Pubblichiamo un mio intervento su Micromega online. L'intervento fu inviato 3 settimane fa a il manifesto che è però evidentemente sbilanciato a sognare un'altra Europa.
di Sergio Cesaratto
Le posizioni che
Stefano Fassina ha espresso nelle passate settimane su (a)
l’insostenibilità dell’euro a fronte del venir meno delle speranze di un
cambiamento delle politiche europee, e (b) il fallimento di una
dimensione democratica europea sovranazionale e la necessità di
ripristinare una sovranità democratica nazionale, segnano una novità
assoluta nel panorama della sinistra italiana. Sinora per ritrovare
posizioni simili, la cui elaborazione in questi anni è ascrivibile a una
manciata di economisti di sinistra, si doveva andare a cercare nei
meandri delle sinistre più estreme, oppure a destra. Esaminiamo i due
punti.
L’Europa non cambia
Le radici
dell’assenza di speranze di un cambiamento significativo delle politiche
europee vanno rintracciate nella costituzione economica tedesca fondata
dall’immediato dopoguerra sul neo-mercantilismo. L’asse di questa
politica è consistito di politiche distributive e fiscali interne
moderate, sì da tenere il tasso di inflazione inferiore quello dei
partner/concorrenti, ai quali veniva lasciato il compito di espandere la
propria domanda interna seguendo ricette keynesiane. Tutto questo nel
quadro di sistemi di cambio fissi che hanno dominato, salvo la parentesi
1971-1978, il secondo dopoguerra, da Bretton Woods, attraverso lo SME,
sino all’UME. Questo modello è stato scientemente messo a punto dal
ministro delle finanze e poi cancelliere Erhard e dalla Bundesbank
(allora Bank deutscher Länder) sin dal 1951. Tale modello ha
perfettamente senso dal punto di vista della teoria economica eterodossa
secondo cui le esportazioni nette sono un veicolo per realizzare i
profitti. In termini semplici, se, da un lato, la moderazione dei salari
diretti e indiretti consente il conseguimento di profitti relativamente
elevati, dall’altro l’assorbimento domestico del sovrappiù controllato
dai capitalisti è insufficiente per la realizzazione dei profitti. La
strategia neo-mercantilista prevede di realizzare questi profitti
attraverso adeguate esportazioni nette. Questo sono rese possibili dalla
strategia sopra illustrata, a cui, naturalmente, si sono aggiunte le
tradizionali capacità germaniche di formazione tecnica e innovazione. La
società tedesca e i sindacati sono stati tradizionalmente coinvolti in
questa strategia che comunque ha pagato in termini di benessere,
sicurezza e ordine - i salari reali tedeschi pur costantemente
all’inseguimento della crescita della produttività rimangono più alti
relativamente al resto dell’Europa, in particolare per il nucleo forte
della classe operaia tedesca concentrata nel settore esportatore. La
Bundesbank ha svolto il ruolo di “cane da guardia” del modello.
La
Germania non desidera dunque mutare tale modello nonostante esso sia
tacciabile di manipolazione del cambio reale o di politica del beggar-thy-neighbour
e sia fattore destabilizzante per le restanti economie. Le critiche
alla Germania, in questi giorni da parte del segretario del Tesoro
americano, non sono cosa nuova visto che cominciarono nei primi anni
1950 proseguendo sino alla famosa “teoria delle locomotive” di fine anni
1970.
Sovranità nazionale e conflitto democratico
Quello
della sovranità è un punto assai delicato per la sinistra. Essa è
infatti stata storicamente combattuta fra l’afflato internazionalista
(“il proletariato non ha nazione”) basato sull’idea di una comunanza di
fondo degli interessi delle masse popolari persino quando appartengano a
paesi con diversi gradi di sviluppo, e l’esperienza storica per cui le
masse popolari si sono nei fatti sempre battute per la realizzazione e
difesa degli spazi di indipendenza nazionali, sicché esempi storici di
“internazionalismo proletario” sembrano nei fatti assenti (se non forse
in talune scelte dei paesi del socialismo reale, ma lì il giudizio è
complesso). L’assenza totale di una solidarietà socialista e sindacale
europea (al di là di proclami retorici, ininfluenti meeting e
fantomatici Piani Marshall) ne è l’ulteriore conferma. Alla luce della
storia, dunque, lo stato nazionale appare come l’imprescindibile playing
field della dialettica democratica, e dunque del conflitto di classe.
Questo non ha nulla a che vedere col nazionalismo di destra ed è
compatibile con la pacifica e proficua cooperazione politica ed
economica internazionale. Né questo ostacola un utile coordinamento
internazionale dei movimenti contro questa Europa. Fassina in una
lettera al Corriere parla di un “arretramento storico di un sogno”,
forse si dovrebbe parlare di superamento di un abbaglio storico e della
constatazione, amara forse, che di utopie si vive ma anche si muore.
Il superamento dell’euro non avverrà a freddo
Il
superamento dell’euro non avverrà per l’uscita unilaterale e “a freddo”
di uno o più paesi. Un superamento dell’euro, se avverrà, sarà il
combinato disposto di una serie di eventi che culmineranno nel venir
meno dei presupposti politici della moneta unica. Tale combinato
disposto contiene una crescente insostenibilità sociale delle politiche
di austerità; la palese assenza di prospettive di crescita in
particolare in Italia; una risultante crisi di governabilità politica
anche con l’emergere di forze anti-euro; una conseguente grave crisi di
fiducia dei mercati finanziari. Se e quando questo combinato disposto
entrerà in corto circuito, in quel momento la problematica del
superamento dell’euro si porrà drammaticamente all’attenzione. In un
certo senso più grave la crisi, maggiore sarà la probabilità di una
soluzione rapida e consensuale, nel senso che l’ineluttabilità
dell’esito toglierà spazio politico a ritorsioni politiche ed economiche
internazionali da parte della Germania e suoi alleati.
L’azione
politica di una rinnovata sinistra nel nostro paese dovrà accelerare
tali processi denunciando l’insostenibilità per il nostro paese di un
proseguimento delle attuali politiche europee. Essa dovrà naturalmente
anche assumere il compito di prefigurare il durante e il dopo dei
possibili drammatici passaggi relativi alla rottura dell’euro. Per
questo c’è bisogno di un pensiero forte, l’opposto del mélange di
pensiero politico ed economico debole, utopismo europeista e
movimentismo che ha contraddistinto le poco convincenti recenti
esperienze elettorali a sinistra. Il pericolo maggiore è rimanere
stretti fra il localismo movimentista e l’utopismo, lasciando il terreno
della sovranità nazionale alla destra. Questo è a mio avviso l’errore
maggiore di ciò che si muove alla sinistra del PD. Di qui la novità
positiva delle posizioni di Fassina.
(15 dicembre 2014)
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