sabato 14 ottobre 2017

Recensione su il manifesto

Una versione più breve su il manifesto della recensione già pubblicata su MicroMega on line.

«Ricchi per caso», il capitalismo e le istituzioni inefficienti


Sergio Cesaratto
L’Italia si avvia alle elezioni senza che la politica indichi una direzione per il Paese. Il volume “Ricchi per caso” (il mulino, 2017, 319 pp. 19€) indaga le ragioni profonde del drammatico passaggio storico, fra benessere e declino, che l’Italia sta attraversando. Il lavoro è curato da Paolo Di Martino (Università di Birmingham) e Michelangelo Vasta (Università di Siena), primi inter pares in un gruppo di storici economici (che include G. Cappelli, A. Colli, E. Felice, A. Nuvolari e A. Rinaldi). Al centro vi sono le istituzioni socio-politiche che costituiscono la sua costituzione reale – ostacolo ai nobili intenti della Costituzione formale. Gli autori si rifanno a un filone della letteratura economica che identifica nell’appropriatezza di regole e istituzioni, formali e informali, l’anima dello sviluppo in un continuum fra società politica e società civile spesso dimenticato da coloro che si scagliano contro la casta.

La letteratura economica sulle istituzioni non è senza obiezioni. Rammento, ad esempio, l’accesa discussione su The New York Review of Books nel 2012 in cui Jared Diamond (il famoso autore di “Armi, acciaio e malattie”) criticava Daron Acemoglu, uno dei padri del moderno istituzionalismo, di aver trascurato le basi materiali (l’esistenza di un sovrappiù) che presiedono all’emergere delle istituzioni. Fra i molti pregi, un limite di “Ricchi per caso” è il mancato approfondimento della varietà istituzionale nel nostro Paese quale spiegata dalle condizioni materiali di produzione che si sono storicamente affermate nelle diverse aree – conducendo, come argomentato nel volume, a istituzioni più “estrattive” nel Mezzogiorno, in cui l’élite tende ad appropriarsi delle risorse, a fronte di istituzioni più “inclusive” in Alta Italia. Le istituzioni una volta stabilitesi predeterminano il futuro e possono anche “contaminare”, nel bene o nel male, le istituzioni di altre regioni. Sono terreni su cui questo contributo e la storia del nostro Paese sollecitano studi più approfonditi.
Il volume si concentra in particolare sull’appropriatezza delle istituzioni formali di cui il Paese si è dotato in relazione all’innovazione. Sottolineano gli autori come la capacità di innovare è il minimo sindacale in un mondo capitalista dove si deve sempre correre per rimanere allo stesso posto. Le classi dirigenti italiane, in particolare nella fase post-unitaria, ebbero tuttavia scarsa consapevolezza dell’importanza dell’istruzione di base, soprattutto per il riscatto del Sud, predeterminando il permanere di forti divari. Anche la debolezza strutturale dell’apparato manifatturiero italiano – con una sproporzione di piccole, medie e micro imprese – è stata favorita da particolari istituzioni legislative e politiche. L’ideologia dominante è stata spesso volta a favorire la piccola impresa. Il diritto non ha sostenuto il rischio imprenditoriale, mentre la farraginosità di norme e burocrazia ha favorito lo sviluppo di professioni “avventizie”, come i commercialisti. La grande impresa ha privilegiato la protezione del mercato interno allo sviluppo multinazionale.
Il volume è molto pessimista circa il futuro - il titolo “Ricchi per caso” non è accompagnato da un punto di domanda - suggerendo una casualità della crescita italiana nel dopoguerra, una deviazione fortuita da un trend di crescita “lento” a cui siamo destinati a tornare. Sottolineando al riguardo il ruolo delle istituzioni, il volume enfatizza soprattutto i fattori che condizionano lo sviluppo dal “lato dell’offerta”, sebbene gli autori prendano nettamente le distanze da coloro che attribuiscono ogni male alle rigidità istituzionali nei mercati del lavoro o dei prodotti. Il focus sull’offerta può nondimeno lasciare insoddisfatti coloro che assegnano al “lato della domanda aggregata” un ruolo altrettanto decisivo. Se, ad esempio, istituzioni appropriate costituiscono un presupposto per l’innovazione, la stagnazione della produttività è anche spiegata da fattori di domanda e da scelte culminate con la moneta unica. Essa non si è rivelata un canale efficiente per importare istituzioni virtuose dall’estero, bensì un vincolo istituzionale allo sviluppo democratico del Paese.
Il manifesto 14 ottobre 2017

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