Pubblichiamo la recensione all'ultimo libro di Ernesto Screpanti pubblicata sabato 15 novembre da il manifesto.
Quale capitalismo dietro l’angolo?
Sergio Cesaratto
L’ultimo libro di Ernesto Screpanti
per la Monthly Review Press (ma
acquistabile on line anche in italiano)* è assai ambizioso e solleva questioni
che la sinistra non può sottovalutare. Che negli ultimi trent’anni, crisi o non
crisi, il capitalismo abbia sovvertito i rapporti di forza fra capitale e
lavoro marginalizzando in gran parte del globo le forze del cambiamento sociale
è un fatto evidente a tutti. L’abbandono delle politiche di pieno impiego sul
finire degli anni 1970 complici le ideologie ultraliberiste alla Thatcher e
Reagan, la globalizzazione con la concorrenza massiccia nel mercato del lavoro
capitalista di centinaia di milioni di nuovi lavoratori e, aggiungerei, la
caduta di ogni speranza nella sfida del socialismo reale quale l’abbiamo
conosciuto, sono alla base di questo mutamento epocale. Il mutamento dei
rapporti di forza che si era progressivamente prodotto nei precedenti cento
anni nei paesi di più antica industrializzazione e culminato nell’epoca d’oro
del capitalismo appare ora il risultato di circostanze non più ripetibili,
almeno per molte decadi a venire. In questo contesto Screpanti si propone di
prefigurare quali sono le caratteristiche del capitalismo nella nuova fase
definita dell’imperialismo globale.
Il volume è articolato in sette
capitoli, più teorici i primi in cui l’autore utilmente colloca il proprio
contributo nel dibattito internazionale sull’evoluzione del capitalismo oltre,
naturalmente, a criticare le tesi benevolenti nei riguardi della
globalizzazione. Più legati alle vicende delle recenti crisi globale ed
europea, alle diverse strategie imperiali e al loro conflitto i capitoli
finali.
Un capitalismo impersonale
Quello che si sta affermando, secondo
l’autore, è un potere impersonale del capitalismo multinazionale che soggioga
nel nome del mercato globale ogni spazio residuo non solo degli Stati
nazionali, ma persino delle potenze imperiali piccole e grandi. Tale potere
impersonale non può naturalmente fare a meno di strutture di governance globali che assicurino
l’ordine politico-sociale e monetario-finanziario oltre che il necessario
stimolo alla domanda aggregata. E’ in questa direzione che gli Stati nazionali
continueranno a svolgere un ruolo subordinato sebbene essenziale, accanto alle
organizzazioni internazionali (WTO, IMF, WB), entrambi funzionali a quella che
l’autore definisce “sovereignless global governance” (governo globale privo di
una sovranità statuale definita).
Se queste sono le tendenze, il loro
svolgimento non è, secondo Screpanti, lineare. In particolare v’è una
resistenza degli Stati nazionali nel difendere uno spazio politico, anche
perché stretti fra le esigenze di servire il capitale globale attraverso il
progressivo smantellamento e liberalizzazione delle istituzioni della epoca
d’oro e quelle di mantenere il consenso interno, un compito a cui gli Stati
nazionali sono ancor più chiamati nella nuova fase di riduzione dei diritti
cercando di evitare il ricorso a misure troppo manifestatamente coercitive.
Così come contraddittoria è la globalizzazione del mercato del lavoro con la
conseguente riduzione della quota salari sul reddito nazionale e l’esigenza del
sostegno globale alla domanda aggregata. In particolare Screpanti ritiene che
gli scontri inter-imperialisti correnti – come fra Stati Uniti, Cina, Russia e
Germania – siano il residuo di un passato lento a morire, il segno della
resistenza delle classi dirigenti di alcuni grandi paesi agli effetti della
globalizzazione e alla rinuncia alle proprie ambizioni. Il segno del futuro non
è nel conflitto inter-imperiale o nel dominio di uno o più Stati, ma
nell’impero del capitale multinazionale.
Screpanti discute l’innovatività
della propria tesi rispetto alle vecchie teorie novecentesche dell’imperialismo,
e l’argomenta nei quattro capitoli centrali del libro, dove si spiegano sia i
modi con cui il grande capitale piega gli Stati al suo servizio, sia le cause
economiche della formazione e della crescita (in dimensioni e numerosità) delle
grandi imprese multinazionali. I processi di disciplinamento degli Stati sono
organici, e passano per i mercati delle merci, della finanza e delle coscienze
(ideologie), oltre che per gli interventi bellici condotti secondo il modello sheriff and posse (banda di nazioni
armate guidate dagli Stati Uniti). Le crisi stesse, specialmente quella in cui
ci troviamo tuttora intrappolati, sono spiegate come processi di esplosione
delle contraddizioni stato-mercato che si risolvono infine in azioni di
disciplinamento della politica da parte del grande capitale multinazionale
industriale e finanziario. Il lettore non risulta tuttavia pienamente convinto
non tanto della tesi dello strapotere del nuovo imperialismo del capitale
globale, quanto di come questo potere si coniughi con i persistenti scontri
inter-imperialisti. Non è un caso che buona parte delle pagine del volume, e
più specificatamente il capitolo finale, siano dedicati alle strategie adottate
dai singoli imperi nazionali e al relativo scontro inter-imperiale, nonostante
questo rappresenti, secondo la tesi dell’autore, il passato, al massimo la
transizione, ma non il futuro. Screpanti ha certamente ragione nell’illustrare
le varie tendenze in gioco. Ciò che forse manca, ma nessuno è ancora in grado
di articolarlo bene, è un quadro completo di come queste forze si coniughino
fra di loro: da un lato il capitale globale con la sua tendenza a spazzare via
i retaggi nazionali (opportunamente la citazione di apertura è dal Manifesto del 1848), e dall’altro il
persistente ruolo delle potenze imperiali. Quella che può apparire come una
carenza è però anche uno stimolo a un’ulteriore riflessione autonoma del
lettore e dello studioso su una tematica, l’intreccio Stato-mercato nell’epoca
del capitalismo globale, che è assolutamente decisiva.
Le prospettive per le forze progressiste
Screpanti comunque propone uno
scenario inquietante sulla possibile evoluzione futura degli assetti politici
mondiali. Il quadro che ne esce non sembra lasciare molte speranze per
l’immediato futuro al lettore di sinistra, riguardo sia alle condizioni di vita
e lavoro delle popolazioni e sia agli spazi di lotta per prospettive di
cambiamento democratico.
A queste prospettive Screpanti, forse
per non andare fuori tema, dedica poche pagine finali in cui prefigura la
formazione di un proletariato globale che potrà nel lungo periodo mettere in
crisi il capitalismo. Cesseranno infatti, secondo l’autore, le contraddizioni
fra i proletariati del sud e del nord mentre viene meno la prospettiva del compromesso
riformista, con i partiti socialdemocratici costretti a porsi al servizio del
grande capitale se vogliono mantenere il potere. Non cesserà tuttavia, anzi
sarà nel lungo periodo esacerbata, la contraddizione fra un proletariato
progressivamente più impoverito e sfruttato e il capitale globale. Non v’è
dubbio che le tendenze messe in luce da Screpanti vendichino le previsioni del
Manifesto del 1848, un grande affresco del capitale globale. Contrariamente
alle attese di Marx ed Engels, tuttavia, le lotte operaie nei due secoli
passati hanno sempre avuto un respiro
nazionale più che internazionalista. Proprio lo Stato nazionale – per cui si
sono spesso battuti i movimenti socialisti indipendentisti – ha costituito il
terreno non solo unico, ma ideale, per un effettivo avanzamento sociale. Personalmente
temo che, oggi come allora, tanto il capitale globale non potrà completamente
fare a meno degli imperi nazionali, quanto le masse popolari non potranno fare
a meno del terreno dello Stato nazionale per difendere o riguadagnare le
proprie conquiste. Oggi come allora l’idea che il proletariato non ha nazione
potrebbe tuttavia rivelarsi molto prematura. Ma Screpanti la pensa diversamente e
ritiene con Marx che nel futuro solo la
formazione di un soggetto rivoluzionario internazionale potrà contrastare lo
strapotere del capitale globale.
*Ernesto
Screpanti, Global Imperialism and the
Great Crisis – The uncertain future of capitalism, Monthly Review Press,
New York, 2014 (traduzione italiana ordinabile on line su WWW.ILMIOLIBRO.IT).
Recensione pubblicata su il manifesto del 15 novembre 2014
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