Appello originale qui
"Perché
votare NO nel referendum costituzionale di ottobre - per la riconquista
dell'autonomia politica ed economica del nostro paese contro la tirannia
tecnocratica sovranazionale e dei trattati europei”.
Siamo di fronte a
una delle più grandi mistificazioni politiche e culturali dalla fine della
Seconda Guerra Mondiale
La
contro-riforma costituzionale adottata dal governo Renzi, il c.d. DDL Boschi,
viene presentata, dal governo e dalla quasi totalità dei media nazionali, come
la più importante razionalizzazione delle istituzioni mai realizzata nel nostro
paese, dopo decenni di politica degenerata e corrotta, da parte di una classe
politica "nuova", giovane e risoluta. In realtà, con questo disegno
di legge costituzionale, di cui va considerata la sinergia con la
"nuova" legge elettorale, l'Italicum,
siamo di fronte ad una delle più grandi mistificazioni, politiche e culturali,
a partire dalla fine della II Guerra Mondiale, pari se non peggiore della
stessa "riforma" costituzionale di Berlusconi, Bossi e Fini del 2005,
sonoramente battuta col voto referendario del 25-26 giugno 2006 dalla
maggioranza del popolo italiano.
L’attuale
classe politica non appare certo migliore di quella del recente passato,
soltanto perché giovane e, nella propria autorappresentazione, nuova. Essa
agisce con grande determinazione e sfrontatezza, verbale e legislativa, oltre a
scontare un vuoto culturale e del rispetto delle regole democratiche senza
precedenti nel periodo repubblicano. Con questo atto il governo Renzi intende
realizzare un progetto davvero ambizioso quanto pericoloso: esautorare il
parlamento dalle sue fondamentali prerogative e porre il nostro paese,
definitivamente, sotto il diretto controllo politico ed economico del capitale
finanziario transnazionale, di cui l’Europa dell’Unione monetaria è parte
integrante.
Avalla e consolida le “riforme” imposte dai trattati europei che esautorano
le politiche economiche nazionali ed erodono i principi democratici
costituzionali
1.
A partire dalla seconda metà degli anni ’80 del secolo scorso, con l’Atto Unico
europeo, prima, ed il Trattato di Maastricht, adottato nel 1992 ma con
particolare accentuazione negli anni successivi, a partire dall'ingresso
dell'Italia nell’area della moneta unica, le più importanti istituzioni europee
e mondiali (Commissione europea, Banca Centrale Europea, Fondo Monetario
Internazionale, Organizzazione Mondiale del Commercio, G-8) insieme ai governi
più forti e influenti dell’occidente hanno a più riprese auspicato e poi
imposto al nostro paese le tanto sbandierate "riforme", cioè: - le
riduzioni delle tutele e del potere di acquisto del lavoro e delle pensioni; -
l'esautoramento di ogni autonoma politica economica nazionale; - l'adozione e
la ratifica dei successivi e formidabili trattati europei, tanto invasivi
quanto scellerati (fiscal compact, six
pack accolto questo con l'inserimento del pareggio di bilancio in
Costituzione, passo che non era affatto imposto, ma che entra nell’indirizzo politico di governo con
il PNR 2011, deliberato dal Consiglio dei ministri il 13 aprile 2011, al punto 2.2
a). In tal modo sono poste le premesse per la distruzione dell'apparato
produttivo industriale, pubblico e privato, del paese e il conseguente
impoverimento generale, ed è preclusa al
paese l'adozione di sue proprie politiche di sviluppo a tutto vantaggio dei
paesi più forti dell'Europa, Germania in testa, che in questi anni hanno
goduto, anche grazie a ciò, di un ulteriore vantaggio competitivo.
Ma
ciò, evidentemente, non era ancora sufficiente.
Diventava,
infatti necessario (come raccomandato da J.P. Morgan Chase nel maggio 2013 con
un suo Paper) mutare la cornice
generale della convivenza civile e politica all'interno di ciò che rimane della
residua sovranità popolare degli stati europei, specie nei paesi più fragili e
periferici, e dunque attuare un superamento definitivo delle Costituzioni
nazionali ove ancora è presente il riconoscimento dei diritti sociali, ed in
particolare della nostra Costituzione repubblicana del '47, essendo tutto ciò
visto e additato quale portato “ideologico” novecentesco di compromesso tra
capitale e lavoro da superare secondo il volere dei " mercati" dei
capitali (finanziari).
I
Governi che negli ultimi anni si sono succeduti alla guida del paese hanno
tutti attuato politiche controproducenti sul versante dello sviluppo quanto
improntate alla più arcaica diseguaglianza, secondo il canone dell'austerità;
con gradazioni diverse tra l'uno e l'altro, si sono dimostrati i più diligenti
esecutori dei voleri del capitale transnazionale e, così facendo, hanno
aggravato la crisi, tuttora in corso, oltre che reso ancora più lontane le
condizioni fondamentali di convergenza tra i paesi centrali e periferici
dell'eurozona, spingendo questi ultimi in una posizione di crescente
“mezzogiornificazione”, ossia sempre più nelle retrovie dello sviluppo.
2.
Negli ultimi 25 anni i trattati europei si erano del resto già progressivamente
sovrapposti alle costituzioni novecentesche, con particolare accentuazione nei
confronti della nostra Carta fondamentale, imbalsamandola nella sua intera
prima parte e nei principi fondamentali, con la conseguenza pratica della disapplicazione
nei suoi stessi principi supremi (a
cominciare dal principio di uguaglianza, riconoscimento e tutela dei diritti
sociali e del lavoro, ripudio della guerra, limitazioni di sovranità in
condizioni di parità) che, al contrario, per consolidata giurisprudenza
costituzionale sono considerati immodificabili. Queste due fonti hanno origini
e programmi politici e culturali profondamente diversi e sotto certi aspetti
antitetici. I trattati traducono in economia un programma liberale-liberista e
consolidano una tecnocrazia a-democratica sul versante politico.
Le
Costituzioni, in particolare la nostra, mirano invece ad una democrazia
sociale con un'economia mista e con una significativa presenza del pubblico
nei settori nevralgici per l'economia e la società quali industria, scuola,
salute, credito, energia. In questo si traduce la forte affermazione di un
principio di eguaglianza formale e sostanziale, di diritti e libertà nella I
parte della Carta, che fu ad un tempo la novità storica della Costituzione del
1947 e la chiave per la sintesi delle diverse culture politiche che in essa si
ritrovarono. Ma la I parte della Costituzione chiede di essere attuata e
presuppone, a tal fine, politiche appropriate. Ma gli indirizzi di governo si
definiscono nelle forme che assumono le istituzioni e ne sono decisivamente
condizionati. L’attuazione della I Parte della Costituzione presuppone una
forma di governo parlamentare incardinata su assemblee elettive ampiamente
rappresentative. Come ha statuito la Corte costituzionale dichiarando la
illegittimità costituzionale del Porcellum
con la sent. 1/2014, rappresentanza politica, partecipazione democratica, voto
libero e uguale sono le pietre angolari della nostra democrazia, e ne
definiscono la forma e la sostanza. Questo assetto è radicalmente negato dalla
riforma della Costituzione ora proposta, con la soppressione del Senato
elettivo e la concentrazione del potere su Palazzo Chigi. Parimenti
stravolgente è la legge elettorale già approvata, per la previsione di un
altissimo premio di maggioranza a un solo partito, l’eventualità di un
ballottaggio senza soglia, parlamentari in prevalenza sottratti alla scelta
degli elettori con il voto bloccato sui capilista. “Riforme” devastanti, poste
in essere da un parlamento sostanzialmente delegittimato per la certificata
incostituzionalità del suo fondamento elettorale, e da maggioranze posticce
alimentate dai cambi di casacca e pronte a ogni forzatura delle norme
costituzionali e regolamentari. “Riforme” che non si giustificano certo con gli
esili argomenti di una governabilità che rimane solo apparente e di irrisori
risparmi nei costi delle istituzioni.
Questo
contrasto deve essere sciolto opponendo per via referendaria alle politiche in
atto la voce del popolo, e anzitutto vincendo il referendum costituzionale.
E
ciò deve essere il primo passo per ripristinare la democrazia sociale
costituzionale; a seguito del quale rivedere l'aberrante modifica dell'art.81
della Costituzione.
Votare
NO nel referendum costituzionale significa, dunque, votare contro la
tecnocrazia sovranazionale che, grazie alla presente manomissione della Costituzione
potrà appoggiarsi ad una monocrazia nazionale,
ancor più vassalla delle oligarchie europee e del capitale transnazionale, che
continuerà ad affo
ssare
lo sviluppo del paese con ancor più risolutezza.
Il
NO nel referendum è un SI’ al rilancio della democrazia prevista nella nostra
Costituzione fondata sulla sovranità popolare.
Primi
firmatari: Bruno Amoroso, Paolo
Bagnoli, Patrizia Bernardini, Lanfranco Binni, Michelangelo Bovero, Nicola
Capone, Antonio Caputo, Francesco Cattabrini, Sergio Cesaratto, Angelo Raffaele
Consoli, Anna Fava, Thomas Fazi, Gianni Ferrara, Guglielmo Forges Davanzati, Roberto
Lamacchia, Gerardo Marotta, Massimiliano Marotta, Siliano Mollitti, Tomaso
Montanari, Daniela Palma, Andrea Panaccione, Marco Veronese Passarella, Roberto
Passini, Marcello Rossi, Mario G. Rossi, Luca Rovai, Cesare Salvi, Gianpasquale
Santomassimo, Francesco Sylos Labini, Stefano Sylos Labini, Paolo Solimeno, Lanfranco
Turci, Massimo Villone.
Questo documento è stato elaborato all’interno
dell’Associazione Hyperpolis, (www.Hyperpolis.it) in
vista del referendum costituzionale che verrà indetto nel corrente anno.
Per adesioni: redazione@Hyperpolis.it
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2) 1994-2004:
il lungo attacco alla Costituzione, a dieci anni dalla lettera di Giuseppe
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per la Costituzione e il Ponte), settembre 2004;
3) Torniamo alla
Costituzione, un NO al premierato e alla devolution, maggio 2006;
4) Diritti
di libertà, diritti sociali e sacralità della giurisdizione in Piero
Calamandrei, (Atti della giornata di studio tenutasi all’Università degli
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5) Questa
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