Da New Europe, l’intervista al professore Sergio Cesaratto, docente di Economia Internazionale all’Università di Siena e nome ben conosciuto all’interno del dibattito critico sull’euro. Il professor Cesaratto spazia a tutto tondo su debito pubblico italiano e la sua sostenibilità, lo spread, le politiche economiche del governo gialloverde e lo scontro che si prospetta tra Italia e Unione europea. Scontro che, nelle sue parole, non sembra poter terminare, a causa della stolidità tedesca, se non con la distruzione di uno dei due contendenti.
di Ilia Roubanis, 28 settembre 2018
Il dibattito critico sull’euro è mainstream in Italia. L’attuale governo è una coalizione che comprende le tradizioni politiche sovraniste di sinistra e di destra.
L’economia è l’epicentro della discussione.
Fino all’inizio di questa settimana, il governo italiano ha tenuto fermi i suoi fondamentali impegni su una maggior redistribuzione e un minor carico fiscale. Tutto ciò ha spaventato i mercati, e da maggio 2018 i rendimenti dei titoli pubblici è raddoppiato. Le agenzie internazionali di rating e i mercati stanno esercitando ulteriori pressioni. La Commissione europea richiede, ancora una volta, disciplina fiscale.
In questo clima di tensione, politica e profondamente economica, New Europe ha chiesto aiuto ad un economista per comprendere la mentalità italiana. Sergio Cesaratto (SC) è Professore di Economia Internazionale all’Università di Siena, in Italia. Insegna Economia internazionale e Politica Fiscale e Monetaria dell’Unione monetaria europea (UME). Il suo più recente volume è “Chi non rispetta le regole? Italia e Germania – Le doppie morali dell’euro” edito da Imprimatur.
Il professor Cesaratto ha contribuito in maniera importante al dibattito post-keynesiano, concentrando l’attenzione sulla teoria della crescita e dell’innovazione, sulle riforme delle pensioni, sull’economia monetaria e la crisi europea. Per questa ragione, è anche una fonte spesso citata in quello che adesso è il dibattito euro-critico, ormai divenuto mainstream in Italia.
New Europe (NE): Il Giappone ha un rapporto debito-PIL del 250%, la Grecia del 180% e l’Italia del 132%. Perché gli investitori si preoccupano?
Sergio Cesaratto (SC): Naturalmente non esiste un livello naturale del rapporto debito pubblico-PIL. Sono spesso evocati due fattori per valutare la sostenibilità del debito pubblico:
1. la sua denominazione, in valuta nazionale o estera
2. se è detenuto principalmente da creditori nazionali o esteri
Un debito denominato in valuta nazionale e detenuto dai residenti è generalmente ritenuto sicuro. Questo è il caso del Giappone. In particolare, in Giappone i principali detentori dei titoli di stato sono la banca centrale e il sistema finanziario nazionale che, prevedibilmente, non speculeranno contro il proprio governo.
Che il debito pubblico giapponese sia detenuto a livello nazionale non è un fatto sorprendente. Poiché il Giappone tradizionalmente registra avanzi commerciali con l’ estero, l’economia non dipende dai prestiti esteri. Inoltre, il suo debito è denominato in Yen e il governo può fare affidamento sulla Banca del Giappone come acquirente di ultima istanza, cosa che rassicura gli investitori privati. Questo significa anche che i tassi d’interesse – e i rendimenti dei titoli – sono sotto controllo.
Questo circolo virtuoso mantiene stabile il rapporto debito-PIL. Se il debito del Giappone fosse denominato in una valuta estera e detenuto da non-residenti, l’economia sarebbe esposta ad ondate di panico finanziario. Nel caso di Grecia, Spagna e, parzialmente, dell’Italia, non c’è una banca centrale che possa agire come acquirente di ultima istanza.
Il problema del debito pubblico italiano è la sua denominazione in una valuta straniera (l’euro) e la mancanza di una banca centrale nazionale, cose che vanno di pari passo con la mancanza di controlli sui flussi di capitale. Ma, a differenza della Spagna, l’Italia non ha una esposizione significativa con l’estero.
NE: L’Italia come ha raggiunto questo livello di debito? Pensa sia un caso di sperpero o si tratta di una questione più sistemica?
SC: Il grande balzo del debito pubblico italiano ebbe luogo negli anni ’80.
Gli anni ’70 erano stati un periodo di conflitto sociale che aveva portato all’instabilità dei prezzi. Un cambio flessibile, comunque, preservava la competitività esterna, mentre una politica accomodante da parte della Banca d’Italia evitava che il debito pubblico salisse. Alla fine del decennio, l’élite italiana scelse un nuovo regime di politiche economiche basato sul cambio fisso (lo SME) e una banca centrale indipendente.
La perdita di competitività esterna comunque portò a problemi di domanda aggregata e, come ha affermato Stiglitz, paesi con deficit di partite correnti persistenti o in espansione sono spesso obbligati a fare deficit fiscali per sostenere la domanda aggregata: “Senza deficit fiscali, avrebbero un alto livello di disoccupazione“, ha scritto Stiglitz nel 2010.
Questi deficit fiscali e gli alti tassi d’interesse necessari a sostenere la parità di cambio nello SME portarono all’esplosione del rapporto debito pubblico-PIL. Il tentativo di imporre un “vincolo esterno” sta a fondamento del problema del debito italiano.
Pur avendo ripreso un po’ di fiato dopo l’uscita dallo SME nel 1992, l’Italia ha ripetuto l’errore di “legarsi le mani” con la partecipazione all’Unione Monetaria Europea. Nel primo decennio dell’euro, l’Italia ha usato i tassi d’interesse più bassi e una politica di bilancio restrittiva per ridurre il rapporto debito-PIL da circa il 125% al 100%, al prezzo di una domanda interna stagnante, che ha mortificato la crescita degli investimenti e della produttività.
La perdita di competitività esterna – dovuta anche alle politiche neo-mercantiliste tedesche – non ha aiutato. Come conseguenza della crisi finanziaria e, soprattutto, dell’intervento ritardato della Banca centrale europea e dell’austerità, il rapporto debito/Pil è saltato di nuovo al 130%.
L’Italia ha disperatamente bisogno di un rilancio della domanda interna attraverso una politica di bilancio espansiva. Ciò richiede che i tassi d’interesse rimangano paragonabili ai livelli francesi. A questo fine, possono e dovrebbero essere prese delle misure a livello europeo.
Sarebbe necessario un sostegno mirato alla piena sostenibilità del debito pubblico, come proposto dal Professor Paolo Savona in un recente rapporto. L’Italia ha praticato il rigore nei conti pubblici sin dal 1991, ben più della Germania, per cui è meritevole di tale sostegno. Naturalmente dovrebbe siglare col sangue un patto di stabilizzazione del rapporto debito/Pil (o di lenta riduzione compatibilmente con la crescita).
“È il tasso d’interesse, stupido!” per parafrasare Clinton.
NE: Perché il costo dei prestiti all’Italia da maggio è raddoppiato? Ha questo qualcosa a che vedere con il Ministro degli Affari Europei Paolo Savona, che ha spaventato le agenzie di rating, il Presidente (Sergio Mattarella) e la Commissione europea?
SC: Paolo Savona è un economista moderato ed esperto. Il suo recente rapporto ha avanzato proposte ragionevoli, che naturalmente saranno ignorate da Berlino.
Il problema dell’Europa è la mentalità dell’élite tedesca, caratterizzata da un modello mercantilista che insiste sulla moderazione fiscale e salariale. Soprannominato dallo storico Carl-Ludwig Holtfrerich “mercantilismo monetario“, questo modello tedesco fu inizialmente sostenuto dal ministro delle finanze (e più tardi Cancelliere) Ludwig Erhard negli anni ’50.
Insomma, il problema dell’economia europea è la Germania, non l’Italia!
Il presidente Mattarella appartiene a quell’élite italiana europeista ad ogni costo. Questa élite non ha davvero fiducia nella capacità del paese di governarsi e crede che l’Italia, fuori dall’Europa, sarebbe persa. Io sostengo che la disciplina europea (o tedesca) è la prima responsabile dell’impennata del debito pubblico, della stagnazione economica e del declino.
I mercati finanziari sono spaventati perché gli investitori temono che l’Italia possa deragliare in conseguenza di un’espansione fiscale priva del sostegno europeo. Così lo spread tra BTP e BUND è salito.
Vedete, la Francia ha uno spread molto basso rispetto al BUND, di circa 35 punti base, mentre l’Italia è ben oltre i 250 punti (ma lo spread era alto anche prima di questo governo). Senza questa abnorme spesa per interessi il governo potrebbe realizzare una parte dei suoi obiettivi stabilizzando il rapporto debito/Pil – e con la crescita, persino lentamente ridurlo. Di nuovo, è una questione di tassi d’interesse. L’Italia ha bisogno di un governo affidabile, degno di fiducia per i nostri partner, i quali, a loro volta, dovrebbero garantire il calo dei tassi d’interesse italiani.
Tuttavia, siamo in circolo vizioso nel quale la mancanza di fiducia verso l’Italia genera governi meno affidabili. Tuttavia, anche con governi “affidabili”, credo che l’Europa non abbia la lungimiranza per tendere una mano (che non le costerebbe nulla, peraltro).
NE: La Lega sembra spingere l’economia verso un modello che agevoli le imprese, favorendo una generosa riduzione del costo d’impresa: una flat tax a due livelli (15-20%) e nessun aumento dell’IVA. Il Movimento 5 Stelle sembra puntare ad uno stimolo guidato dalla domanda, con un reddito minimo garantito (€ 780) e una revisione delle riforme delle pensioni.
Due domande:
L’Italia può fare tutto questo e mantenere un deficit di bilancio inferiore al 3%, o persino all’1,6% come sostenuto dal Ministro italiano dell’Economia Giovanni Tria?
SC: Come ho detto, se l’Italia avesse gli stessi tassi d’interesse della Francia sul debito pubblico, questo permetterebbe una moderata politica di bilancio espansiva coerente con la stabilizzazione del rapporto debito-PIL.
Per come la vedo, la posizione del governo italiano dovrebbe essere la seguente: l’Italia ha mantenuto un buon livello di disciplina fiscale dal 1991 (un avanzo primario); se non fosse per le politiche sbagliate della UE e della BCE, il rapporto debito-PIL sarebbe al livello francese (100%). In ogni caso, il 130% non fa molto differenza. Perché l’Italia non dovrebbe ottenere il sostegno europeo in cambio di un impegno alla stabilizzazione del rapporto debito-PIL al livello attuale? È ragionevole.
Sfortunatamente, Berlino dirà nein. Con il cambio alla direzione della BCE e un governo tedesco più spostato a destra, le cose potrebbero anche peggiorare. L’Italia dovrebbe allora prepararsi all’uscita. Il principale problema di un’uscita sarebbe la possibile ritorsione franco-tedesca. Alla faccia dei sogni europei di Mattarella.
NE: Come economista, quali politiche pensa che aiuterebbero di più la crescita italiana? Servono le misure sia del M5S sia della Lega?
SC: L’Italia non ha bisogno di una flat tax, ma di una campagna contro l’evasione fiscale.
Naturalmente, quando possibile, minori tasse sono desiderabili, ma non è questa la priorità. L’economia deve dare precedenza alle famiglie sotto la soglia di povertà. Comunque, preferirei un “piano per l’occupazione” piuttosto che un reddito di base generalizzato. Anche le infrastrutture e l’istruzione sono delle priorità.
NE: Le banche italiane, greche e spagnole hanno un’enorme mole di prestiti in sofferenza (NPL). Questo è dovuto, in parte, alle persone che non sono in grado di ripagare i propri mutui. In parte, perché le piccole e medie imprese non sono più remunerative. La disciplina fiscale sta aiutando le banche a ridurre i loro prestiti in sofferenza?
SC: Gli NPL sono chiaramente il risultato dell’austerità.
Pertanto, una continuazione delle stesse politiche non è d’aiuto. Soprattutto, la mancanza dell’ombrello di una banca centrale sul debito pubblico e tassi d’interesse in crescita influiscono anche sul costo del credito alle aziende e alle famiglie italiane.
Le banche italiane fanno il loro lavoro sostenendo l’economia. Le grandi banche tedesche sono istituzioni speculative, tra le protagoniste della crisi finanziaria statunitense. Sono ancora piene di asset tossici. L’opinione pubblica tedesca dovrebbe essere meglio informata su questo. Come sottolinea Adalbert Winkler, gli economisti tedeschi si lamentarono quando Draghi si mosse a sostegno del debito pubblico italiano, ma non dissero nulla quando il governo tedesco salvò le loro banche impelagate nella crisi americana.
L’attuale caduta del valore dei titoli del governo italiano ha influenzato negativamente anche i bilanci delle banche italiane. Naturalmente, obbligarle a sbarazzarsene sarebbe un suicidio.
NE: La Banca centrale europea terminerà il suo programma di acquisto titoli nel dicembre 2018. Questo come influirà sull’economia italiana?
SC: A parità di condizioni, non cambierà molto: i buoni del tesoro italiano sono già molto penalizzati (in modo ingiustificato). Certo, se ci fosse un attacco speculativo al debito italiano, avere un Draghi o un Trichet farebbe la differenza. A questo proposito, sembra che anche la Germania voglia evitare un nuovo presidente controverso come Weidmann.
Tuttavia, le riforme della governance economica europea proposte da Berlino sono destabilizzanti. L’intenzione è quella di privare la Commissione europea del potere di controllare e sanzionare l’osservanza delle norme fiscali, consegnandole a un Fondo monetario europeo e da ultimo ai mercati. Questo lascia poco spazio alla negoziazione politica, cosa che, in definitiva, è suicida. Nessun governo italiano può aderire a tali riforme.
NE: L’Italia distruggerà l’eurozona?
SC: La mia risposta spontanea sarebbe “Lo spero”.
Ritengo che l’Eurozona è una gabbia anti-democratica e straniera. In una certa misura, questo vale anche per l’UE, che è un’istituzione neoliberista. Ad esempio, l’UE ha vietato le politiche industriali sostenute dallo stato e costretto l’Italia a privatizzare le sue imprese in mano pubblica, principalmente vendendole a società straniere, che spesso le hanno smantellate.
L’Italia distruggerà la zona euro se Bruxelles spingerà il paese alla distruzione attraverso speculazioni di mercato e politiche di austerità.
Chi sta distruggendo l’Eurozona e il commercio globale: l’Italia o gli avanzi esteri e fiscali tedeschi? Il mio timore è che, anche se esposta a un attacco finanziario e a una Troika, l’Italia non si ribellerà ai diktat e permetterà a un nuovo Mario Monti di massacrare il paese nel nome dell’Europa. Un candidato è Enrico Letta. Sfortunatamente, la tragedia greca ci insegna che la resilienza della gente comune alle difficoltà economiche (e alla stupidità) è infinita.
(Voci dall'estero, a cura di Saint Simon - ottobre 5, 2018).
La vera domanda è: L'Eurozona, dopo la Grecia, distruggerà anche l'Italia ?
RispondiEliminaAlla domanda L’Italia distruggerà l’eurozona? viene risposto
RispondiElimina'la mia risposta spontanea sarebbe lo spero'. Mi domando: si rende conto l'intervistato di cosa significherebbe l'uscita dell'Italia dall'euro per i redditi dei dipendenti, per le pensioni e per i risparmi in titoli di stato riconvertiti in lire? Forse per quegli imprenditori che puntano principalmente sulle esportazioni un ritorno alla lira e alle pratiche di svalutazioni competitive questa eventualità sarebbe auspicabile, ma per i redditi e i risparmi di gran parte degli italiani no. Inoltre tornerebbero ad esservi enormi difficoltà nel mantenere la coesione dello stato e probabilmente la Lega riprenderebbe la qualifica e la politica della Lega Nord.
Ho postato due volte un commento che, a quanto pare, sono stati cassati dopo il controllo preventivo. Forse le domande che ponevo sono risultate sgradite e quindi non pubblicabili. Peccato! Tenga presente che una teoria che si sottrae a contraddittori e approfondimenti non mostra basi robuste.
RispondiEliminaLeggo e inserisco i commenti solo salturiamente, il tempo è tiranno.
RispondiEliminaLei ha ragione, ma i nostri governanti spendono e piùspesso sprecano di più di quello che hanno a disposizione. Se un giorno trovassero il modo di incassare tutta l'evasione fiscale, di lì a qualche mese sarebbero in deficit ancora. Quindi, tutto sommato, l'atteggiamento dei tedeschi non è così incomprensibile.
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