Europeisti no, realisti sì
Un mia recente intervista ha fatto sollevare più di un sopracciglio ai miei
amici, per metterla all’inglese. Uno di questi, che ringrazio, mi ha dedicato
addirittura un editoriale su Sollevazione (luogo appropriato per la detta espressione
facciale). Leonardo Mazzei riassume quanto dico in quattro punti:
1) «i parametri di Maastricht hanno perfettamente senso».
2)
“alla lettera UE
bisogna dare «una risposta ragionevole con proposte ragionevoli e non sgangherate,
come sbattere i pugni sul tavolo o minacciare di ribaltare i trattati»”.
3)
un “invito al
governo italiano affinché lavori al seguente compromesso: «L’Europa dovrebbe aiutarci ad abbassare drasticamente i tassi
d’interesse sui nostri titoli pubblici e l’Italia impegnarsi, firmando un
memorandum, a una stabilizzazione, non riduzione, del rapporto debito/Pil».
4) “lo strumento "per cambiare l'Europa", ...
per Cesaratto è l'aumento progressivo del "bilancio federale",
obiettivo da raggiungere anche alleandosi con Macron”.
Forse è bene ricontestualizzare certe affermazioni che, come le mette Mazzei, mi farebbero preoccupare di me stesso.
1.
L’analisi economica delle unioni monetarie
Sono sempre stato sospettoso dell’attacco
semplicistico ai “parametri di Maastricht”. Facciamo un passo indietro. Le
unioni monetarie si dividono in sostenibili (o complete) ovvero insostenibili
(o incomplete).
Sono sostenibili le unioni monetarie che: a)
sono fra paesi abbastanza omogenei da avere bilance commerciali fra loro in
equilibrio (non importa che siano in equilibrio quelle verso l’esterno
dell’unione, questa può sempre svalutare la propria divisa per aggiustare il
disavanzo esterno); o che b) sebbene non completamente omogenei economicamente,
sono sufficientemente omogenei politicamente per cui si dotano di meccanismi
compensativi degli squilibri che l’unione monetaria può portare. Gli Stati
Uniti sono una via di mezzo fra i casi a) e b).
Gli Stati Uniti hanno i particolare un ampio
bilancio federale parte del quale redistribuisce risorse dagli Stati in surplus
infra-unione a quelli con disavanzi infra-unione. Consiglio qui il saggio di Barba e De Vivo. Uno dei loro grafici mostra bene la dimensione del bilancio federale
americano rispetto a quello, piuttosto ridicolo, europeo. In sostanza, in
America vi sono sia bilanci nazionali - dell’ordine complessivo del 15% del PIL
- che un bilancio federale molto ampliatosi negli anni della crisi da un valore
storico attorno al 20%.
Il bilancio
dell’UE è minuscolo, meno dell’1% del PIL dell’Unione, a fronte di ampi bilanci
nazionali (non vi sono entrate fiscali europee, la spesa europea dipende dalle
sovvenzioni nazionali e non sono contemplati disavanzi, come accade normalmente
a livello nazionale). Si noti come in America, per contro, il bilancio federale
manifesti ampi disavanzi, mentre gli Stati locali sono in sostanza in pareggio.
Infatti, come fra le regioni italiane vi è un ”patto di stabilità interno”,
così accade fra gli Stati Americani. I vincoli fiscali a là Maastricht sono parte
dell’impianto di una unione monetaria completa come quella americana.
Com’è noto, il
bilancio federale americano è poi affiancato dalla Federal Reserve, la banca
centrale americana (in realtà come per l’Eurosistema, la FED è un sistema di
banche federali macro-regionali che non fanno capo a nessuno Stato in
particolare). L’unione monetaria americana è così contraddistinta da due
istituzioni federali, Tesoro e FED che possono così coordinarsi - la FED ha la
sua indipendenza, ma essendo vincolata al sostegno dell’occupazione è di fatto
obbligata al coordinamento della politica monetaria con quella fiscale. In
Europa, ahimè, la BCE non solo non è vincolata al perseguimento della piena
occupazione (se non in subordine alla stabilità dei prezzi), ma le manca anche
l’interlocutore, un Tesoro federale.
Questo ci porta
alla ragione dei vincoli fiscali a là Maastricht.
Il punto è che se
ciascuno Stato fosse libero di incorrere in disavanzi e crescita del debito
sicuro di essere soccorso dalla monetizzazione del debito da parte della BCE, o
di una condivisione del rischio da parte degli altri Paesi (sotto forma di
messa in comune dei debiti), si potrebbe scatenare una concorrenza fra Paesi a
fare deficit, “tanto le conseguenze ricadono su tutti”. Gli economisti lo
chiamano “moral hazard”. Allora servono regole fiscali volte al pareggio dei
bilanci degli Stati locali, oltre all’impedimento alla BCE di sostenere singoli
Stati. Negli Stati Uniti è così, ed è così anche nell’Unione economica e
monetaria europea (UME).
Stiamo così
assolvendo l’UME? Assolutamente no.
Il punto è che
l’assenza di un bilancio federale nell’UME la rende una unione monetaria
incompleta. Negli USA il bilancio federale ha due compiti:
(i)
redistribuire risorse fra gli Stati; ciò impedisce crisi di bilancia dei
pagamenti con collegate crisi fiscali: attraverso le risorse ottenute dagli
altri Stati, gli Stati più poveri potranno finanziare i disavanzi commerciali
esterni e i loro governi potranno offrire un sostegno pubblico agli standard di
vita sì da perequarli agli Stati fratelli; inoltre se alcuni Stati locali sono
colpiti da shock asimmetrici - momenti di crisi che colpiscono alcuni, ma non
altri Stati - essi pagheranno in automatico meno imposte e riceveranno sempre
in automatico più sussidi.
(ii)
agire come strumento anticiclico e di crescita per l’intera federazione
potendo la politica fiscale federale adiuvarsi del sostegno dell’istituzione
gemella FED.[1]
Questo in Europa
non c’è. Come ci siamo spesso
detti, non ci sono le condizioni politiche – una sufficiente solidarietà fra
cittadini che pur appartenenti a diversi Stati si senta un unico popolo –
perché ciò accada.
Per inciso, in
realtà con Draghi la BCE è andata oltre quello che era ritenuto il proprio
mandato con le operazioni annunciate con famoso “whatever it takes”: la
possibilità di un intervento massiccio a favore di uno Stato in cui tassi
fossero saliti a livelli insostenibili e che fosse dunque costretto, se non
sostenuto, a uscire dall’euro e tornare solvibile ridenominando il debito nella
nuova valuta di emissione. Tale intervento era (ed è) subordinato a un
“memorandum of understanding”, a un accordo, di aggiustamento fiscale (in cui
peraltro, parte del debito è rilevato dall’European
Stability Mechanism, dunque riemesso da quest’ultimo a tassi più bassi).
2.
Implicazioni politiche:
europeisti no, realisti sì.
La conclusione è
che ci si deve liberare al contempo di Maastricht e dell’euro (aut
simul stabunt
aut simul cadent), non si può attaccare i parametri senza attaccare al contempo
l’euro, come la sinistra-zombie ha fatto per anni, o come Salvini sembra fare
ora. L’esperienza
indica infatti che certamente le regole fiscali si possono pure violare, ma a
crearti problemi sono poi i mercati, la lievitazione dei costi di indebitamento
(le sanzioni, che ora sono semi-automatiche a meno che lo Stato incriminato non
raccolga una minoranza sostanziosa che le blocchi, sono solo un problema aggiuntivo).
Pensare dunque di
basare la propria strategia politica sul “violare Maastricht”, magari pensando
che ti facciano emettere i mini-Bot per finanziare la spesa senza ricorrere al
mercato, porta il Paese alla Troika, oppure all’uscita. I mini-Bot sarebbero peraltro
visti come l’anticamera dell’uscita, specie se emessi non come biglietti, ma in
forma elettronica – dunque predisponendo un nuovo sistema di pagamenti in
preparazione alla disconnessione da Target 2 che consegue all’uscita. Del resto,
solo piccoli debiti della PPAA potrebbero essere redenti in biglietti, a meno
di dotarsi di carriole e guardie armate. Spacciarli poi come “assicurazione”,
mai un evento indipendente dalla nostra volontà facesse saltare l’euro, mi
sembra proprio posticcio. Ma alcuni acuti amici sembrano crederci (e anche
Munchau).
E’ naturalmente
possibile che Salvini abbia in mente di alimentare la crisi degli spread sì da
portare il Paese alla scelta fra Troika o abbandono dall’euro. Non è chiaro se
sia veramente così. E se non lo è, ci stanno portando se non alla Troika, alla
rovina.
Spero in tutto questo che i lettori siano consapevoli che
la dinamica del rapporto debito PIL
dipende da tre fattori:[2] il tasso
di interesse medio sul debito, il tasso di crescita e il saldo primario; Se il
tasso di interesse è inferiore a quello di crescita (intuitivamente,
indebitarsi costa poco), i Paese può stabilizzare o diminuire il rapporto pur
perseguendo saldi primari negativi; la combinazione è virtuosa perché il
deficit spending aiuta l’aggiustamento favorendo il tasso di crescita. Se
invece il tasso di interesse è superiore a quello di crescita (intuitivamente,
indebitarsi costa molto), il Paese può cercare di stabilizzare o diminuire il
rapporto attraverso saldi primari positivi, la famosa austerità; quest’ultima,
tuttavia, intralcia l’aggiustamento poiché nuoce al tasso di crescita,
trasformando l’aggiustamento in una fatica di Sisifo. Di questa roba si è
parlato molto in questi mesi dopo un intervento di Oliver Blanchard; sebbene
scritto da avversari, si guardino qui le stime sui rapporti
debito/Pil con diverse ipotesi sui tassi, sì da rendersi conto della china
insostenibile su cui è il Paese (non sto dicendo, attenzione, che c’è un
qualche rapporto debito/Pil magico da rispettare; insostenibilità vuol dire che
il rapporto aumenta senza sosta). Ça va sans dire che gli
economisti eterodossi ragionano su questo dal Documento degli economisti
del 2011, ispirato anche da Luigi Pasinetti che aveva scritto molti contributi
in merito all’aritmetica di Maastricht; si veda anche Cesaratto
& Zezza.
Se dunque lo
spirito del governo è quello di rimanere nell’euro, lo spirito della mia
intervista era di indicare degli obiettivi di contrattazione con l’Europa se
non realistici, almeno più plausibili. Un obiettivo è allora di dire: i
fondamenti economici dell’Italia non sono insani, anzi sono in generale
migliori di quelli francesi e spagnoli, e il punto dolente, il rapporto
debito/Pil non lo è se i tassi medi sul debito fossero sostanzialmente più
bassi, e non v’è ragione per cui non lo siano. Allora, cara Europa, stipuliamo
un patto (qui e qui), tu fai in modo che i
tassi scendano, e noi ci impegniamo alla stabilizzazione del rapporto
debito/Pil e, se crescita e occupazione riprendono in maniera significativa,
persino a una sua lenta riduzione. Lo vuoi fare sotto le regole del Whatever it takes?
Bene, purché il memorandum sia espansivo e non recessivo.[3]
Bene, purché il memorandum sia espansivo e non recessivo.[3]
Mentre la
riduzione dei tassi a livelli quasi-tedeschi (francesi, diciamo) è questione di
vita o di morte e ci darebbe respiro economico, un governo propositivo farebbe
ulteriori mosse politiche in Europa. Gli interstizi sono piccoli, è vero: però
c’è un contrasto Makron/Merkel; e in Germania sull’onda dei verdi ci sono voci
critiche contro la politica del governo del pareggio di bilancio (il famoso Schwarze
Null).[4] Sebbene
la razionalità non prevalga certo in Europa, un governo che fa politica appoggerebbe un percorso verso un bilancio federale che cominci con un
consistente piano di investimenti europei finanziato con l’emissione di titoli
europei; le sanzioni sugli squilibri di partite correnti andrebbero inoltre
attuati e rafforzati (rendendo più simmetriche le sanzioni, ora i deficit sono
fischiato al 4%, i surplus solo al 6%; in più si deve sanzionare anche
l’accumulo di crediti netti verso l’estero).
Il presente
governo mi sembra riesca per ora solo a far lievitare gli spread, abbaiando
alla luna sbagliata (i parametri europei), senza proposte ragionevoli
all’Europa (guardate che la riduzione dei tassi conseguita dagli altri paesi è
formidabile, e i tassi bassi sono qui per durare, un’occasione che stiamo
perdendo).
Capisco che tutto
questo deluda gli ultras dell’Italexit, ma non è nulla che io non abbia detto e
scritto già nel passato. Mi sono scelto gli interlocutori sbagliati? No. Ho
scelto di discutere con coloro che sono critici del disegno europeo di
svuotamento delle sovranità democratiche, che credono nello stato nazione, che
non sono europeisti, che sono Keynesiani e per il welfare state. Europeisti no,
realisti sì.
Su queste basi
credo si potrebbe ricostituire una sinistra-sinistra italiana alla danese:
radicale sui diritti sociali e l’economia; ferma sulla priorità dei diritti del
proprio popolo, ma pronta ad una politica estera di cooperazione in Europa e
nel mondo - con l’idea che devi sempre prima aiutare te stesso/a prima di
aiutare il prossimo.
La mia
impressione è che da troppo tempo siamo insabbiati sulla questione anti-Euro/pa
senza venirne a capo. Abbiamo caratteristiche che ci differenziano dalla
sinistra-zombie, ovvero rigettiamo fermamente l’europeismo da salotto bene e le
analisi anti-keynesiane. Possiamo dunque permetterci di sostenere laicamente
che il Paese deve imporre all’Europa politiche che gli consentano – pur nei
limiti della permanenza nell’euro – di crescere in linea col resto d’Europa.
Esiste una questione italiana in Europa, dobbiamo essere noi italiani i primi a
porla. Non chiediamo né aiuti né prestiti, sostegno alla riduzione dei tassi sì,
ciò che ci è politicamente dovuto per i prezzi pagati dal Paese nell’euro (la
perdita di un cambio competitivo) e ai tremendi errori della politica economica
europea di questi anni (ritardo nell’intervento della BCE, austerità fiscale). L’Europa
avrebbe in cambio una stabilizzazione politica ed economica dell’area euro.
Certo, la
debolezza potenziale di tale posizione è che l’Europa possa ritenere la
stabilizzazione dell’eurozona indipendente dall’Italia – che marcisca pure ed
esca se ne ha coraggio. Capisco. L’Europa non ci piace e la consideriamo un
avversario, ma il realismo può forse indurci a una strategia di trattativa. Poi si vedrà.
PS è evidente che una riduzione dei tassi avrebbe effetti relativamente lenti sul tasso medio effettivo sullo stock del debito (la durata media del debito è di 7 anni). Questo significa che all'Italia dovrebbe essere concesso un'allentamento dei vincoli magari nell'ambito di un'espansione concordata (vedi nota 4).
PS è evidente che una riduzione dei tassi avrebbe effetti relativamente lenti sul tasso medio effettivo sullo stock del debito (la durata media del debito è di 7 anni). Questo significa che all'Italia dovrebbe essere concesso un'allentamento dei vincoli magari nell'ambito di un'espansione concordata (vedi nota 4).
[1] Un’unione monetaria fra Stati
economicamente omogenei può fare a meno di (i), ed anche di (ii) se sostituito
da un coordinamento fiscale sorretto dalla banca centrale comune. Siccome poi
le cose nella storia cambiano (e le asimmetrie sorgere), sarebbe comunque
consigliabile che qualunque unione monetaria si dotasse di istituzioni
complete.
[3] Al riguardo Oliver Blanchard ha proprio proposto di buttare a
mare i parametri fiscali, intervenendo solo se un Paese sta accumulando debito
in maniera palesemente insostenibile, sostituendo un coordinamento fiscale
espansivo in luogo di gettare continua sfiducia sulla correttezza fiscale dei
Paesi membri. Come nota Eurointelligence (10/6/2019), tuttavia, ciò può non
essere sufficiente per i mercati senza un supporto da lender of last resort
della banca centrale. Forse Blanchard non ha nominato la ECB ritenendo che essa
già operi una politica di bassi tassi che rende sostenibili i debiti pur in
presenza di espansione fiscale. L’eccezione italiana richiede tuttavia che non
solo l’UE, ma anche la BCE, lancino un deciso messaggio di fiducia sul debito
italiano. Coerente con tuttto questo è la proposta di Alberto Bagnai sul Financial Times di buttare a mare il concetto di "output gap" su cui si basano le regole europee e criticato da tutti gli economisti di buon senso.
[4] Lo ammetto, le dichiarazioni
della leader Grüne Annalena Baerbock al Corriere
della sera di qualche giorno fa sono scoraggianti: «Penso che in
Europa ci siano regole comuni che tutti i Paesi debbano rispettare. Riguardo
alle situazioni di bilancio passibili di procedura, com’è attualmente il caso
dell’Italia, significa che i governi nazionali devono presentare piani nei
quali spiegano in che modo attraverso un’equa politica fiscale e finanziaria
intendono ridurre il deficit e riportare sotto controllo il debito per evitare
una procedura d’infrazione. Quando non accade, la Commissione in quanto
guardiana dei Trattati deve avviarla».
Le proposte del Prof. Cesaratto da portare all'UE sono ragionevolissime. Temo però che i settori sovranisti della Lega, e gran parte della sinistra sovranista italiana si siano ormai convinti che la ragionevolezza non sia di casa nell'UE. Nella fattispecie, che l'establishment di grandi paesi come Francia e Germania non sia disposto ad accettare accordi che arrestino il percorso di riduzione dell'Italia ad una condizione semicoloniale e di paese cacciavite. Forse questo dibattito riguarda essenzialmente la valutazione dei nostri paesi partner (avversari?) sotto il profilo strategico.
RispondiEliminaBuongiorno signor Cesaratto, è sempre lucidissimo e anche questa volta ha ragione (peraltro scriveva queste cose anche nel suo libro dell'anno scorso, vedi ad esempio pag. 95/96)… ma come riuscire a chiedere, in pratica, una riduzione concordata dei tassi sul debito? Bisognerebbe che Conte facesse una sorta di 'road show' ufficiale, in pompa magna, a Bruxelles e mostrasse a politici europei e giornalisti, con tanto di grafici e numeri, snocciolati con pedanteria e precisione, l'incredibile sequela di avanzi primari che l'Italia ha realizzato negli ultimi venticinque anni. E dimostrasse anche, sempre con le cifre, l'impatto devastante degli interessi sulla spese pubblica italiana e che un'ulteriore riduzione della spesa DIVERSA dagli interessi significherebbe solo una ennesima debacle del rapporto debito/PIL.
RispondiEliminaQuesto discorso andrebbe fatto con l'assenso compatto di tutte le forze politiche italiane, perché se la spirale non ha fine l'impatto sarà terribile per tutti.
Pare invece che a molti piaccia l'idea di un Italia argentinizzata.
Mi sfugge la ratio dei ragionamenti pro austerity del PD (che ha nominato ufficiosamente prezzemolo Cottarelli a suo portavoce ufficioso): anche a me questo governo fa orrore e mi preoccupa moltissimo, ma non ci è bastato il governo Monti?
Allora tanto vale far sparire l'Italia: Lombardia alla Svizzera, Trentino e Alto Adige all'Austria, Piemonte, Val d'Aosta e Liguria alla Francia, Sardegna alla Catalogna, Sicilia a Malta, Puglia e Calabria alla Grecia, ecc... può essere un'idea, in fondo a parte il patriottismo fascistoide o quello da tromboni retorici, a molti italiani dell'Italia importa poco.
A Francia e Germania non dispiacerebbe poi fare qualche ulteriore spesuccia da noi. In fondo, se l'Italia affonda dovrà aggrapparsi al primo cavaliere grigio che arriverà in suo soccorso.
Ma l'UE dovrebbe essere un luogo di solidarietà reciproca, non una champion's League..
Saluti e grazie
Marco C. Bologna