Pubblichiamo articolo uscito su Il Fatto lunedì 27.
La nuova governance fiscale europea fra bugie e metafisica
Sergio Cesaratto
Il governo ha presentato la nuova Legge di Bilancio che segue l’invio a Bruxelles del Piano strutturale di bilancio (PSB) in ottemperanza alla nuova governance fiscale europea varata lo scorso aprile. L’obiettivo del PSB per i Paesi ad elevato debito è di portare il rapporto fra debito pubblico e il PIL su una traiettoria discendente (almeno -1% all’anno), e mantenere il disavanzo al di sotto del 3 per cento del PIL nel medio termine (conseguendo a regime un massimo di 1,5% di disavanzo strutturale). Il PSB definisce in accordo con La Commissione europea il percorso pluriennale necessario per realizzare gli obiettivi. È nel quadro dell’aggiustamento proposto alla Commissione che vanno giudicate le promesse politiche presenti e future del governo di non operare né tagli massicci della spesa pubblica, né aumenti delle imposte, al massimo una lotta agli “sprechi”.
Dalla trattativa con la Commissione scaturirà una traiettoria pluriennale della “spesa netta”. Quest’ultima è la spesa pubblica al netto di quella per interessi. Il tasso di crescita nominale della spesa netta è la variabile chiave per il monitoraggio dell’attuazione del PSB.
L’aggiustamento di bilancio pluriennale espresso in termini di tassi di crescita annuali della spesa netta nominale sarà inderogabile (a meno di catastrofi). Qual è la logica della regola? Una ratio ovviamente c’è, e non è neppure troppo complicata. Non viene ben spiegata al pubblico perché se fornito di una spiegazione chiara esso ne capirebbe la perversità sociale. In poche semplici parole, se un Paese (come un qualsiasi soggetto) si pone obiettivi di riequilibrio fra entrate e spese e vuole ridurre il peso del debito sul proprio reddito, deve far crescere le spese meno delle entrate, conseguire cioè avanzi di bilancio, in particolare avanzi primari (al netto della spesa per interessi). Guardiamo alle cifre del Ministro Giorgetti. In base ai calcoli del MEF, validati dall’Ufficio Parlamentare del Bilancio (UPB) e proposti alla Commissione, per realizzare gli obiettivi di bilancio, la spesa primaria nominale potrà aumentare nei prossimi sette anni dell’1,5% all’anno (in media), Questo significa che con un’inflazione prevista dal MEF al 2% (che è anche l’obiettivo della BCE) la spesa reale diminuirebbe di -0,5% annui. Con un tasso atteso (dal MEF) di crescita del PIL reale attorno all’1% (ovvero nominale del 3%, cioè 1% % più 2% di inflazione), le entrate tributarie crescerebbero anch’esse al tasso reale dell’1% (ovvero 3% nominale), ben superiore a quello della spesa, sì da consentire gli avanzi primari atti a realizzare gli obiettivi del PSB.
In sintesi, se si intende realizzare un avanzo primario le spese primarie devono crescere a un tasso inferiore a quello delle entrate tributarie il quale, a parità di norme fiscali, è pari alla crescita del PIL. Nella fattispecie italiana, dati gli alti livelli di debito e fabbisogno (quest’ultimo fondamentalmente dovuto al pagamento degli interessi), la spesa deve crescere a un tasso reale negativo.
La questione è in realtà più complessa in quanto tassi di crescita negativi della spesa pubblica incidono negativamente sull’andamento del PIL, dunque sulle entrate tributarie, peggiorando i bilanci, non migliorandoli. Di certo gli effetti sociali dei tagli saranno devastanti.
Un tempo si chiamavano le promesse del Pievano Arlotto quelle che fanno Giorgetti e la Meloni circa la spesa sanitaria: “Il Governo si impegna a salvaguardare il livello della spesa sanitaria assicurandone una crescita superiore a quella dell’aggregato di spesa netta”.
Il governo parla di crescita nominale, ma quella reale è una decrescita! Si può far decrescere la spesa sanitaria reale un po’ meno della media, ma a discapito di istruzione, investimenti in ambiente e tecnologie ecc.
Tutte queste analisi, e le relative cifre del governo e della Commissione esposte in complicate tabelle, sono esercizi metafisici basati su assunzioni arbitrarie in un mondo pieno di instabilità geopolitica, che la politica estera europea, schierate dalla parte sbagliata dei conflitti, contribuisce a destabilizzare. Curiosamente, infine, in passato si era soliti accusare la Commissione europea di sottostimare gli effetti retroattivi (negativi) sulla crescita del PIL delle misure di contenimento fiscale, i cosiddetti moltiplicatori fiscali. Governo e UPB, invece, accusano ora la Commissione di sovrastimarli. Al governo italiano piace infatti stimare effetti retroattivi meno devastanti sul PIL e sulle entrate fiscali, onde evitare tagli di spesa ancora più massicci. Con tutta probabilità, invece, sia il governo che la Commissione continuano a sottostimare gli effetti negativi dell’aggiustamento fiscale.
Nel complesso l’Europa si sta apprestando a compiere i medesimi errori dello scorso decennio adottando politiche di austerità e rinunciando agli investimenti in ambiente e tecnologia della cui necessità si è fatto interprete il Piano Draghi.
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