica di investimenti industriali, infrastrutturali e ambientali su base comunitaria .
(b) La sostenibilità a breve dei debiti pubblici, che eviti manovre inutili e socialmente devastanti, è ottenibile adottando quanto proposto da ultimo da Giuliano Amato e altri esponenti europei (v. Corriere della Sera del 4/7) di europeizzazione di una quota del debito dei paesi nazionali. A nostro avviso è comunque essenziale un mutamento dello status della BCE da guardiano dei salari tedeschi (qualcuno lo vuole negare?) a sostegno della crescita dell’insieme dell’Unione. Vogliamo intanto dire basta all’incosciente aumento dei tassi di interesse da parte della BCE?
Questo non esime noi ( e gli altri “periferici”) dal fare i compiti a casa, e sono tanti: dalla moralizzazione dei costi della politica, alla efficienza della amministrazione pubblica, a una lotta seria all’evasione fiscale, comprese eventuali misure straordinarie. Non possiamo inserire fra questi compiti un ulteriore ridimensionamento dello stato sociale.
Replicando a Gualtieri, Morando non negava la necessità di un mutamento delle politiche europee. Ma riproponendo la classica politica dei due tempi egli ritiene che solo misure di rigore ci consentano di presentarci in Europa con le credenziali giuste. Questo è sbagliato. Egli stesso ammette che la manovra avrà gravi effetti recessivi, i quali attraverso le minori entrate fiscali ridimensioneranno l’aggiustamento nei conti, tanto più che essa è intrapresa mentre altri paesi adottano misure analoghe, compresi importanti mercati di sbocco delle nostre esportazioni come la Spagna. Insomma , se non cambia la politica europea, manovre socialmente inique avranno effetti marginali sui conti mentre mineranno la stabilità politico-sociale dei nostri paesi. E allora logica vuole che sia il mutamento del quadro europeo a essere collocato al primo posto dell’agenda politica. Siamo consci della difficoltà di questa battaglia. Ma la consapevolezza politica dell’ordine dei problemi è un primo essenziale passo. Quanto ai governi tecnici, ci inquieta l’idea che la sinistra ancora una volta possa pensare di affidare le sorti della propria base sociale e politica a esponenti portatori di visioni conservatrici e interessi ben diversi. Abbiamo bisogno di un vero riformismo per salvare il paese e l’Europa, un riformismo che deve contare sulla spinta al cambiamento proveniente dai ceti popolari e dalle masse giovanili, i primi a pagare i conti della crisi economica e finanziaria.
il Riformista, 10 luglio 2011
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